Che cosa fareste se, andando in panetteria, vi rifilassero merce vecchia di mesi se non di anni ? Risposta scontata: la restituireste al mittente, chiedendo il rimborso del prezzo pagato e magari anche i danni.
Fatte le debite distinzioni un simile discorso sembra valere per la Rai, la Tv di Stato, la quale, con largo anticipo sul calendario, ha già appeso il cartello “chiuso per ferie”, propinando ai fedeli abbonati trasmissioni d’annata e servizi vintage. Tutto questo mentre l’orizzonte vacanziero degli italiani appare sempre più ristretto e l’invecchiamento galoppante della popolazione lascia privi del conforto dello schermo domestico un esercito di anziani.
D’accordo che Mamma Rai ha accumulato in quasi sessant’anni di onorata carriera kilometri di riprese e migliaia di servizi e spettacoli da “riciclare” in caso di necessità, ma può il “servizio pubblico” essere limitato alla pura e semplice informazione quotidiana ? Ed è giusto spillare un canone pieno a fronte di un servizio ridotto ?
In attesa di registrare le denunce da parte di qualche benemerita associazione di consumatori, pronta a tutelare chi ha pagato il canone per dodici mesi dodici, laddove la programmazione copre, per l’intrattenimento, a malapena metà dell’anno, proviamo ad immaginare come riempire gli spazi digitalizzati evitando la calma piatta spacciata per pausa estiva.
Cominciamo ad immaginare una Rai diversa, liberata finalmente dalle nomenclature, riconsegnata al Paese reale, agli outsider dell’informazione, alla parte creativa di un’Italia che depressa dalle cose-che-non-vanno spesso dimentica le sue eccellenze, le sue intime potenzialità inespresse.
Cominciamo ad immaginare una Rai che guarda ai territori, al di là degli stucchevoli ed anodini passaggi dei Tg Regionali, poco più che delle agenzie di stampa, per fare parlare ciò che si muove nell’Italia profonda, ciò che inquieta veramente giovani e meno giovani, ciò che ancora entusiasma ed appassiona.
Al di là della pausa canonica, la Rai ha bisogno di uno scatto di innovazione che non può venire dai burocrati del video, ma da un rinnovato protagonismo delle giovani eccellenze creative, dalla cultura diffusa, da un’opinione pubblica finalmente capace di chiedere più che supinamente guardare. E poi più pluralismo, più voglia di mettere a confronti gli opposti, più sperimentalismo, per un mezzo che, da anni, appare troppo uguale a se stesso, tanto è banalmente rassicurante.
Riprendiamoci la Rai insomma! Da consumatori, “scippati” da un canone che serve solo a pagare burocrati e lottizzati. Da creativi in cerca di spazi adeguati a rappresentare un’Italia “invisibile”. Più che in ferie la vecchia Rai è da mandare in pensione. C’ è qualcuno che vuole avviare la pratica?