L’atteso annuncio è finalmente arrivato. Affidato a Salvatore Esposito, l’attore che presta volto, cresta e carni al baldo Genny Savastano: nun sapite chell’ che v’aspetta, la seconda stagione della serie di Gomorra comincerà dal 10 maggio. Saranno sei appuntamenti, doppi, per complessive dodici puntate. Chiaramente, sul canale Sky Atlantic che già avrebbe in cantiere pure la produzione della terza serie.
L’avevamo lasciato, Genny Savastano, in una pozza di sangue. Preso a pistolettate, sparato, in mezzo ai bambini che facevano ‘o spettacolo e cantavano in coro l’Osanna a Nostro Signore. Colpito (credevamo a morte) dall’ex sodale Ciro Di Marzio (interpretato da Marco D’Amore), detto l’Immortale che s’è girato con Salvatore Conte (Marco Palvetti), il più cazzimmoso di tutti. E mentre Ciruzzo e il compariello suo Rosario se ne scappavano, don Pietro Savastano (Fortunato Cerlino) – creduto pazzo al 41bis – viene liberato dai vecchi fedelissimi contro i quali proprio il figlio Genny aveva scatenato la guerra dei guagliuncielli.
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La prima stagione della serie di Gomorra, diretta da Stefano Sollima, è stato un successo clamoroso. Hanno funzionato la storia, i dialoghi ben strutturati e filologicamente puliti, tanto da esser necessari i sottotitoli per essere compresi a nord del fiume Garigliano. Le citazioni cinematografiche e le colonne sonore, dai neomelodici fino ai gruppi più interessanti della scena napoletana. Le prime dodici puntate hanno rispettato quello che, oggi, il pubblico realmente vuole: una macabra favola metropolitana. E, per cortesia, senza troppi pipponi sull’impegno civile. Nonostante l’intestazione, del Roberto Saviano “personaggio” c’è davvero poco. Invece c’è tanta ma tantissima subcultura pop. Dalla creste ai motorini – anzi i mezzi – dal culto parossistico delle immagini sacre al gusto quasi meroliano per l’acme da sceneggiata sullo sfondo di piazze di spaccio, circoletti, uommeni d’onore e femmene pittate. In mezzo, paccheri e piombo ed emarginazione a tutti i livelli. E droga e frasi storiche.
C’è tutta una serie di detti memorabili, frasi a effetto e tormentoni. E quelli sì che decretano il successo di una serie napoletanissima come Gomorra, ne abbiamo già parlato qui, a proposito del padre putativo del successo (anche) di quest’opera che è il film de Il Camorrista.
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L’obiettivo è stato raggiunto al punto che qualche buontempone c’ha fatto persino un’app. Si chiama I-gomorra e raccoglie, debitamente distinte e raggruppate per personaggi, tutte le citazioni dei protagonisti, maggiori minori o semicomparse, della serie. Imperdibile per i fanatici, i cultori e gli affezionati della serie. Così come sono diventate imperdibili le parodie, dai Jackal fino ai Ditelo Voi e Gigi e Ross di Made in Sud. Gomorra è diventato fenomeno popolare, più del film e – molto probabilmente – più del romanzo stesso di Roberto Saviano. Un successo che in tempi come i nostri, di moralismo a schiovere, ha fatto pure storcere il naso a qualcuno. Ma in pochi s’hanno da preoccupare. Conosco tanti che si son fatti carabinieri dopo aver visto Ris, ma nessuno che s’è fatto prete dopo aver seguito don Matteo. Ciò per dire che l’influenza è sempre relativa, mai assoluta. Anche perchè, questa della serie di Gomorra, è una storia inventata. È la realtà (su cui pure si basa Gomorra prima di prendere, per fortuna, la via della tangente della fantasia truculenta) è quella da temere davvero. Lo diceva pure Céline: è degli uomini e di loro soltanto che si deve aver sempre paura. Mica di un film.
@barbadilloit