Erano le 14.10 quando chiamarono l’imbarco del volo AZ 610 diretto a New York. Salii a bordo… presi posto vicino al finestrino… attesi la partenza guardando fuori. Il viaggio era lungo… oltre nove ore di volo e molto tempo per pensare… non ero una fan dell’America… non era mai entrata nei miei programmi in nessun modo… essere nata in piccolo centro di provincia… adolescente negli anni ottanta e crescere guardando telefilm americani… trasmessi dalla TV… non aveva certo giocato a suo favore nel “mio immaginario”… anzi… la trovavo piena di contraddizioni… bigotta… puritana… moralista… borghese… provinciale… e io che sognavo la fuga dalla Mia di provincia ponevo altrove la mia frontiera.
Un monitor ci segnalava la rotta… l’evoluzione della tecnica… pensai alla traversata atlantica del 1933 capitanata da Italo Balbo… ai loro mezzi e alla loro audacia… quando 24 idrovolanti italiani con 127 uomini a bordo ammararono nella baia di New York.
Ho visto un video di recente a un convegno organizzato dall’Associazione culturale M.Arte proprio su questa eroica impresa… Il sindaco di Chicago proclamò quella giornata «Italo Balbo’s day»… gli dedicò anche una strada… la 7^… che da allora si chiama “General Balbo Avenue”… a New York il traffico si fermò, tutti accorsero lungo le rive dell’Hudson per vederli arrivare, mentre le sirene delle navi emettevano un unico assordante fischio di saluto… per quella che anche lo stesso Lindbergh dichiarò ai giornali essere il più grande avvenimento mai compiuto nella storia dell’aeronautica mondiale.
Gli italiani d’America impazzirono di gioia, era il loro riscatto… arrivati con le scarpe bucate e la valigia di cartone… (come da stereotipo) la madre patria arrivava dal cielo… l’orgoglio di essere italiani… una grande festa accoglierà i trasvolatori al Madison Square Garden, lo stadio più grande degli Stati Uniti… lo stesso dove neanche un mese prima Primo Carnera era diventato l’uomo più forte al mondo, il primo campione mondiale dei pesi massimi “italiano” nella storia del pugilato… pochi mesi dopo Fiorello La Guardia diventerà sindaco di New York… anche il capo di una tribù Sioux … celebrò l’impresa… e investi Balbo del titolo di “grande capo Aquila Volante”!
Che Italia era quella… all’Avanguardia.
Ho letto da qualche parte che, finita la guerra, venne nominato ambasciatore a Washington un tal Alberto Tarchiani… che nel tentativo di azzerare il fascismo e tutte le sue eroiche imprese… chiese ufficialmente al sindaco di Chicago di rimuovere la dedica della strada… nel tentativo di eliminarne le tracce… ma il sindaco, Stupitissimo, chiese: “Perché, Balbo non ha trasvolato l’Atlantico?”… L’antifascismo ha fatto sfracelli… il peggior nemico dell’Italia… pur di accreditarsi ha distrutto tutto… azzerato ogni cosa… nellabramosia di distruggere il fascismo è stata distrutta l’Italia e con essa la capacità degli italiani di gioire dei successi del proprio paese… di sentirsi artefici e protagonisti del loro destino e del destino del paese; che amarezza pensare oggi all’Alitalia… alla nostra gloriosa compagnia di bandiera… sempre sull’orlo del baratro… salvata di recente da un decreto governativo.
Atterrammo poco dopo le 18 all’aeroporto JFK… Ero con Anna… una mia collega… lei conosceva un po’ d’inglese… prendemmo un Taxi… e via, direzione Manhattan, il tassista parlava in continuazione… cercava di comunicare con noi… ma non capivamo nulla… e lui, credo, meno di noi… mostrammo la mail per leggere l’indirizzo… attraversammo il tunnel… e apparve l’isola… e poi giù per la Lexington direzione 57° strada… Guardavo il paesaggio piuttosto schematico… strade perpendicolari e parallele… grattacieli… blocchi di cemento, ferro e cristallo… pensai fosse veramente un altro mondo… un’altra concezione dell’abitare… lo sfruttamento dello spazio verticale… una proiezione verso l’alto che però non dava l’idea di mistico come i campanili delle chiese in Europa… ma piuttosto di una civiltà fallica… si… di potenza… di volontà di dominio…
Arrivammo all’Hotel 57… entrammo per il check in… lasciammo le valigie e poi subito fuori… a vivere la città… eravamo a New York… dove il tempo è denaro.
