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Storie di#Calcio. Pienti, il più bel sinistro della serie A negli anni sessanta

L'amarcord: "Ricordo Pugliese e Toneatto, due grandi allenatori e il primo gol di Riva"

by Michele Salomone
28 Giugno 2022
in Sport/identità/passioni, Storie di Calcio
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Giovan Battista Pienti

Giovan Battista Pienti ha calcato i campi di calcio divenendo, in qualità di mezzala sinistra, protagonista e colonna portante della linea di attacco in varie squadre. Definito a metà degli anni Sessanta, dal futuro commissario tecnico della Nazionale italiana, Fulvio Bernardini, “Il più bel sinistro della A” – certo poi sarebbe arrivata l’ora di “Rombo di Tuono” Gigi Riva con il suo micidiale e temibile sinistro – Pienti racconta i momenti cruciali della sua vita calcistica.

Giovan Battista cominciamo questa chiacchierata partendo dalle giovanili della Sampdoria, dove hai cominciato formarti calcisticamente.

Dal 1959 al 1963 ho fatto parte delle giovanili della Sampdoria, veramente un inizio molto bello. In quel periodo ebbi modo di conoscere e diventare amico di Mario Frustalupi vincitore dello scudetto 1973-74 con la Lazio; Francesco Morini divenuto inseguito noto stopper della Juventus; Ermanno Cristin, Giancarlo Salvi. In prima squadra militava il barese Biagio Catalano, una persona veramente perbene. La Sampdoria si aggiudicò il Torneo giovanile di Viareggio nel 1963 battendo in finale il Bologna 2-1; in quella circostanza realizzai un goal.

Tu nasci come mezzala sinistra?

Sì anche se, nella nazionale juniores giocai centravanti, con il numero 9, perché la mezzala sinistra era Gianfranco Zigoni.

Quando hai esordito in Serie A?

Ho esordito in A, con la Sampdoria, il 26 aprile 1964, a San Siro, contro il Milan realizzando il goal della vittoria.

Ci racconti quel goal per te ancora oggi indimenticabile?

Frustalupi, vedendo che mi stavo producendo in uno scatto da centrocampo, mi servì un pallone preciso permettendomi di battere di destro – non era il mio piede – il portierone rossonero, Ghezzi. E dire che io sono tifoso del Milan…

Perché nel 1966 lasciasti la Sampdoria per la Reggiana?

Litigai con l’allenatore Fulvio Bernardini. Definendomi “Il più bel sinistro della A”, pretendeva che giocassi ala sinistra. Io mi sentivo più mezzala, numero 10; nacquero dei dissidi che provocarono la mia cessione in B, in prestito alla Reggiana. Rimasi tre anni a Reggio Emilia perché la Reggiana mi riscattò. Nel Campionato di Serie B 1968-69, classificandosi al quarto posto, ad un punto dal Bari, la Reggiana mancò la promozione in A che andò ai biancorossi. Fu proprio in quel periodo che il Bari mostrò interesse per me.

Bari che fu portato in A da Toneatto che, incredibilmente lasciò la panchina biancorossa. Chi ti volle in Serie A, con il Bari?

L’allenatore Oronzo Pugliese.

Il Bari del 1970-71

Che ricordi hai di quella Bari – intesa come città – fine anni Sessanta inizio anni Settanta?

Un ricordo meraviglio, eccezionale. Io come altri miei colleghi abitavo a Santo Spirito, altri a Palese mentre il secondo portiere, Colombo, abitava a Bari perché preferiva vivere in città. Bella città Bari. Il Petruzzelli meraviglioso, via Sparano fantastica. Il crimine era limitato al contrabbando e si poteva entrare facilmente anche a Bari vecchia. Io ci andavo per delle commissioni e non mi è mai accaduto nulla. Il brutto ricordo che ho è, invece, l’incidente accadutomi in macchina, sulla circonvallazione di Bari.

Ne parleremo a breve. Pregi e difetti della piazza barese.

