C’è poco da gioire per la sentenza della Cassazione resa pubblica ieri. I titoloni come «Cassazione: “Migranti devono conformarsi a nostri valori”» hanno fatto improvvisamente balenare la speranza che la deriva antinazionale degli ultimi decenni potesse finalmente invertirsi, ma non c’è nulla di tutto questo nel dispositivo emesso dalla suprema corte. Al contrario, c’è da esserne molto preoccupati. Non foss’altro perché a salutare questa sentenza con entusiasmo è stato Giancarlo Perego, direttore di “Migrantes”, l’organismo della CEI che si occupa di sostegno all’immigrazione, che evidentemente ne ha colto gli aspetti meno mediatici ma più sostanziali.
Il fatto asceso agli onori della cronaca è presto detto: la Cassazione ha respinto il ricorso di un indiano sikh condannato a duemila euro di ammenda dal Tribunale di Mantova, nel 2015, perché il 6 marzo del 2013 era stato sorpreso a Goito (MN) mentre usciva di casa portando con sé il tradizionale kirpan, un coltello rituale lungo quasi venti centimetri. Il kirpan, assieme al turbante, al bracciale, al pettine, alla capigliatura e alle brache sono simboli della religione sikh e sono imposti a ogni maschio. Per questo l’indiano aveva ricorso in Cassazione contro la multa e la sua richiesta era stata condivisa dalla procura della Suprema Corte che aveva chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza di condanna.
La Cassazione invece ha rovesciato la tesi della procura, sostenendo che “non è tollerabile che l’attaccamento ai propri valori, seppure leciti secondo le leggi vigenti nel paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante”. Grandi festeggiamenti da parte degli identitari meno avveduti, che hanno creduto di scorgere in queste parole una “difesa” dei valori tradizionali italiani.
Sfortunatamente gli altri dettagli della sentenza emersi dalla stampa non consentono alcuna ottimistica interpretazione in quel senso.
La Suprema Corte, infatti, non è intervenuta in difesa dei “valori italiani” bensì a puntello della “società multietnica”. Secondo la Cassazione, infatti, “in una società multietnica la convivenza tra soggetti di etnia diversa richiede necessariamente l’identificazione di un nucleo comune in cui immigrati e società di accoglienza si debbono riconoscere. Se l’integrazione non impone l’abbandono della cultura di origine, in consonanza con la previsione dell’art. 2 della Costituzione che valorizza il pluralismo sociale, il limite invalicabile è costituito dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante”. La sentenza continua puntualizzando che “è essenziale l’obbligo per l’immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale”.
Attenzione: “diritti umani”, “civiltà giuridica”, “valori del mondo occidentale”, il tutto all’ombra del “pluralismo sociale”. Non c’è alcun riferimento alle tradizioni italiane, che peraltro non sarebbero minimamente intaccate dall’inoffensiva esibizione di un pugnale rituale che spesso è privo del filo, e dunque del tutto innocuo.
Giustamente “Il Fatto Quotidiano” sottotitola il suo articolo sul caso mettendo l’accento sui due corni della sentenza: la società è multietnica ma non si deroga sulla sicurezza. I valori tradizionali italiani non sono minimamente presi in considerazione, mentre semmai la sentenza è tanto contro il diritto dell’individuo all’autodifesa (anzi, il pugnale sikh è simbolo della difesa degli inermi, più che della propria, e non è un’arma d’offesa) quanto al rispetto di una tradizione secolare, ripetiamo, del tutto innocua.
In un altro passaggio della sentenza la “società multietnica” è definita “una necessità”, che va sostenuta combattendo gli “arcipelaghi culturali”. Il corollario di questa espressione è ben chiaro a chiunque. Uniformità progressiva ope legis a un modello globalizzato di società.
Poi, a quali fonti di diritto si è rifatta la Suprema Corte? Non certo alla Costituzione, quella che sembra sempre più essere diventata un impiccio piuttosto che un testo imprescindibile. La carta fondamentale del diritto italiano, infatti, stabilisce che (Art. 19) “tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”. Poiché in questo articolo non si fa cenno all’ordine pubblico, “minacciato” da un simulacro di pugnale la cui pericolosità non è maggiore di tante armi improprie legalmente possedute dalla gente (dai bloccasterzo a forma di mazza agli spray urticanti), la Cassazione fa appello a quegli ordinamenti europei che stanno ammazzando ogni giorno che passa la nostra civiltà tradizionale, nella fattispecie l’articolo 9 della Convenzione europea sui “diritti umani” (“la libertà di manifestare la propria religione […] può essere oggetto di quelle sole restrizioni che […] costituiscono misure necessarie in una società democratica, per la protezione dell’ordine pubblico della salute o della morale pubblica o per la protezione dei diritti e della libertà altrui”), evidentemente diventata più importante come fonte di diritto perfino della Costituzione della Repubblica Italiana.
Questa sentenza, dunque, ben lungi dal rappresentare una difesa delle tradizioni italiane, è un attacco alle tradizioni di un altro popolo, la cui antica e nobile civiltà è del tutto inoffensiva nei confronti della nostra e le cui comunità – piccole e discrete – non hanno mai preteso dagli italiani la modifica di leggi e stili di vita per far loro posto. Al contrario di tante altre minoranze sempre più arroganti e spalleggiate da media, ONG, partiti, giudici e clero ultramodernista…
Ci sono pochi dubbi che questa sentenza costituirà un ben triste precedente e per estensione ispirerà l’erosione dei valori tradizionali italiani. Se infatti il bene supremo sono la “società multietnica” e i “valori” del mondo occidentale, si fa presto a identificare quali saranno le prossime teste a cadere sacrificate sull’altare di questi due moloch. Ricordiamoci che è sempre nel nome di “ordine pubblico” e “sicurezza” che vengono concepiti i più duri giri di vite, destinati presto o tardi a tritare nei loro ingranaggi anche gli irenisti del “male non fare, paura non avere”…
(foto: opera derivata, autore originale Charles Haynes, CC 2.0 sa by)