Facemmo il primo giro di perlustrazione… eravamo a due isolati da Central Park … in posizione strategica… entrammo da Starbucks per un caffè… una passeggiata fino alla V strada… le vetrine dei negozi… curiosammo da Victoria’s Secret… mentre il tempo passava… una leggera brezza arrivava dalla baia e la luce del sole lasciava spazio all’illuminazione artificiale: insegne luminose… scritte giganti… luminarie dappertutto… un mondo tutto colorato… tutta una pubblicità… un enorme luna park… luci dappertutto fino a ubriacare.
La prima mattina mi svegliai alle 7… indossai tuta e scarpette da ginnastica… andai a correre al Central Park… volevo fare tutto quello che fanno i Newyorkesi… come avevo visto nei film… passai davanti alla statua di Alice nel paese delle meraviglie, con il Cappellaio Matto, il Coniglio, lo Stregatto… la considerai il benvenuta a New York… e quello lo spirito con cui avrei dovuto affrontare la città.
Tornai in albergo… e poi all’Empire State Building… tornato ad essere, dall’11 settembre del 2001, il grattacielo più alto di New York con i suoi 381 metri… da lassù sembrava di dominare il mondo… il raggio dell’orizzonte era lunghissimo e per allungarlo ancora feci il gesto dei nativi americani… misi una mano sopra all’arcata sopraccigliare… avevo letto all’ingresso che gli indiani americani sono i più adatti a costruire grattacieli… non soffrono di vertigini.
All’uscita c’era un bus di quelli a due piani… di quelli per il giro turistico… salimmo… il percorso era: Times Square, Madison Square Garden, Macy, SoHo, Chinatown, Little Italy, sito del World Trade Center… poi Wall Street, Financial District, Battery Park South Street Seaport , Lower East Side, le Nazioni Unite, il Rockefeller Center, Carnegie Hall, Broadway Theatre District… sembrava di essere in un immenso set cinematografico… ogni angolo mi ricordò un film… e anche più d’uno per la verità…
osservare la città da due metri di altezza… dava un’altra prospettiva…
A Ground Zero… quei due metri servirono a vedere oltre le barriere… e permettevano di entrare con gli occhi dentro il cantiere… mi fece effetto… rividi il film della tragedia… ricordavo perfettamente quell’11 settembre… le prime agenzie di stampa… la diretta del Tg4… vidi in diretta il secondo aereo entrare nella seconda Torre e devo confessare che sull’onda emotiva pensai: ah ma allora qualcosa accade anche a loro… ma poi vidi le due torri accartocciarsi su se stesse… e implodere… provai vergogna per il mio pensiero… pensando alle vittime, alle vittime innocenti… pensando che è sempre il popolo a pagare il prezzo più alto dell’arroganza dei governi; in aereo seduto vicino a me c’era un italoamericano, sui 60 anni, con un medaglione gigante al collo raffigurante le due torri… oro bianco e diamanti… alla mia domanda: bello, cos’è? Mi rispose: il mio omaggio alle due Torri, sono un sopravvissuto e da quel giorno le porto sempre con me, il mio Talismano.
Attraversammo Manhattan…in largo e lungo… chilometri e chilometri a piedi… quartieri… gallerie d’arte… caffè… negozi… incontrammo molta gente… e al loro you are from? noi rispondevamo fiere Italia… alla parola Italia la gente si entusiasmava…
Dopo tre giorni ero perfettamente entrata nello spirito di New York… in questo immenso villaggio globale dove c’era spazio per tutti e per tutto… un po’ come nell’antica Roma, pensai… nel frattempo, per sopravvivere, avevo coniato una nuova lingua… praticmente le mescolavo tutte… un mix dei termini che conoscevo… funzionava… parlavo con tutti!
Un musicista di strada pensò fossi francese… dissi sorridendo: noooo, very terrible… i’m italian… e lui sorridendo mi cantò Azzurro…
Prendemmo la metro fino a Battery Park e da lì il battello per Ellis Island… l’isola dove venivano tenuti in quarantena gli immigrati arrivati via mare… sul battello mentre vedevo avvicinarsi la statua della Libertà… mi venne in mente “Caruso” la canzone di Lucio Dalla… oggi li c’è un “Museo dell’immigrazione” … non entrai… non amavo i musei… e poi li c’erano troppe sofferenze, troppo tormenti… non ero nello spirito giusto.
