Mentre procedo, la testa si abbassa, ciondola per il peso dello zaino e per il sole. Mai una nuvola in cielo, poche piante ad ombreggiare la strada, campi di grano di qua e di là: “è la Meseta, cocco di mamma”, 300 km di giallo arso e azzurro in alto. Sassi, sassi, sassi, li calcio per sfida, tanto per vedere quanti metri riesco a portarmene avanti uno, senza farlo cadere nei fossi ai lati. Penso a questi isolati paesi muti, alcuni ancora con case messe assieme a sterco e paglia. Nessuno in giro, cani alla catena abbaiano per ore, in casolari di polvere. Frittate con patate, che qui chiamano tortillas, ma come si fa con questo caldo? Cerco frutta, trovo oblunghi meloni verdi, dolcissimi. Tendinite, merda, serve unguento. Giungo a Carrion de los Condes e qualcosa cambia in me, per lo meno nella condotta schiva, abituata alla lunga solitudine. Faccio amicizia con una compagine di italiani e ungheresi, lego con Lorenzo, un marchigiano che ha deciso di partire senza biglietto di ritorno. Scopro che abbiamo fatto la stessa strada, pure lui da Lourdes. Mi racconta che non tornerà in Italia, cercherà lavoro sulla strada, magari in qualche fattoria in cambio di vitto e alloggio. Intuisco che è sincero, non il solito mitomane flippato co’ Kerouac, lo ammiro molto. Io invece? Che farò? Caccio via la domanda.
All’albergue si cambia registro, questo è gestito da suore. Quando arrivo mi fanno sedere, domande generiche, poi un programma degno di un novizio: preghiera comune, momento musicale comune, messa con benedizione comune, cena comune. Sbrocco insofferente ed esco a procurare viveri. M’arrangio. Nel tardo pomeriggio mi accomodo nel chiostro, scrivo un articolo al telefono bevendo vino, quando la mia attenzione è catturata da una musica bellissima. Che fare? proviene da dentro. Decido di assecondarla ed entro. Tutti già siedono in cerchio, vengo richiamato all’ordine, mentre tre suore con chitarre acustiche intonano gli antichi canti dei pellegrini. Cala così la maschera del reietto, ho un cedimento emotivo. In chiesa, per la benedizione singola, ritrovo una di quelle monache, quella che cantava: mi mette una mano in fronte, la segna e stringe le tempie, mi consegna quindi una stella di carta e poi dice: “anche se sarai stanco e il peso sulle spalle sarà gravoso, guarda sempre in alto, mai a terra, questa stella ti ricorderà dove posare il sguardo”. Ora sono certo che giungerò alla meta. Ci credo.
Sono a Leon, dopo lunga periferia orribile, la città si disvela in tutta la sua bellezza, non meno di Burgos. C’è Lorenzo, i nuovi amici ungheresi, si festeggia. Nell’ostello saremo almeno in cento, quindi esco furtivo, visito per ore il museo della cattedrale, poi aperitivo in un bar elegante, anche se sono abbigliato come un disgraziato. Il mattino dopo girano mille camion della nettezza, perché di notte gli spagnoli fanno i matti. Procedo verso Astorga, dal glorioso passato: qui giovani ragazze, infermiere tirocinanti, prestano cure agli acciacchi dei pellegrini (…). Supero Ponferrada, la Gardaland dei Templari, quindi si palesa l’inevitabile: l’Alto do Cebreiro, 1300 metri d’altezza decisamente impegnativi. Questo è il confine naturale tra quella che finora mi è sembrata Spagna, e la Galizia. Un altro mondo. Si sale nei boschi fitti, come se dopo così tanti chilometri fossi tornato da dove sono partito, dai Pirenei. Cavalli, bestie al pascolo, case di pietra, limpidi torrenti d’acque fredde, dove fare il bagno, sotto un ponte a schiena d’asino. Si dorme in villaggi medievali riconvertiti ad ostelli. Lassù, in cima, si nota chiaramente il concetto di avanti e indietro. Indietro non esiste più.
L’entrata in Galizia è confortata da clima fresco e buonumore, il paesaggio è stupendo, i paesi sulla rotta corrosi dal verde. Ho perso tutti quelli che ho conosciuto, da molti giorni, e mi ritrovo in un borgo dimenticato da Dio, l’alloggio in lieve altura dà sulle campane della chiesa, velate solo dai panni stesi. Sono in compagnia di inespressive ragazze olandesi, quando entra Serafino. Un solo punto cottura, tre nordiche alle prese con la padella senza alcun criterio (per loro, tutto va messo in pentola allo stesso momento: condimento uova verdure pomodoro sottilette), un mantovano e un calabrese. Una barzelletta? Scacciamo le incapaci signorine dai fornelli e ci sfidiamo: burro contro olio, funghi contro peperoncino, formaggio sulla pasta o senza perché rovina tutto. Ridiamo come matti, tanto le olandesi non capiscono, quando all’improvviso entra Lorenzo, stanchissimo per i molti chilometri, ed è festa! Recuperiamo del vino bianco, fumiamo alcune sigarette al tramonto osservando dall’alto quelle poche case. Santiago è vicina.
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