In Italia, al di fuori degli specialisti di settore il termine Mitbestimmung (codecisione) dice poco. Basta invece andare appena al di là delle Alpi e raggiungere la Germania per scoprire come intorno a questo modello sia cresciuta un’esperienza partecipativa che ha portato i rappresentanti dei lavoratori nel board delle maggiori imprese pubbliche e private, diventando la spina dorsale della crescita economica e sociale tedesca.
Proprio per stimolare , anche nel nostro Paese, un dibattito aperto e senza pregiudizi sulla partecipazione dei lavoratori all’impresa e per ridurre la distanza tra imprese e tra lavoratori e imprese, è nato il sito Mitbestimmung (www. mitbestimmung.it).
Ad animare il progetto editoriale è Goffredo di Palma. Direttore Personale e Organizzazione di Volkswagen Group Italia s.p.a. dal 2004 al 2013, di Palma porta un’ esperienza umana e professionale “sul campo”, che gli ha consentito di esplorare la pratica manageriale e operativa della partecipazione in un gruppo industriale che è certamente una case history di riferimento per le relazioni sindacali; culminata, nel 2012, con la firma del primo Contratto Integrativo di Partecipazione Aziendale in Italia. Attualmente responsabile delle Risorse Umane di C.R. Technology Systems s.p.a. e docente di Business Studies ed Economics presso l’International School of Verona di Palma ci parla della Mitbestimmung “all’italiana”, un esempio finalmente concreto di partecipazione aziendale.
Che cosa ha spinto Volkswagen Group Italia a sottoscrivere il “Contratto Integrativo di Partecipazione Aziendale” con le organizzazioni sindacali ?
“Il CIPA è stato per VGI l’ultimo atto di un percorso di integrazione nel Gruppo Volkswagen avviato nel 2004 con l’armonizzazione delle politiche di selezione, retribuzione, formazione e sviluppo dei Collaboratori”.
Quali sono i tratti caratteristici dell’accordo ?
“Il CIPA si fonda sulla “Charta” dei rapporti di lavoro, in linea con quanto definito tra il Gruppo VW e il Consiglio di Fabbrica europeo e mondiale, che prevede una politica del personale centrata sulla cultura del contributo attivo e della partecipazione. La declinazione italiana della “Charta” introduce i diritti di partecipazione delle rappresentanze dei lavoratori: diritto di informazione, consultazione e cogestione. Il modello, ispirato alla Mitbestimmung, prevede che il lavoro di azienda e rappresentanze sindacali, fianco a fianco, sia principalmente svolto da cinque commissioni paritetiche, quindi con uguale numero di membri per ciascuna delle due parti”.
Con accordi del genere, quali sono i vantaggi per l’azienda ed il lavoratore ?
“L’approccio Volkswagen alla partecipazione dei lavoratori ha sempre finalizzato il contributo attivo dei Collaboratori (Mitarbeiter) al raggiungimento degli obiettivi di produttività e ROI; d’altra parte, la sicurezza sul e del posto di lavoro è una costante priorità che ha consolidato la fiducia delle rappresentanze sindacali nei confronti dell’azienda”.
A due anni dall’introduzione del Contratto Integrativo di Partecipazione Aziendale come giudica l’esperienza fin qui fatta? E’ possibile parlare di uno sviluppo progressivo delle forme partecipative all’interno della vostra azienda?
“Se il CIPA è stato un ultimo atto di un processo di integrazione, è certo che la partecipazione sia una strada lunga da percorrere e in costante trasformazione. Direi che quanto più forte sia la prassi partecipativa in azienda, esempio sono le unità produttive VW in Germania, tanto più sia difficile distinguerla dalla gestione aziendale: l’osmosi è forte, la cogestione si realizza nel quotidiano. VGI vive tuttora la prima fase della modalità partecipativa e, pertanto, ritengo che si possa parlare di sviluppo progressivo”.
Sulla base della sua esperienza diretta, riuscirà l’Italia a colmare il deficit “partecipativo” rispetto alla Germania? Sta insomma crescendo, anche nel nostro paese, una nuova sensibilità sul tema Mitbestimmung?
“Il tema della partecipazione in Italia è finora stato oscurato dalla logica conflittuale delle relazioni sindacali e da un mercato fortemente caratterizzato dalla prevalenza di PMI. In realtà le prassi aziendali e parecchi esempi di contrattazione di secondo livello sono espressione di una cultura tipicamente italiana della solidarietà, che a volte sfocia nel paternalismo, è vero, ma nei casi più recenti è figlia di nuove generazioni di imprenditori fortemente orientati alla valorizzazione effettiva delle risorse umane mediante la condivisione di obiettivi e strategie. Negli ultimi anni il dibattito si è focalizzato sulla necessità o meno di regolare la partecipazione con gli strumenti legislativi, analogamente ad altri paesi europei, Germania in primis, ma anche Svezia, Francia e Paesi Bassi. Pietro Ichino ha chiaramente elencato le nove forme possibili di partecipazione ed evidenziato che per alcune di esse è necessario un contratto istitutivo e, in sintesi, suggerito “la politica dei “cento fiori”: offrire un ampio menu di pratiche di partecipazione, sia al rischio sia alla decisione, e lasciare che modelli diversi si confrontino e competano tra loro liberamente”. La materia è complessa e ritengo sia necessario regolamentarla: vedremo in autunno cosa sortirà “l’ultimatum” di Renzi alle parti sociali in merito alle relazioni industriali e al ddl “Sacconi” (n. 1051)”.