Da Battery Park… al ponte di Brooklyn… lo avevamo già visto dal mare, dal battello… ma attraversarlo a piedi fu emozionate… la pubblicità della gomma del ponte era stato uno dei tormentoni della mia giovinezza… vedere coi propri occhi e vivere i luoghi è sempre bello… è tutta un’altra cosa… anche il quartiere fu una scoperta… il quartiere degli italiani e del dialetto degli italoamericani… completamente bonificato ormai… aveva conservato lo spirito però… le insegne indicavano chiaramente che c’era molta Italia ancora… entrammo in un supermercato e molti i prodotti italiani esposti…
nel frigo, in bella vista, l’acqua minerale San Pellegrino… parcheggiate fuori alcune vespe Piaggio targate New York.
Arrivammo a quella che i newyorkesi chiamano la spiaggia… alla nostra sinistra si vedeva il Ponte di Verrazzano, quello della Maratona per intenderci, e alla nostra destra il Williamsburg Bridge… noi eravamo tra il Manhattan bridge e il ponte Brooklyn… Il ritorno fu una lunga camminata verso Central Park… attraversammo Little Italy… che ormai è rimasta solo una strada con qualche ristorante e poco più… nei giorni precedenti
mi ero divertita a leggere i nomi sui citofoni degli appartamenti… gli italiani si erano sparpagliati… abitavano a Nolita, nell’Est side… a Midtown… ci avevano messo anni… ma ci erano riusciti… l’emigrazione è un processo difficile… non ho mai creduto nell’integrazione di prima generazione… l’identità è troppo forte… così come le paure dell’ignoto…chi parte in cerca di fortuna ha bisogno di supporto… anche linguistico… deve farsi capire… e capire… soprattutto in una situazione di disagio economico… per i ricchi il discorso è diverso.
Volevamo ascoltare musica dal vivo… in albergo ci dissero che quella sera all’Iridium, uno storico locale jazz sulla Broadway, Les Paul avrebbe tenuto uno spettacolo… né io né Anna sapevamo chi fosse ma decidemmo di andare lo stesso… arrivò sul palco un vecchio signore con la chitarra… Les Paul appunto… era accompagnato da giovani artisti di spalla… mentre lui raccontava e descriveva… i giovani si alternavano con le loro performance… Les Paul ogni tanto prendeva il basso e suonava qualche accordo… dire spettacolo in realtà è parola grossa… lui parlava parlava e io non capivo assolutamente nulla… anzi no… qualcosa capii… quando fece il gesto del dito medio… sentivo la gente ridere e applaudire entusiasta… mi lasciai contagiare dal clima… mi abbandonati all’inconsapevolezza… e devo dire che alla fine la serata fu piacevole… sia per il clima che per il pubblico… per l’atmosfera e soprattutto per la personalità del “vecchio”.
Scoprirò solo al ritorno a Roma, cercando in rete, di aver assistito al concerto di uno dei mostri sacri della storia della musica mondiale… quel signore era il creatore della Gibson Les Paul… con la sua Gibson hanno suonato e suonano ancora i più grandi musicisti della storia della musica…della storia del Rock… e, anche se non avevo capito nulla quella sera, sapevo bene che anche quel che non si capisce all’apparenza, resta… si assimila… e tutto fa cultura.
Il 29 agosto la V strada… fu invasa da italiani… i supporter di Obama… tutti con la spilletta attaccata al petto… Yes We Can… arrivati dall’Italia per la Convention finale… Lo spirito di contraddizione mi fece avvicinare a un banchetto e comprai provocatoriamente delle spille del candidato repubblicano… Mc Cain… ma in realtà non mi interessava affatto chi fossè poi il nuovo presidente americano… non cambia mai nulla in termini di politica estera… e lo abbiamo visto… trovavo un po’ ridicola questa partecipazione della sinistra italiana alle sorti elettorali degli Stati Uniti… non capivo come si possa parteggiare per un presidente eletto solo dal 30% della popolazione del suo Paese? Praticamente i comitati d’affari… Veramente uno strano concetto della democrazia!!!
