Zico o Austria, urlavano quando la Federazione – moralista con i piccoli quanto indulgente con i grandi – voleva bloccare l’approdo friulano al Galinho, splendido esemplare di capitano di ventura pallonaro. Artur Antunes da Coimbra, quello delle punizioni che lo voleva pure Oronzo Canà alla Longobarda. Tanto pop quanto forte sul campo di calcio, oppose al bianconero aristocratico di Agnelli e Platini quello tignoso e tenace della provincia udinese.
Compie, proprio oggi, gli anni. Forse non è un caso che divida il giorno del compleanno insieme a un altro campionissimo del pop nostrano, seppur top player su altro campo e cioè quello cinematografico. Zico, come Tomas Milian, ha incarnato il sogno popolarissimo di sbattere in faccia ai padroni del vapore l’orgoglio di essere se stessi e, perchè no, di aver qualche volta ragione. Se Milian lo faceva sulla pellicola, Zico lo faceva sul rettangolo verde del Friuli.
Udine sognò lo scudetto, gli udinesi sottoscrissero abbonamenti biennali e il presidente Lamberto Mazza – in vena di investimenti – inciampò in Cosmo, il maxi-schermo più avveniristico dell’epoca. Zico indossò la casacca friulana in trentanove occasioni, dal 1983 all’85, andando a segno 22 volte. Fece parte della splendida generazione carioca che assistette all’uccisione del samba-football, le mani sporche di sangue ce l’avevano Paolo Rossi e Dino Zoff, al Mundial ’82. Fu la primissima generazione di fenomeni carioca che s’imbarcarono in Europa, in massa. Zico e Dirceu, Socrates e Falcao, Toninho Cerezo. Tutti grandissimi, tutti che si fecero leggenda (in un senso o nell’altro) ovunque giocarono.
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Quei calciatori potevano giocare anche in provincia, come Zico e Dirceu. Perchè si portarono dietro dal Brasile la mancanza di ogni tipo di timore reverenziale, di spocchia e di supponenza. Così Falcao insegnò alla Roma a vincere, che si scende a fare in campo se non si può nemmeno sognare di conquistare lo scudetto?
Solo Udine toccò nel suo tour europeo, Zico che era detto “il Pele bianco”. Tornò in patria, al Flamengo e poi si fece missionario di calcio in Giappone. Però, l’Italia non l’ha dimenticato e Udine tantomeno. Rappresentò l’orgoglio folle della provinciale che voleva consacrarsi la più bella del reame. E fu (anche) grazie a questa follia visionaria che la Serie A, in quegli anni, divenne “il campionato più bello del mondo”.
Oggi, che appena ci si affaccia all’estero si prega acchè non ci si faccia troppo male, un mondo è finito. E ricordarlo è un obbligo perchè fu quella follia che ci fece innamorare di un pallone.
@barbadilloit