Gavrilo Princip sta ancora impugnando freneticamente la sua Browning M quando l’attentato pianificato dalla Mano Nera e dalla Giovane Bosnia sembra essere oramai fallito. Sconsolato cammina per le affollate strade di Sarajevo, convinto che il suo sogno d’una nazione balcanica indipendente, forte e slava sia definitivamente morto. Eppure il destino volle che la mattina di quel 28 giugno 1914 l’aspirante rivoluzionario, vagando affranto, s’imbattesse proprio nell’arciduca Ferdinando e nella sua sposa Sofia. Nell’orrore dei colpi esplosi dal giovane studente bosniaco nascerà la fragile Jugoslavia, ennesima utopia nel secolo delle utopie.
Sulla strada da percorrere per comprendere lo spirito di questa Nazione condannata dalla storia e del suo originalissimo popolo, sono tappa fondamentale ed illuminante i Plavi (i Blu), la squadra di calcio, per eccellenza, più bella e perdente di sempre. La scintilla di Princip troverà ossigeno, la Jugo incanterà, troverà estimatori ovunque (addirittura in Pelé), ma non solleverà mai un trofeo: fallirà due finali europee e altrettante semifinali mondiali.
Segnali di disgregazione
È il 1987 la coesione delle parti è, già da tempo, alquanto labile. La nazionale giovanile jugoslava è in Cile, impegnata nella rassegna mondiale U20, torneo divenuto trampolino di lancio per vari fuoriclasse emergenti. La Jugo può vantare tra le sue fila più di qualche ragazzo talentuoso: Boban, Suker, Prosinecki, Jarni, Mijatović. E infatti tutti si accorgono ben presto che non sono lì solo per far innamorare. Gli Slavi superano agevolmente il girone eliminatorio vincendo tutti gli incontri; sconfiggono i brasiliani nei quarti e la Germania est in semifinale. Ad attenderli in finale allo Estadio National di Santiago del Cile, come spesso accade, ci saranno i temibili tedeschi dell’ovest. Boban porterà in vantaggio i suoi a 5 minuti dallo scadere con un gran destro al volo dal limite dell’area; ma i Teutonici, come risaputo, non mollano mai. Due minuti dopo trovano il pareggio grazie al rigore realizzato da Witeczek. I supplementari non bastano, sarà la lotteria dei penalties a decretare i nuovi campioni. Witeczek è il primo a calciare, stavolta Leković intuisce e para. Segnano tutti da entrambe le parti, il destino della Jugo è di nuovo nei piedi di Zvonimir Boban. La rincorsa è lunga ma sicura, la palla è impattata con potenza e precisione, non v’è scampo: goal. I Blu sono campioni del Mondo U20, finalmente il calcio jugoslavo alza al cielo un trofeo. Ma per uno strano gioco del destino, o forse per cause logiche ma sotterranee ed appena percepibili, il primo ed ultimo trionfo degli Slavi del sud coincide esattamente con l’inizio della loro fine. Slobodan Milosevič, un funzionario comunista in odore di potere, inizia a cavalcare abilmente i malumori serbi nella regione del Kosovo, da sempre a maggioranza etnica albanese. La situazione di qui a poco degenererà in una guerra fratricida.
Dinamo-Stella Rossa
Le tensioni continuano a crescere ed il calcio ne diviene sintomo evidente. Il 13 maggio 1990 si affrontano al Maksimir di Zagabria nella penultima giornata di campionato la Dinamo e la fortissima Stella Rossa (Crvena Zvezda). La rivalità tra le squadre è sempre stata accesissima, ma a seguito dei rigurgiti indipendentisti croati la partita assume sin dalla vigilia le sembianze d’una battaglia per l’autoffermazione popolare. L’ultranazionalista Franjo Tudjman, sostenuto dagli hooligan della Dinamo, era stato eletto pochi giorni prima presidente, e si era detto pronto a dichiarare l’Indipendenza della propria nazione. La tifoseria serba della Stella guidata dal comandante Arkan, futuro criminale di guerra, non ci sta. Gli scontri sono inevitabili, la partita viene sospesa e a fine giornata si conteranno centinaia tra feriti e in stato di fermo. Ma l’avvenimento più eclatante avviene comunque sul terreno di gioco. La polizia sembra connivente con le tigri di Arkan e s’accanisce soltanto sui Bad Blue Boys. Il capitano dei biancorossi Zvone Boban è a pochi passi da un poliziotto che manganella uno dei suoi connazionali croato. Non può sopporta il sopruso restando inerme e gli sferra un calcio volante che gli romperà la mandibola. Sarà squalificato per 6 mesi e salterà il Mondiale che inizierà tra poche settimane.
