Sotto un sole senza pietà, umane processioni avanzano stancamente tra polvere e sassi; siamo tutti diretti al paese dopo, alla ricerca del posto letto, di una doccia, qualcosa da mangiare, ombra e acqua. Non mancano le strutture dove riposare, siano queste religiose (oratori, conventi), pubbliche (ex scuole) o private, tuttavia non è raro trovare esaurito. Un rapido sondaggio mi conferma che i devoti sono pochi, la maggioranza “fa un’esperienza”. Ma perché no il Burkina Faso, allora? Lo ammetto, gli altri pellegrini mi stanno mediamente sui coglioni: troppi, sorridenti senza motivo, petulanti chiacchieroni in comitive post Erasmus, sempre acciaccati – finti martiri senza fede, pallide ragazze nordiche ustionate da subito, senza peraltro raggiungere l’estasi – seppure giovani e ben riforniti di integratori (doping?), recitanti la parte del viandante ma con bus e taxi a disposizione. Dietro l’angolo. “Buen Camino”, me lo sento dire circa cento volte al giorno, come in un galateo di chi viaggiando più veloce si scusasse così del sorpasso. Li ritrovo poi qualche chilometro dopo chini sugli smartphone, esausti. Lo siamo tutti, a che pro atteggiarsi a maratoneti? Che palle, dopo un po’ difatti borbotto “Buen camino un cazzo”. Decisamente non mi sono integrato.
Trovare una branda per tempo, ecco il mio scopo quotidiano, tanto ormai le gambe viaggiano da sole, sempre seguendo la freccia gialla. Prima arrivo alla meta quotidiana, più tempo mi rimane per visitare le bellezze del luogo senza il peso dello zaino. Mio Dio gli americani… non dovrei, ma proprio non riesco a sentirli, con quel loro inglese deforme che urta come una bestemmia all’orecchio; chiassosi, svuotano zaini sui letti a castello saturi di gadget inutili, pomate, gocce, auricolari, tablet, diavolerie urbane. Sembrano in vacanza, con quella simulazione del sacrificio che non dovrei giudicare. Si, mi concedo segrete insofferenze, cinismo da stanchezza, ben sapendo che una volta ritirata la Compostela (pergamena a suggello del pellegrinaggio), sarò assolto da tutti i peccati. Tanto vale esagerare, prima di arrivare alla meta. Raggiungo Viana, è domenica e la gente ben vestita esce da messa, donne bellissime che guardo ammirato. Al Café Bordon ci sono i suonatori di fisarmonica, ordino un gin tonic e mi portano una coppa ghiacciata con Mare, grani di pepe, liquerizia, arancio. Spettacolo. L’impianto della chiesa gotica, senza tetto, è l’ultima cosa che vedo, dalla finestra dell’ostello prima di dormire. Supero poi la prima grande città, Logrono, assaporando così l’ebbrezza di camminare nel traffico. Il centro urbano, all’uscita, si dissolve in un parco pubblico sterminato, quindi in una riserva ecologica. Salita estenuante per raggiungere il borgo successivo, di sera il deserto, c’è Italia – Spagna agli europei di calcio ed io mi trovo a Navarrete tra mille bandiere Rojigualda.
Vigneti ordinatissimi tutt’attorno, ovunque per molti chilometri. Sono nella Rioja e ne approfitto: dietro l’abside della chiesa di Belorado, sotto i panni stesi, stappo una bottiglia di rosso, che accompagno a salumi e formaggi sempre troppo salati. Gli altri pellegrini si baloccano nel preparare la cena comune, alla quale non partecipo. Posso fare ciò che voglio almeno qui? O c’è del protocollo pure tra finti disperati? Arrivato nell’albergue, sento la necessità di isolarmi. Pensare, scrivere, cercare un momento di intimità. A questo punto me ne sbatto altamente delle ragioni degli altri, delle motivazioni per le quali, del senso profondo del Cammino, delle voglie di confidarsi. Stanchezza. Si procede per paesi che sembrano cittadine, ma in realtà sono quasi disabitati, talvolta spettrali. Cammino solo al mattino, partendo prestissimo, visto che da mezzogiorno in poi il caldo diventa insopportabile.
Senza intoppi guadagno Burgos, attraversando un’infinita periferia industriale. Grazie all’aiuto di una ragazza svedese, trovo alloggio in una piccola pensione gestita da suore. Il centro storico è meraviglioso, la cattedrale imponente uno dei massimi esempi di architettura gotica. Cedo facilmente ai piaceri del luogo, dapprima con un gin tonic (recidivo), poi intrufolandomi in strette vie, finendo quindi in una minuscola piazza chiusa. C’è una festa studentesca, un alcol party si direbbe. Mi aggrego, quindi accade un fatto che mi lascia di stucco: giungono tre musicisti di strada, con strumenti tradizionali tipo cornamuse, pifferi e tamburini. I ragazzi cacciano via il dj con le sue moderne canzoni tamarre su chiavetta, e si mettono a ballare come matti al ritmo della Jotas. Saluto Burgos con dispiacere e mi immergo di nuovo in campagna. Degni di nota i ruderi gotici dell’Hospital General de San Antón, l’atmosfera da far west di Boadilla del Camino (una colonna dei flagellanti con il nulla attorno), l’Ermita di San Nicolás di Puente Fitero dove sventola la bandiera italiana. La pieve romanica è infatti gestita dalla confraternita di San Jacopo (Perugia). I volontari mi offrono un caffè, dopo aver apposto il sigillo sulla mia credenziale. E’ una splendida mattina di Luglio e ho una gran voglia di camminare, di ridere, di conoscere. Sono felice, tra qualche giorno sarò a Leon e avrò quindi fatto più chilometri di quelli che me ne mancano.
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