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Note pop/rock come colonna sonora (diplomatica)

L'ambasciatore Lavezzo Cassinelli racconta le sue passioni musicali tra realtà sociale e politica

by Massimo Lavezzo Cassinelli
18 Maggio 2024
in Cultura
0
Sting nel videoclip “Russian”

Sono sempre stato appassionato di musica e di canto, prima, durante e dopo il mio ultratrentennale servizio in diplomazia. Il mio interesse si è particolarmente riversato sulla musica pop/rock in tutti i suoi aspetti, comprese le relazioni che ha sempre intrattenuto con la realtà sociale e politica.

La canzone che forse maggiormente rappresenta gli inizi della mia carriera è “Russians” (1985) di Sting. Ci trovavamo nel periodo delle “guerre stellari” e versi come “Mr. Reagan says, we will protect you”/I don’t subscribe to this point of view/Believe me when I say to you/I hope the Russians love their children too” non potevano non avere un forte impatto sul pubblico: per non parlare, dal punto di vista strettamente musicale, della sontuosa introduzione strumentale tratta da Prokofev. Alcuni, anche in Italia, accusarono il cantante britannico di qualunquismo, ma trovo che poche canzoni abbiano reso, come “Russians”, lo spirito di quei tempi, difficili ma comunque aperti, almeno da noi, al dibattito e al libero pensiero: cosa che oggi, in circostanze per certi versi analoghe, non sembra stia avvenendo nella stessa misura.

Sempre in tema di canzoni contro la guerra in vogain quegli anni, non posso non ricordare “99 Luftballons” (1984) della tedesca Nena  : un’ironica e amara ballata pop su 99 palloncini che vengono scambiati per velivoli nemici e quindi attaccati da “99 piloti di caccia, ognuno di loro un grande guerriero, ciascuno credendosi Capitan Kirk”, provocando così “99 anni di guerra”. Ed “Enola Gay” del gruppo britannico OMD, che divenne nel 1980 un vero cult soprattutto per l’insolito connubio fra sonorità dance anni Settanta e pacifismo antinucleare. Il cantante si rivolge così al bombardiere americano che sganciò la prima bomba atomica su Hiroshima: “Enola Gay, you should have stayed at home yesterday/Words can’t describe the feeling and the way you lie”.

Vorrei ricordare anche una canzone più antica, che appartiene a buon diritto alla storia della “controcultura” americana degli anni Sessanta-Settanta: “The Weight” di The Band, uno dei migliori gruppi rock-blues di tutti i tempi, cui oggi forse non viene attribuita l’importanza che merita. “The Weight” racconta la storia “on the road” di un viaggio a Nazareth, Pennsylvania, fra fondamentalisti evangelici e altri strani personaggi, di un uomo che avrebbe dovuto semplicemente portar loro dei saluti e si trova invece a ricevere una serie di risposte che mettono in luce l’ipocrisia di quella società. Il brano, uscito nel 1968, fu inserito nella colonna sonora del film “Easy Rider” di Dennis Hopper e venne fra l’altro presentato allo storico festival di Woodstock.

Restando in quegli anni, va ricordata anche “Love of the Common People”, canzone americana del 1970 anche se portata al successo oltre dieci anni dopo dal britannico Paul Young: una storia quasi dickensiana di povertà e disoccupazione, che evidenzia però la dignità e i valori positivi che animano i protagonisti: “ We’re living in the love of the common people/Smiles from the heart of a family man/Daddy’sgonna you a dream to cling to/Mama’s gonna love youas much as she can”. Valori molto tradizionali, in realtà.

Siamo passati, quasi inavvertitamente, dal tema delle prese di posizione contro la guerra alla critica sociale: temi “impegnati”, dunque, che prevalevano in quegli anni anche in canzoni sostanzialmente costruite per il successo di pubblico. A questo proposito, non posso non concludere con “Bohemian Rhapsody” (1975) dei Queen: geniale composizione dalle molte facce, forse ormai fin troppo citata e sfruttata –soprattutto dopo i quattro Oscar vinti nel 2019 dall’omonimo film sulla vita di Freddie Mercury – maper me indimenticabile soprattutto per i versi finali: “Nothing really matters/Anyone can see/Nothing reallymatters/Nothing really matters to me”. Conclusione applicabile a mio parere, in questi tempi bui, non soltanto al protagonista della canzone, condannato a morte, ma – è molto triste dirlo – a tutti noi “common people”, che ci troviamo nel bel mezzo di dinamiche mondiali sempre più pericolose, sulle quali non siamo in grado di influire.

Mi rendo conto a questo punto dell’opportunità di inserire in questo pezzo, forse un po’ troppo pessimista, un accento diverso: ebbene, sono appassionato anche di opera lirica! Forma d’arte, peraltro, mai esente da accenti critici nei confronti della realtà del tempo.

Esempio principe, direi, l’anticolonialismo/antiamericanismo della “Madama Butterfly” di Giacomo Puccini: “Dovunque al mondo lo Yankee vagabondo/si gode e traffica sprezzando rischi/Affonda l’ancora alla ventura(…)/finché una raffica scompigli nave e ormeggi, alberatura./La vita ei non appaga/se non fa suo tesor i fiori d’ogni plaga”.

@barbadilloit

Massimo Lavezzo Cassinelli

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Tags: DiplomaziaMassimo Lavezzo Cassinellimusica

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