La tracotanza è crimine, l’arroganza (prima o poi) trova la sua punizione che è tanto più clamorosa quanto spessa è la boria di chi la professa.
Dicevano un tempo che il pallone dei Balcani fosse il più bello d’Europa perché intriso di strana inflessione carioca. Se il Brasile è allegria e saudade, gioia e candomblé, l’ex Jugoslavia è rabbia e sangue, sfida e antiche eco dell’oscura magia tessalica. Incostante, umano troppo umano: il calcio iugoslavo ha donato talenti immensamente incompiuti, fuori moda, così complessi da farti venir voglia di prenderli a pugni.
Non poteva che svolgersi in terra di Grecia l’epilogo di uno dei drammi sportivi più avvincenti di sempre. Quando le Furie, anzi le Erinni, decisero di trasformare la sorte di un (geniale) uomo per farne il castigo (divino?) del Barcellona doratissimo del razionalista Crujiff.
Primo atto
Dejan Savicevic è un raccomandato, nel Milan del 1993. Lo scriveva Gianni Piva su Repubblica. Subito dopo la batosta in Coppa Intercontinentale. Tre a due contro il Sao Paolo di un giovanissimo Cafu, dell’allora maturando Leonardo, del veterano Toninho Cerezo che si tolse pure lo sfizio del gol, del (mezzo) bidone torinista Luis Muller, quello della mogliettina troppo incostante. Segnò persino lui.
I milanisti volevano la testa dell’allenatore Fabio Capello e quella di Dejan Savicevic, oggetto (ancora) misterioso che manco giocò a Tokyo. Su di lui, era il 15 dicembre del ’93, Piva scrisse:
“Probabilmente il montenegrino si sente forte, sicuramente ha goduto trattamenti privilegiati e ha tutta l’ aria di chi voglia andare fino in fondo nella sua resa dei conti. […] Capello ha detto di non sapere cosa voglia dire “coccolare un giocatore” e alla domanda se vi siano dei problemi nello spogliatoio la risposta è solare: “La situazione anomala è creata da un giocatore, solo uno. Un giocatore che vuole un trattamento diverso dagli altri. Con lui avrò un chiarimento, ma è una faccenda che rimarrà nello spogliatoio”. Il contrasto è duro e non è solo una guerra tra due. Dietro a Capello c’ è la squadra e chi la guida. Non è un mistero. In tempi non sospetti Baresi spiegò come la presenza di Savicevic creasse grossi problemi alla difesa”.
Una gran rottura. Questo era Dejan Savicevic. Per colpa sua, il Milan aveva sbolognato il grande Gullit alla Sampdoria. In realtà, i dirigenti rossoneri ritenevano l’olandese ormai bollito con quel suo ginocchio malandato. In blucerchiato si riscatterà tra molti rimpianti milanisti. Ma questa è un’altra storia.
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Secondo atto
Erano passati cinque mesi da allora. Il Milan aveva ripreso a macinare successi in campionato e in Europa. Per Savicevic sembrava affacciarsi un’altra annata da rincalzo di lusso.
I rossoneri avevano superato in semifinale il modesto Monaco di Arsène Wenger. Lì giocavano il baby Thuram, il futuro interista Djorkaeff, l’ex interista Jurgen Klinsmann. Il girone, prima ancora, aveva visto il Milan superare Anderlecht, Werder Brema e Porto. Senza strafare, due vittorie e quattro pareggi: sei gol fatti ma solo due subiti.
I rossoneri si ritrovarono così ad Atene, a disputarsi la finale della Champions League contro il Barcellona di Johan Crujiff. Praticamente quasi per caso, almeno a (ri)leggere i resoconti dell’epoca.
Sulla carta, nessun confronto possibile. I catalani sono una corazzata. C’è Stoichkov, il giovane Guardiola, il roccioso Koeman, l’eterno assetato Beguiristain e poi c’è Romario. All’allenatore olandese, ‘sta cosa piace assai. “Noi abbiamo Romario, voi? Desailly? E chi è?”. Fabio Capello, per completar l’opera, è costretto a schierare al centro della difesa Filippo Galli e Paolo Maldini. Nè Baresi nè Costacurta saranno della partita. C’è Savicevic ma nessuno, nonostante le ultime ottime prestazioni, sente di scommettere qualcosa su di lui.
Cruijff non lo teme per niente. Anzi Già fa le foto già con la Coppa. Gigioneggia, tronfio. Vinceranno loro, senza dubbio. Il Barcellona è la squadra più forte d’Europa. Davanti agli azulgrana, che qualche tempo prima hanno schiantato pure la sorprendente Sampdoria di Vialli-Mancini, c’è solo da tremare.
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Terzo atto
Dejan Savicevic è una gran rottura. Sull’erba sbiadita di Atene, le Erinni decidono che è giunto il momento di punire la tracotanza ibero-olandese. E Il prescelto è lui, il montenegrino.
Sullo stadio dell’Attica vibra – e si percepisce ancora oggi – una specie di magia antica che vuole sovvertire l’arroganza razionalista di chi si sente già la vittoria in pugno. La partita comincia sotto auspici che alla ragion sportiva dei pronostici ufficiali appaiono quantomeno contraddittori. Al 22esimo Savicevic, il “raccomandato” bolso e indolente, si incunea in area, al 22esimo, e serve Massaro che trafigge Zubizarreta.
Può capitare, poco male. Il Barcellona si riporta avanti. E nel secondo minuto di recupero nel primo tempo al 47esimo, è ancora il Fromboliere (Pizzul dixit) a gettarla dentro. Azione al limite dell’area, palla a Donadoni che penetra dalla fascia, Savicevic – che non tocca il pallone nell’azione – si porta con sè tre difensori spagnoli, la sfera spunta dalle parti di Massaro che punisce ancora il Barça. La tragedia è appena cominciata.
Appena iniziato, da due minuti, il secondo tempo, Savicevic estorce un rimpallo a Nadal, dopo un lancio lungo (perduto) di Albertini. La sfera gli rimbalza davanti e lui, di prima intenzione e col piatto sinistro, la accompagna in uno splendido pallonetto che sfinisce Zubizarreta e termina, beffardo, in rete. È un trionfo. I grandi di Spagna sono umiliati. “Ridotti a giocare come una squadra di provincia, veramente”, chiosa didascalico Bruno Pizzul. L’incantesimo è compiuto, questo gol è il simbolo di una serata storica. Per il Milan, per il Barcellona e per Dejan Savicevic.
Però le Erinni non sono ancora sazie. E così passano dieci minuti che Il Genio si trova di nuovo a tu per tu con Zubizarreta, lo sfida e stavolta prende il palo. Ma non è finita. Sul tentativo di contropiede degli avversari, sbuca (proprio come cervo fuori di foresta, come diceva dell’antico Gullit il buon maestro Boskov) Marcel Desailly. Prende palla come un invasato, quasi travolge Albertini che pure gliela toglie per restituirgliela quando lui è dentro l’area. Avanza ancora, imprendibile, e imposta un tiro a giro che si insacca. Quattro a zero. Johann Cruijff ora sa chi è Desailly.
Le Furie possono ritirarsi. Hanno riequilibrato il mondo. Hanno insegnato la misura agli spagnoli, gli italiani invece hanno capito che Dejan Savicevic è l’ennesima incarnazione dell’estro irregolare del futbol slavo. Che si ama e basta, a prescindere.
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Ma quanti anni ha l’autore?! Perchè mi pare abbia molti ricordi offuscati, a partire dalla storia che alla finale di Atene nessuno scommettesse su Savicevic che invece si era già preso il Milan…