Sicuramente avrebbe detto no. Alla prima domanda su cosa ne pensi di un film su di te. No, sicuro. Ma tant’è. Il film c’è e il prossimo 11 febbraio ‘The end of the tour’ sarà al cinema, pronto per essere spalmato su tutti gli schermi. Aiuterà la gente a conoscere DF Wallace? Sì, può darsi. Ma qui si parla di concetti. L’arte parla di concetti. Come lo stesso DF Wallace ci ha insegnato.
Era il 1993 e sulla rivista ‘The Review of Contemporary Fiction’ compariva questa sprazzo proprio dello scrittore statunitense.
“Quello che è stimolante e ha una vera consistenza artistica è, dando per assodata l’idea che il presente sia grottescamente materialistico, vedere come mai noi esseri umani abbiamo ancora la capacità di provare gioia, carità, sentimenti di autentico legame, per cose che non hanno un prezzo. E se queste capacità si possono far crescere. Se sì, come, e se no, perché”.
Questo è quanto trasuda tutta la letteratura di DF Wallace: cercare di capire come reagisce l’uomo alle cose che non hanno prezzo, ossia a quelle più nascoste, ai meccanismi più intimi dell’animo. A quando ci si guarda nella vetrina quando si passeggia. Ad aiutare gli altri. Agli sguardi. Alle paure.
Certo, il film deve ancora uscire e scriveremo ancora quando lo vedremo. Perchè lo vedremo. Ma non si capisce francamente cosa c’entri uno che ha scritto Infinite Jest o gioiellini come Altra matematica con un film per il grande pubblico. Andremo al cinema, poi com’era il film? Carino. Poi chi andrà a comprarsi le mille e passa pagine di Infinite Jest? E’ tutto grottescamente materialistico, direbbe lui.
David Foster Wallace si trova al quinto posto della classifica di Visio sugli scrittori più visionari di sempre, dopo le analisi di Considera l’aragosta, Brevi interviste con uomini schifosi, La scopa del sistema, Il tennis come esperienza religiosa, Altra matematica.