The English Game è una serie che parla delle origini del calcio. Attualmente disponibile in Italia su Netflix, si compone di 6 episodi della durata media di 45 minuti l’uno, il tutto made in UK. Qui finiscono le informazioni tecniche; da sapere su The English Game c’è però qualcosa in più.
In primo luogo, si concentra sulle origini del calcio professionistico: in piena epoca vittoriana il calcio era uno sport in mano alla Upper Class, con squadre come la Old Etonians, al centro della narrazione, nate in seno a scuole prestigiose e con il consiglio di amministrazione della federazione calcistica, manco a farlo apposta, interamente composto da membri dell’alta società. A queste squadre però iniziano ad affiancarsene altre, pur nel sospetto generale, composte da operai. Tra di esse c’è l’altro focus della serie, la Darwen FC, gestita dal virtuoso Mr. Walsh e capitanata da Fergus Suter, che passerà poi alla storia come il primo giocatore professionista.
Lotta tra classi
Qui si aggancia il secondo tema, la lotta tra classi. Non aspettatevi una declinazione marxista o un’analisi approfondita sul tema, ma sono poste alcune e sempre utili domande su dove risiedano i valori: in chi li sbandiera a propria convenienza o in chi li declina nel proprio quotidiano? C’è più onore nel giocare secondo regole scorrette o nell’avere il coraggio di volerle infrangere e cambiare? È possibile e corretto mantenere una facciata virtuosa, senza permeare ogni ambito della propria vita da questi valori, e se sì, in quale misura? A tutte queste domande, The English Game non ha necessariamente la pretesa di dare risposte.
La condizione femminile
Un altro aspetto interessante delle serie è un’introspezione suggerita: uno squarcio sul quotidiano che può riaprire una discussione, auspicabilmente costruttiva, sul ruolo della donna. Attenzione, l’atteggiamento da romanzo rosa e qualche cliché sono dietro l’angolo, ma l’innata capacità del genere femminile di avere il polso e una sensibilità differente anche in ambiti maschili è incontestabile. Questo The English Game ce lo ricorda bene, pur non mancando di sottolineare anche qui le nette differenze sociali dell’epoca (e non solo) tra i due sessi.
Il lavoro
Quarto e ultimo tema, il lavoro: non riguarda qui solo le classi proletarie; ci viene ricordato che anche i nobili e i cosiddetti “padroni” lavorano. Un invito a guardare anche l’altro lato della medaglia, ovvero non solo la difficoltà del lavoratore salariato ma anche del “salariante”. Il concetto di lavoro viene poi espanso in potentia anche ai calciatori, che all’epoca non potevano essere pagati per giocare. Un pensiero strano per la nostra società dove sono tra gli sportivi con gli stipendi più alti, ma anche qui la domanda che lo spettatore critico si può porre è: è giusto essere retribuiti per le proprie abilità in qualsiasi ambito si applichino e, se sì, in quale misura?
A chiosa aggiungo che l’atmosfera ottocentesca, in cui Julian Fellows già autore della acclamata serie Downtown Abbey è maestro, dona una patina romantica, smorza l’asprezza dei temi ma ha la capacità di imporre visivamente la riflessione sulle differenze di classe e sui privilegi che il denaro consente di avere, siano anche i semplici beni primari o la dignità personale.
Ma si può guardare The English Game anche senza troppe congetture e pensieri; è una serie che fa appassionare alle storie individuali e in cui si può godere di quei momenti di appagamento da gesto eroico, che siano recuperi all’ultimo minuto o sacrifici individuali, che solo le serie sportive sanno regalare.
Avendo avuto modo di guardare Downton Abbey e avendola molto apprezzata sono sicuro che anche questa serie sarà all’altezza