Il calore della gente, dei tifosi, era eccezionale. Era al tempo stesso assillante perché quando si vinceva, già fuori dal campo, nel dopo partita, i tifosi cominciavano a preoccuparsi della partita della domenica successiva. Venivi osannato e, quando andavi in giro per la città, l’autografo era d’obbligo. Naturalmente, quello starti addosso sarebbe continuato anche se le cose fossero andate male ma, in tal caso, in forme di dissenso e contestazione.

Ci descrivi il presidente De Palo con i suoi pregi e ed i suoi difetti

Una persona eccezionale, eccezionale, priva di difetti.

Che effetto ti fece lo Stadio della Vittoria, olimpo del calcio biancorosso?

Eccezionale. Vedere in A quello stadio – che credo avesse una capienza di 40 mila spettatori – ogni domenica esaurito, con il pubblico in piedi a seguire la partite, è un qualcosa che ti resta dentro, che non puoi dimenticare.

La domenica, prima della partita a che ora pranzavate ed in cosa consisteva il menù?

La domenica mattina chi voleva assistere alla Santa Messa poteva farlo tranquillamente. Si pranzava comunque alle 11,30 risotto in bianco, filettino, un bicchiere d’acqua, uno di vino.

Prima hai fatto cenno al peggior ricordo che hai di Bari: un incidente stradale. Ce ne parli?

Accadde di venerdì, il 20 febbraio 1970 sulla circonvallazione, mentre rientravo a casa. Un camion mi tagliò la strada e ci fu un terribile impatto. Persi molto sangue e rimediai oltre quaranta punti di sutura alla testa. Mi andò bene e devo ringraziare Dio. L’incidente accadde pochi giorni prima della partita che il Bari avrebbe dovuto disputare a Genova contro la Sampdoria; che rabbia dover saltare quell’incontro contro la mia ex squadra. Voglio aggiungere un particolare. L’allenatore Pugliese che in quel momento si trovava a Roma, saputa la notizia, rientrò immediatamente a Bari. Stette accanto a me tutta la notte, in ospedale, non consentendo l’accesso a nessuno, se non ai miei genitori ed a mia moglie.

Quante partite saltasti?

Saltai quattro partite proprio in un periodo però cruciale per il Bari, impantanato nella lotta per non retrocedere.

Il 12 aprile 1970 il Bari fa visita al Cagliari che, vincendo 2-0, si aggiudica lo Scudetto – il primo della sua storia – con due giornate di anticipo. Cosa ricordi, in particolare, di quella giornata allo Stadio Amsicora bardato rosso-blu?

Ricordo il primo goal di testa di Gigi Riva, quasi a rasoterra che, rischiando di prendersi una scarpata al capo da Loseto, batté Spalazzi.

L’avventura in A nel Campionato 1969-70 dura solo un anno in quanto il Bari retrocede. Quali le cause?

Innanzitutto penso che ci allenassimo poco. Ricordo che la fatica era meno rispetto a quella sostenuta a Reggio Emilia. Ma questo era il sistema adottato da Pugliese. Un altro sbaglio, mio avviso, si può addebitare al non aver preso un centravanti che realizzasse goal. Venne preso Toffanin che non era un realizzatore. Anche l’altro attaccante, Tonoli, non andò bene. Intendiamoci, non voglio sminuire il valore dei miei due colleghi dell’epoca, ma non erano adatti per il gioco del Bari. E dire che il campionato non cominciò male per il Bari.

Nel Campionato 1970-71 in B, torna sulla panchina dei biancorossi Lauro Toneatto. Che ricordo hai di Toneatto?

Il primo anno con lui ero al quanto carico. Era un allenatore determinato, sanguigno, un tipo che se voleva ti prendeva per il collarino.

In quel torneo il Bari ebbe la possibilità di ritornare in A, ma si dovette misurare nei famosi spareggi del giugno 1971 con Atalanta a Catanzaro; due erano le squadre che si sarebbero dovute andare ad aggiungere al neo promosso Mantova. Il Bari non ce la fece ed addio A. Cosa mancò al Bari in quella circostanza?