New York è piena di musei… grandi collezioni… e anche se li considero cimiteri dell’arte – preferisco le mostre a tema, le personali – decisi di fare una deroga… prima di partire avevo letto che la direttrice del Museum of Modern Art – MoMA era un’Italiana… così andai… non me ne pentii… mentre attraversavo le varie sale… vedo la statua di Boccioni… FORME UNICHE DI CONTINUITÀ NELLO SPAZIO… quella che è sui venti centesimi di euro per intenderci… mi guardai intorno… e mi resi conto di essere entrata nello spazio dei Futuristi… impazzii di gioia… amavo il Futurismo… c’era il meglio della produzione Futurista dentro quelle sale… anche il mio quadro proferito… FUNERALI DELL’ANARCHICO GALLI di Carlo Carrà… chiesi al custode se era possibile fare foto… rispose di si… ringrazia felice… e scattai foto a raffica… avevo visto alcuni di quei quadri in una mostra a via Nazionale, a Roma, qualche anno prima… ma li era tutta un’altra storia… erano bellissimi… provai anche una grande rabbia pensando a come i democratici del dopoguerra abbiano trattato il Futurismo… la morte di Marinetti a Salò segnò l’oblio e l’ostracismo per tutto il movimento… Sperai che per l’anniversario dell’anno dopo, 2009, il comune di Roma e l’Italia facessero un accordo col MoMA… ma la mia speranza restò una speranza… l’anniversario fu celebrato… ma sinceramente si poteva e si doveva fare meglio… vista la strana congiuntura astrale che si era verificata… e non con mostre curate da chi il Futurismo lo conosceva poco o poco lo amava. Uscii dal museo… con la consolazione che almeno nel resto del mondo… chi guardava quelle opere… le guardava per quello che erano… in quanto opere meravigliose… senza pregiudizio alcuno… e senza essere condizionato dalla pregiudiziale antifascista.
I giorni passavano e il gap della lingua era quasi scomparso… un pomeriggio al Central Park… seduta su una panchina… vedo arrivare un ragazzo di colore con una bottiglia d’acqua San Pellegrino… chiesi se potevo fare una foto a lui con la bottiglia d’acqua… la sua risposta fu: yes… ok… good… ci disse amava lìItalia.. e che la bottiglia d’acqua l’aveva presa in un ristorante italiano gestito da un suo amico calabrese… la percezione che l’Italia fosse amata l’avevamo già avuta più volte chiara e netta sia io che Anna… ci domandammo ma che fanno quelli che dicono che l’Italia è mal vista? Dove vanno? Con chi parlano? Arrivammo alla conclusione che i peggiori nemici dell’Italia sono gli italiani stessi e il loro provincialismo… l’arte di denigrare il proprio paese… la delazione continua… senza pensare che un torto fatto al nostro paese e all’immagine del nostro paese è un torto fatto a noi stessi.
Harlem… fu una vera scoperta… sembrava una città vuota… una città fantasma… enormi strade… larghe e deserte… pochissime macchine… l’avevamo lasciato per la domenica… sperando di riuscire ad ascoltare un coro gospel in qualche chiesa Battista… alcuni banchetti, lungo le strade, vendevano un po’ di tutto… comprai una foto autografata di B.B. King per dieci dollari… e dei Cd… in una chiesa c’era la messa cantata… ma non erano vestiti come nei film… ascoltammo un po’ e poi tornammo in strada… entrai in un negozio afro c’era un po’ di tutto… una specie di Bazar… curiosando tra gli scaffali trovai un libro… in copertina il Negus e Benito Mussolini… ma non lo presi… non so neanche io perché…. che errore, ancora oggi me ne pento… ma persi l’attimo…
Passeggiare per Harlem vuol dire camminare per Via Malcom X… via Martin Luther King… due paladini dei diritti civili degli afro-americani in America… ed è sui diritti civili che emergono tutte le contraddizioni degli Stati Uniti… il dividere il mondo in amici e nemici… tutta l’ipocrisia della super- potenza mondiale… questi protagonisti non sono databili alla guerra civile… sono storia recente… appartengono alla storia recente… era il 28 agosto del 1963 quando M.L.King tenne il suo celebre “I have a dream” davanti al Lincoln Memorial di Washington… circa vent’anni dopo lo sbarco americano in Sicilia… singolare no??? a vent’anni di distanza dall’8 settembre del 1943… la potenza mondiale che scende a patti anche con Lucky Luciano, la mafia americana, per liberare l’Italia e i popoli europei dall’occupazione nazifascista… non riconosce diritti ai neri americani?
