Ora e sempre Tomasi di Lampedusa. Il best-seller del principe siciliano non è stato di certo uno dei libri più venduti al Salone Internazionale del Libro di Torino, che si chiuderà oggi (lunedì 13 maggio); ma Il Gattopardo rimane il romanzo-emblema del principale evento editoriale italiano. Un’edizione, a leggere i titoli dei giornaloni (sia pure in via di ridimensionamento), che dopo la sostituzione del direttore filo-Pd Nicola Lagioia con Annalena Benini avrebbe dovuto sancire la presa della cultura da parte della destra governativa.
Se un cambiamento c’è stato, qualcuno ci avverta. Perché a visitare in lungo in largo i padiglioni del Lingotto nessuno se n’è accorto. Anzi, rispetto all’edizione dello scorso anno – che aveva ospitato parecchi eventi scoppiettanti, culminati con la vistosa passerella dell’ideologo della Nouvelle Droite Alain de Benoist, ricevuto niente meno che dal ministro Sangiuliano in collegamento da Roma – c’è stato un deciso arretramento nella presenza di scrittori e intellettuali a torto o a ragione definiti di destra.
In compenso si è assistito a un piagnisteo sinistrese che neanche ai tempi ruggenti di Lagioia, per cui il messaggio arrivato ai visitatori poco attenti (e ai lettori dei suddetti giornaloni) è stato che il povero Salman Rushdie mezzo accecato è uno scrittore perseguitato esattamente come Roberto Saviano (foto a sinistra), mettendo sullo stesso piano la “fatwa” degli ayatollah con una querela per diffamazione intentata dalla premier Meloni per un insulto gratuito. Oppure che la libertà d’espressione è in pericolo perché la polizia entra nelle università dove sono in corso pacifiche proteste degli studenti e ora gli intellettuali hanno persino paura di parlare (copyright il premio Pulitzer Elizabeth Strout). O ancora che bisogna abbandonare i libri per scendere in campo contro Trump «traditore, razzista e fascista», parola del celebre scrittore noir Don Winslow, grande esperto di gang criminali e cartelli della droga.
Al Salone in mano alla destra è ricomparso anche il vecchio Walter Veltroni, mettendo in guardia i lettori dai pericoli del populismo; e si è fatto sentire il papà della possibile europarlamentare Ilaria Salis, che si è detto «fiero» della figlia in carcere da 14 mesi a Budapest con l’accusa di tentato omicidio colposo. Mentre un’altra famosa giallista, Alicia Gimenez Bartlett, ha bacchettato le gravi eredità lasciate da patriarcato e franchismo nel suo Paese, la Spagna a guida socialista-catalanista. Sotto le volte del Lingotto è poi andata in scena la beatificazione di Michela Murgia, «santa laica e antifascista» (sic); e il martire Antonio Scurati ha potuto denunciare con veemenza «la svolta illiberale» in atto in Italia.
Di personaggi ascrivibili alla destra, invece, se ne sono visti pochini. A parte i ministri Sangiuliano e Valditara, presenti per dovere istituzionale, Pietrangelo Buttafuoco è comparso in un convegno minore; Franco Cardini si è occupato di libri strettamente storici, gli appuntamenti di Vittorio Sgarbi sono stati cancellati in quanto candidato alle prossime Europee. A questo proposito anche la Regione Piemonte, padrona di casa e lo scorso anno promotrice di numerosi eventi politicamente significativi nel segno della cultura di destra, questa volta ha fatto un passo indietro. A giugno si vota per le Regionali, è stata la giustificazione, perciò per evitare polemiche non è opportuno concedere passerelle ad assessori e candidati. Giusto. Però sarebbe bastato organizzare incontri su temi “forti” e valoriali lasciando fuori i politici e coinvolgendo scrittori e intellettuali, com’era stato fatto nel 2023. Invece si è scelto il bassissimo profilo puntando su temi letterari, sport, paesaggi vitivinicoli e patrimoni storici, lasciando spazio a convegni dai titoli esplicitamente ideologici come “Le infinite possibilità delle vite lgbtq+” e “Il femminismo di Aida Ribero”.
Anche gli storici editori di area presenti a Torino – da Eclettica del deputato FdI Alessandro Amorese a Idrovolante di Daniele Dell’Orco, fino a Giubilei Regnani-Historica di Francesco Giubilei, per finire con le elitarie e raffinate case editrici Settecolori e Medhelan – hanno scelto di far parlare i propri cataloghi, limitando al minimo presentazioni e incontri con gli autori. E allora, paradossalmente, l’unico editore di area governativa che ha deciso di avanzare vere proposte di politica culturale sono state le Edizioni Sindacali dell’Ugl, che hanno ospitato un intenso programma su temi del lavoro, delle trasformazioni tecnologiche, della riconversione industriale e dell’intelligenza artificiale. Ospiti autori, giornalisti e studiosi di livello come Marco Valle, Augusto Grandi, Francesco Carlesi, Domenico Di Tullio, Andrea Scarabelli, Mario Bozzi Sentieri, Giuseppe Del Ninno e Luca Lezzi.
Per il resto, nulla. Del presunto assalto al tempio della cultura laica e democratica non c’è stata traccia. Come dire: anche questa volta l’egemonia culturale la conquistiamo il prossimo anno.
Più che mai culturame fazioso, senza qualità, antistorico, falso e bugiardo. Che cosa mai abbiamo da spartire con quei cialtroni?
Quanta invidia! E a piangere sono quelli di sinistra! Comanda il mercato e senza pubblico i programmi chiudono! Rai docet!