Notti magiche
Pur senza Zorro e con una guerra civile alle porte, le speranze dei Plavi per Italia ’90 sono particolarmente floride. Lo zoccolo duro della squadra ha la giusta esperienza ed i giovani innesti sono pieni di talento. Oltre ai già citati ragazzi vincenti, la Jugo vanta altri due geni emergenti: Savićević e Bokšić. I ragazzi di Ivica Osim affrontano nel gruppo D i debuttanti Emirati Arabi, la mina vagante Colombia e la corazzata Germania Ovest. Nella prima sfida affrontano i Tedeschi che si dimostrano sin da subito troppo forti e ben organizzati, stravincono 4-1. Si prospetta così una difficile partita da dentro o fuori contro i Cafeteros. Intuendo l’importanza del match l’intera squadra, pur divisa da 3 credi differenti, decide di riunirsi in preghiera nella Chiesa Cattolica più vicina. La battaglia si risolverà solo al 75’ grazie ad una prodezza del Cesenate Jozič, andato a segno anche contro la Mannschaft. Nell’ultimo incontro i Blu passeggiano mostrando tutti i limiti della selezione araba: risultato finale 4-1, qualificazione centrata. Il team composto da 8 croati, 6 bosniaci, 3 serbi, 2 macedoni, 2 montenegrini e 1 sloveno, con tutte le sue contraddizioni, sembra essere ancora, semplicemente, la Jugoslavia. Sarà l’efficace Spagna della Quinta del Buitre l’avversaria negli ottavi di finale. Le due selezioni scendono in campo al Bentegodi convinte che sia arrivato il loro momento. La differenza la fa un uomo con la 10 sulle spalle. Stojikovic illumina, gestisce e risolve. E’ in stato di grazia e difatti firma la rete del vantaggio con un gesto tecnico eccezionale. Una palla spiovente lo raggiunge in aria di rigore, finta il tiro al volo mandando a vuoto Martin Vazquez, con il destro accarezza la sfera e la incolla al suo scarpino. Il resto è troppo facile, palla all’angolino e portiere battuto. La Spagna pareggia subito dopo, ma questa è la giornata del ragazzo di Niš. Al secondo minuto supplementare calcia una punizione magistrale, la palla sorvola la barriera e si insacca alle spalle dell’incolpevole Zubizarreta. La Jugo avanza e con essa la speranza che la dissoluzione si possa arrestare. Sul cammino verso il miracolo ci sono però gli indigesti di Buenos Saires ed un diez che ha negli occhi il fuoco d’un legionario romano. Per quella maglia albiceleste è pronto a tutto, anche ad aggiungere un miorilassante nell’acqua dei Brasiliani negli ottavi di finale. I Blu dimostrano tutto il loro talento, rimangono in 10 al 31’ ma continuano a giocare come sanno. Cambi di gioco repentini, dribbling elegantissimi, sponde precise ma sottoporta sbagliano tutto; hanno almeno 3 occasioni da goal chiarissime, ma per eccessivo zelo non si concretizza nulla, la sintesi della Jugo. Anche stavolta i rigori faranno da giudice. Surrizuela è il primo dal dischetto. Goal. Stojikovic s’appresta a battere, con quel suo destro può tutto, anche spedirla sulla traversa. No goal. Burruchaga, portiere spiazzato. Goal. Prosinecki, rigore perfetto. Goal. Sul 2 a 1 per gli Argentini tocca al più grande di sempre. Maradona contro ogni previsione si fa ipnotizzare da Ikvocič. No goal. Savicevič insacca facilmente. Goal. C’è ancora una speranza. Troglio colpisce in pieno il palo. No goal, 2-2. Brnovič la passa a Goicochea. No goal. Dezotti non sbaglia. Goal. Il peso di 7 popoli, 3 religioni, 2 alfabeti e una nazione che sta per scomparire è tutto sulle spalle di Hadzibecić. Il difensore prende la rincorsa, apre il piatto destro ed imprime la giusta forza al pallone. Goicochea intuisce, il tiro è a mezza altezza, parata. No goal.
L’ultimo pallone
E’ Faruk Hadzibecić l’ultimo Jugoslavo a toccare un pallone da calcio. Il miracolo non è avvenuto, la Repubblica socialista non esiste più. ‘Umirati u lepoti’, anche questa volta si è annegati nella bellezza. Questa l’essenza dei Plavi, questo il destino del loro popolo, una visione di tolleranza e fraternità evidentemente e tragicamente impossibile. Quando quei ragazzi serbi, croati, sloveni, musulmani, ortodossi o montenegrini, vestivano la maglia blu, la sola possibilità concessagli di abbandonare le proprie radici, la propria identità e cultura era bellezza. Sublimare nell’armonia fugace ogni evidenza d’un impossibile convivenza. Le differenze, le contraddizioni e incomprensioni trovavano sola compiutezza nell’estetica, in un attimo perfetto. La vittoria ha un’oggettività storica, un tempo falsamente eterno che può esser solo umano. La Jugoslavia non ha mai saputo che farsene della vittoria, perché le utopie, al pari dei sogni, appartengono ad una dimensione che esula le coordinate del nostro misero Universo. Lo spazio e il tempo dell’Arte devono necessariamente essere delle non-coordinate, loro unico requisito d’esistenza l’abbattimento della dimensione stessa. La non dimensione, il rischio del nulla, la sensazione puramente divina che tutto questo non basti e il presentimento, così chiaro negli occhi degli Slavi del sud, che, follemente, sia esattamente così.
Complimenti per la memoria storica. Giusto durante gli ultimi mondiali in Russia con un collega ci eravamo divertiti a creare una ipotetica Jugoslavia…… probabilmente la finale sarebbe andata in maniera diversa!
Handanovic
Kolarov Lovren Milenkovic Kolasinac
Modric Pjanic Milinkovic-Savic
Kovacic Ilicic
Dzeko
Sarebbero questi adesso.. un centrocampo niente male (Rakitic e Perisic in panca)