Nel primo spareggio, quello di Bologna, dove perdemmo con l’Atalanta, io non giocai perché squalificato.

Anche se l’Atalanta vinse 2-0 sul campo, ebbe comunque partita a tavolino causa intemperanza di alcuni tifosi che contestarono un goal in fuori gioco dei bergamaschi.

In realtà, i tifosi del Bari erano incavolati per la piega che stava prendendo la partita. A dire il vero, considerandoci più forti di Atalanta e Catanzaro, sentivamo la A già conquistata.

Ma dopo la sconfitta con l’Atalanta continuaste a pensare che con il Catanzaro, nello scontro decisivo in programma a Napoli, sarebbe stato tutto facile per il Bari?

Eravamo isolati, in ritiro fuori Napoli, ma eravamo talmente gioiosi da pensare “Domenica li facciamo fuori”.

Quel 27 giugno 1971 fu però il Catanzaro a conquistare la A. Non veniste strigliati, visto l’obiettivo mancato, dal presidente De Palo e da Toneatto?

De Paolo era deluso come tutti noi.

E Toneatto?

A dire la verità anche Toneatto dava per scontata la A.

I tifosi, invece, si spazientirono tant’è che quell’attaccamento e quegli sguardi iniziali di consenso di cui ho fatto cenno sopra, cominciarono a trasformarsi in sguardi di dissenso.

Il Campionato 1971-72 fu un’autentica delusione.

Si sperava, sempre con Toneatto alla guida di risalire in A, ma fu un’autentica delusione. Mollammo tutti quanti, società, allenatore, giocatori. I tifosi cominciavano apertamente a contestare e frequente era la frase “Te ne devi andare da Bari”. Conscio che a Bari non potevo più rimanere, il mio obiettivo era quello di giocare in A oppure in B. Mi giunse una congrua offerta economica della Casertana che accettai immediatamente pur dovendo giocare in Serie C.

Come andò in Serie C, nel Campionato 1972-73?

Non fu una bella esperienza anche perché i campi delle squadre di calcio del girone C, dove militava la Casertana, erano insicuri. C’era gente esaltata che veniva facilmente a contatto con i giocatori avversari e poteva accadere di tutto. Fu così che decisi di tornarmene a casa anche perché ero infortunato. Sul finire del 1973 trovai un accordo con l’Arezzo e così ritornai a giocare in Serie B.

E qui ritrovi tre grossi calibri con i quali avevi giocato nel Bari: Fara, Mujesan, Marmo. In maglia amaranto realizzasti il tuo primo goal proprio contro la tua ex squadra, il Bari – che si avviava mestamente verso la C – il 7 aprile 1974. A proposito, esultasti quando segnasti? Te lo chiedo perché oggi c’è il vezzo di non esultare quando si segna un goal alla ex squadra.

Certo che esultai. Giocavo per l’Arezzo era logico che dovessi esultare.

Hai qualche altro ricordo di quel match contro il Bari?

Beh ricordo che con Spimi ci furono momenti di tensione. Mi diceva: “Che corri”, “Non sei nessuno”. Non rispondevo verbalmente a quelle provocazioni, ma nei contrasti assestavo qualche legnata alle gambe.

L’Arezzo, dove militasti fino al 1977, fu la tua ultima squadra. Poi cosa accadde?

Dissi basta la calcio, non ne potevo, l’ambiente era saturo, volevo ritornare dalle mie parti.  Ebbi la opportunità – che colsi immediatamente – di lavorare per l’editore Rusconi interessandomi di spot pubblicitari. Successivamente una parte di dette attività vennero rilevate dalla Fininvest e continuai a lavorare in tale ambito.

Qual è stato l’allenatore migliore che hai avuto?

Pugliese e Toneatto.

@barbadilloit

Michele Salomone

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Tags: gigi rivagiovan battista pientimichele salomonestorie di calcio

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