C’è un’inguaribile rivalità fra olandesi e tedeschi. Nel calcio ancor di più. Due visioni inconciliabili, potenza ed efficienza da un lato, eleganza ed estro dall’altro.
C’è stato un momento – che ormai quasi trent’anni sono passati, ma paiono ancor di più – in cui Milano era l’arena in cui si consumava lo scontro finale tra Olanda e Germania. Non c’erano ancora i cinesi ma c’erano Rijkaard-Gullit-Van Basten con la maglia rossonera contro Brehme-Klinsmann-Matthaus con quella nerazzurra.
Lothar Matthaus, appunto. Fu l’ultimo dei panzer. Potentissimo, dotato di una visione di gioco eccezionale, tecnicamente fortissimo. Ci mise poco a riscattar l’onore della Germania nel cuore dei bauscia, delusi dall’ondivago Kalle Rummenigge.
L’Inter vuole vincere, Ernesto Pellegrini (il cuoco degli Agnelli, ricordate?) la costruisce puntando in alto. In panca si siede Giovanni Trapattoni. La società va a pescare, ancora, dal Bayern che già aveva rifilato Rummenigge. Spende poco meno di otto miliardi di lire dell’epoca (anno di grazia 1988) e arrivano a Milano Lothar Matthaus e Andreas Brehme. Quello stesso anno arriverà in nerazzurro anche un altro centrocampista che scriverà le pagine più belle della storia interista, Nicola Berti.
È uno squadrone, in porta c’è Walter Zenga, in difesa lo zio Bergomi, Riccardo Ferri e Baresi senior. In attacco si fa notare il giovane Alessandro Bianchi, arrivato quell’anno dal Cesena. Poi ci sono la certezza umile di Ramon Diaz e la testa famelica di Aldo Serena, il talento selvaggio del balente Gianfranco Matteoli.
Non lo sanno ancora, a Milano. Ma quella sarà una delle stagioni più belle dell’Inter. Finirà con lo scudetto dei record, cinquantotto punti quando la vittoria ne valeva solo due. Il titolo estorto al San Siro, al Napoli di Careca e Maradona. Estorto, già. Perché sarà una furba punizione dal limite di Lothar Matthaus a consegnare – a diciott’anni di distanza dall’ultimo – lo scudetto all’Inter.
E’ il 28 maggio del 1989. Il Napoli si presenta al cospetto dei nerazzurri con il rientro a sorpresa di Diego Armando Maradona. Gli azzurri vanno in vantaggio con Careca, nel primo tempo. È una rete stupenda. Nel secondo tempo l’Inter si scuote e una botta calciata da Nicola Berti, sugli sviluppi di un corner, incoccia sulla schiena del povero Luca Fusi che beffa il suo portiere. Pari, ma non basta. Vincere consegnerebbe lo scudetto subito. Si arriva all’83esimo minuto, e l’arbitro fischia la punizione dal limite per l’Inter.
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Davanti a Lothar Matthaus c’è una barriera foltissima, sono in sei a separare lui dal compianto Giuliano Giuliani, estremo difensore degli azzurri. Da un tedescone ci si aspetta la botta, il siluro terra-aria che magari si insacchi facendo rumore. Invece Matthaus sceglie di scoccare un destro rasoterra che beffa tutta la barriera e si infila millimetrico vicino al palo alla destra del portiere. Gol, Milano (nerazzurra) impazzisce: può finalmente tornare a ricamarsi lo scudetto sulla maglia. Lothar entra nel cuore dei tifosi anche nel dopoguerra: “Uno scudetto qui? Vale come tutti e tre quelli vinti con il Bayern”.
Tra l’Inter e Lothar Matthaus la storia d’amore va avanti, passa per una Coppa Uefa vinta nel ’91 ai danni della Roma ma prima si ferma a Italia ’90 quando la sua Germania alza la Coppa sotto il cielo di un’estate italiana che non scorderà tanto facilmente.
Un amore grandissimo, finché qualcosa non si rompe. Nel caso specifico, i suoi legamenti crociati, a Parma, nel 1992. Tornerà a Monaco, dove – ultimo dei Panzer – firmerà tutti i record possibili. Giocherà cinque mondiali, terminerà la carriera come libero così come facevano i grandissimi negli anni ’60 e ’70.