Un caminetto acceso, la luce soffusa, una poltrona, un nipotino sulle ginocchia e un altro paio di marmocchi a terra a pancia in giù con l’aria innocente e sognante ad ascoltare le parole del nonno : “Vi ho mai raccontato di quella volta che ho parato tre rigori in una sola partita, in casa della squadra più forte del campionato, e abbiamo pareggiato?”. A volersela immaginare, è così che ci apparirebbe la scena: un Gillet diventato vecchio lì a raccontare orgoglioso una delle serate più memorabili della sua carriera alla sua progenie, e senza neanche ingigantire il racconto perché l’impresa è effettivamente una di quelle, come si suol dire, da raccontare ai nipoti e pure di diritto. Tre rigori tre parati all’Anderlecht nell’arco dei novanta minuti, roba che neanche Benji Price.
Il 36enne Jean François Gillet, belga francofono dall’accento barese, è una vecchia conoscenza del nostro calcio. 10 anni a Bari (amatissimo e poi odiato), poi tappa a Treviso, Bologna, Torino e infine Catania, che ne detiene ancora il cartellino, oggi è tornato in patria per difendere la porta del modesto Mechelen (in fiammingo, Malines in francese). Ai calciofili questo nome farà tornare alla mente quella cenerentola che nell’88 vinse la Coppa delle Coppe contro l’Ajax, dopo aver infranto in semifinale i sogni di gloria di un’altra cenerentola, l’Atalanta di Stromberg e Mondonico che quell’anno militava in serie B. Ebbene, il Mechelen domenica ha fatto visita al temibile Anderlecht, la squadra più gloriosa del Belgio, dove attualmente gioca il nostro Stefano Okaka, per la decima giornata del campionato belga (c’è chi lo chiama Jupiler Pro League, noi no).
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Dopo 7 minuti viene fischiato un rigore ai padroni di casa, e sul dischetto si presenta Praet. Avete presente quando si citano le azioni come esempio da far vedere nelle scuole calcio? Ecco, il rigore di Praet rientrerebbe tra quelli su come non si deve mai calciare : lento, centrale, prevedibile. Figuriamoci poi a Gillet, uno che, numeri alla mano, ha parato 1/3 di quelli che gli sono stati calciati contro! Passano altri 7 minuti e si ripete il copione, rigore per l’Anderlecht. Stavolta si presenta Stefano Okaka, suo ex compagno di squadra ai tempi di quel maledetto Bari invischiato nel calcioscommesse. Okaka stavolta calcia esterno ma non troppo, e pure stavolta Gillet la para. Uno di quei rigori che lascia il dubbio se sia stato l’attaccante a sbagliare o il portiere a fare un paratone. All’ 89° minuto terzo rigore in favore dell’Anderlecht, in cerca del possibile 2-0 che avrebbe chiuso la gara. Stavolta tocca al gioiellino Tielemans, trequartista diciottenne già seguito dalle grandi squadre di mezza Europa. Tielemans tira benissimo, molto angolato ma Gillet si supera ancora una volta e para pure questo. Stavolta non ci sono dubbi, il portiere ha fatto il miracolo. Sportivo, s’intende, ma miracolo. Una delle famose regole mai scritte del calcio, in stile boskoviano, dice “gol sbagliato, gol subìto”. E infatti, al 90’ arriva il pareggio beffa del Mechelen, e per giunta grazie ad un’autorete.
La notizia, che ha fatto il giro del mondo, lo descrive come eroe di giornata. Sensazione che probabilmente Gillet non provava da anni, da quando era amato da tutta Bari. Si era conquistato l’amore di una piazza calda del sud, passionale, levantina, dal facile entusiasmo e dall’ancor più facile cambio d’umore, scegliendo di rimanere nei suoi anni migliori, in cui era considerato uno dei più forti portieri in circolazione, a difendere i pali di quella squadra grigia e insipida, piena di carneadi del pallone, diventata assidua frequentatrice della serie B e con pochi coraggiosi dal grande cuore e dal grande fegato a seguirne le sorti.
Era diventato a sua volta barese, figlio della città, tanto da acquisirne l’accento, l’intercalare, il dialetto mischiandoli al suo francese e creando un mix che faceva sorridere. Un beniamino, innalzato ad eroe nel momento del ritorno in serie A e citato persino in un rap vernacolare dedicato ai galletti (“Gillet numero uno, se sta in porta lui non passa nessuno”). Poi il tradimento delle partite truccate, su tutte il derby contro il Lecce, in quell’annata disgraziata che costò al Bari la retrocessione sul campo e soprattutto la macchia del calcioscommesse, che lo fece precipitare da eroe a traditore, odiato da tutto il popolo biancorosso. Ora, dopo i tre rigori parati all’Anderlecht, è il momento della redenzione, almeno per un po’ di giorni. Magari, però, l’ultima parte di Bari, ai nipotini non gliela raccontiamo..