Gli Indiani Americani sterminati… i Neri ghettizzati… sì… era veramente una grande democrazia l’America quando sbarcò in Europa… una grande tradizione democratica… una garanzia di libertà…e dei diritti civili.
Sono belle le contraddizioni della storia… a volte basta fare un gioco con le date… basta un incrocio… per smascherare il trucco… e svelare la mistificazione. Chissà se prima o poi la Storia riuscirà ad affrancarsi dalle ricostruzioni romanzate, chissà se si riuscirà a frantumare il pensiero unico??? Io credo di si… in fondo anche Nerone è stato riabilitato… dopo quasi 2000 anni è vero… ma la storia non ha nessuna fretta… e non fa sconti…il tribunale della storia è impietoso… Ezra Pound… fu rinchiuso in un manicomio criminale per 12 lunghi anni… non aveva commesso nessun delitto… solo per le sue idee… 12 anni al St. Elizabeth’s Hospital dal 1946 al 1958… tornerà in Italia e vi morirà a Venezia, nel 1972, dove è sepolto… Anche le pagine raccontate dai prigionieri di guerra… rieducati al campo di concentramento di Harenford… il “Fascists’ Criminal Camp”… meritano una menzione speciale.
L’ultima sera ci concedemmo una cena in un bel ristorante tra la V strada e il teatro Carnegie Hall… Anna ordinò un piatto credendo fosse una bistecca… gli arrivò un pomodoro a fette con del formaggio tipo philadelphia e una fetta di Lattuga… ci rimase malissimo… vedere la sua espressione fu un colpo di teatro… ma ormai ci eravamo abituate… gli equivoci fuorno frequentissimi… passato il primo momento di delusione… ci facemmo una risata… chiamai la cameriera chiesi un Fillet of Beef… al sangue… indicai, ribaltando la mano, anche la cottura… five minutes e five minutes… e questa volta finalmente ci capimmo!
Il viaggio stava per finire il giorno dopo con il volo AZ 611 alle 9 pm… saremmo tornate in Italia.
Dopo cena tornammo nel locale dove eravamo state la prima sera… dove avevamo avuto il battesimo dlela vita notturna Newyorkese… un uomo si avvicinò a noi… e indicando un tavolo con altre persone… ci invitò a bere… a bere champagne, disse… avevamo già ordinato le nostre due Corona… rifiutammo cortesemente da bere ma accettammo però l’invito… in Italia succede raramente di socializzare se non c’è un intermediario… si è perso completamente il gusto della conoscenza, anche i rapporti umani sono conformi…stereotipati… lo sforzo per capirci fu sovrumano… ma bellissimo… pensai che la curiosità umana sia l’anticamera della conoscienza…. E fa superare tutti gli ostacoli… abbatte ogni barriera… arricchisce… aggiunge e non toglie mai… non toglie nulla… a fine serata ci salutammo… e ciascuno per la sua strada.
Il nostro aereo era alle 21… ancora una giornata piena a disposizione… la passammo tra il Central Park e l’Est side… poi Anna andò al Guggenheim Museum e io presi l’87° … me ne andai verso il mare… volevo consegnare al mare un mazzo di fiori per tutti gli Italiani d’America… e cosi feci! Alle 18 rientrammo in albergo per le valigie… chiamammo un taxi dirette in aeroporto… al JFK… la mattina dopo, alle 9, eravamo a Roma… in Italia!!!
Era stato un viaggio bellissimo… una sfida vinta con me stessa e con i miei pregiudizi… ma anche una presa di coscienza dei limiti… tornai con la consapevolezza, non che ce ne fosse bisogno, che essere Italiani qualcosa nel mondo voleva dire… che non era poi così vero lo stereotipo: italiani uguale mafia pizza e mandolino… lo stereotipo è duro a morire solo per chi si è fossilizzato nel raccontare un’Italietta… e non l’Italia… lo stereotipo resiste ancora solo nelle menti contorte di certi intellettuali… l’Italia nel mondo era molto altro… è molto altro… è molto di più!!!