Sigaretta in ufficio, cellulare tipo star-tack, banconota da cinque mila lire sul bancone del bar e camicie e maglie larghe ficcate nei pantaloni: si presentano così gli uomini de La Squadra, fiction RAI che irrompe sul piccolo schermo alla fine degli Anni Novanta, narrando la quotidianità di agenti di un commissariato di prima linea a Napoli, mescolando realismo a trame personali da soap.
Nel cast attori ai tempi piuttosto noti: c’è Luca Venantini, che pochi anni prima interpretava il fante Reginald nella serie cult di Corbucci Classe di Ferro e, in alcune puntate, lo affianca Pierluigi Cuomo anche lui ex “corbucciano” nei panni del goliardico tenente Ulderico dell’Anno. Poi, attori con alle spalle anni di teatro come Renato Carpentieri e Gaetano Amato al fianco di volti del cinema un po’ impegnato (e oggi dimenticato) quali Giovanni Guidelli (La Notte di San Lorenzo dei fratelli Taviani) e Massimo Bonetti (La Notte di San Lorenzo, Porzus) quest’ultimo spesso spalla del grande comico napoletano Massimo Troisi.
Un serial di successo, La Squadra, e molto all’avanguardia per i tempi: inseguimenti, sparatorie ma, soprattutto, uno spaccato molto verosimile degli agenti Polizia di Stato, capaci di atti di generosità e di eroismo e, talvolta, di tradimenti perché, se lo scopo è raccontare la realtà pur in chiave di fiction, la prima cosa da ricordare è che il poliziotto è un essere umano coi suoi pregi e i suoi difetti. Un concetto che ricorre nelle 7 stagioni e nei quasi 300 episodi durante i quali sul piccolo schermo fanno la comparsa vecchie glorie e nuove leve del cinema nostrano.
Apologia di un vecchio serial? No, semmai constatazione di quanto sia cambiato il modo di fare spettacolo in Italia in appena una decade. La Squadra è contemporanea di Distretto di Polizia (parte del cast ricompare su Mediaset in veste di comparsa e di protagonista) ma ciò che propone è diverso, a partire da una sigla molto Anni ’70 in stile film incentrati sulle indagini di Giraldi/Milian e del Commissario Tanzi/Maurizio Merli: giustizia e criminalità sono ben separati, il criminale al massimo può pentirsi e tornare sui suoi passi, mai diventa un eroe. Al contrario, in Gomorra, Romanzo Criminale ed altre produzioni (italiane ed estere) corruzione e delinquenza sembrano assumere tratti quasi “simpatici”, con il gangster spietate e imbottito di coca che si trasforma in un anti eroe graditissimo al pubblico. E lo share parla chiaro, così come chiara è la scelta delle case di produzione di lanciare in Tv e in streaming storie al limite del vero, a volte ispirate a fatti reali (Banda della Magliana), altre volte ad opere di fantasia che traggono ispirazione dalla realtà ma che hanno l’unico fine di intrattenere ad ogni costo, senza porsi il problema del ruolo e dell’indole che il protagonista ha nella storia. Insomma, per quanto romantico, un po’ melodrammatico e in fondo simpaticone, un camorrista resta un camorrista, c’è poco da fare! Ma la vera domanda è: come abbiamo fatto a passare in un ventennio da serial militari (College, Classe di Ferro) e polizieschi (La Piovra, La Squadra, Distretto, Montalbano)? L’influenza di gangster movie degli Anni Duemila del calibro di Blow, Lord of War, American Gangster ha forse dato idea a sceneggiatori e registi che l’iconico poliziotto duro ma giusto stesse tramontando, in favore di più scanzonati, ricchi, estroversi criminali cattivi ma poi non così tanto. Ed ecco allora il fiorire dei Robin Hood del tubo catodico, che rubano (ai ricchi e anche a chi non lo è) per dare a se stessi con un tripudio di ascolti.
Si può tornare indietro? Sì, non appena l’accento di Scampia, gli arredamenti kitsch e i tagli improbabili di anti-eroi di strada cominceranno a stancare, ma niente Squadra: quella ormai appartiene, purtroppo, al passato. A meno che un nuovo poliziesco non venga ambientato negli Anni ’80 e ’90, magari prendendo spunto dal Commissariato di Piscinola (centro polifunzionale location, dal 2000 al 2007, del Sant’Andrea) per le Olivetti elettriche usate dall’ufficio denunce, per le cicche tirate fino al filtro fra un caso e l’altro e, perché no, per la pettinatura e il fascino di Ilaria D’Elia…