A costo di sbrindellare la solita citazione, la più ovvia, quando i casi del rettangolo di gioco ti costringono a parlare di rigori sbagliati. È un abito logoro, liso e ovvio. Che però non va mai fuori moda. Nino, non aver paura di sbagliare un calcio di rigore. De Gregori aveva ragione. Non è che da questo particolare si giudica un calciatore. Però si resta nella storia. Specialmente se vai in finale e sbagli il rigore decisivo. È successo a Gonzalo Higuain, un pugno di ore fa. S’è dovuto accollare la responsabilità di aver consegnato al Cile la Copa America mentre che il pallone, che avrebbe voluto in fondo al sacco, si librava in cielo, troppo potente e alto, più vicino alle stelle che alla gloria.
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Anche noi, però, abbiamo pianto quelle stesse lacrime amare che adesso solcano i volti di Buenos Aires, Rosario e Barriloche. Ventuno anni fa, Usa ‘94. A Pasadena, l’Italia più bella affronta il peggior Brasile di sempre. Ne esce uno striminzito zero a zero. Che puzza d’afa, sudore, paura e terrore. Bell’e servita la giosta dei rigori. Roberto Baggio è sul dischetto. È il talento più grande in campo (anche se non gioca ai suoi livelli dato che benissimo non sta) e che cerca solo la consacrazione definitiva. Quella che lo consegnerà agli almanacchi, ai poster dei posteri con una Coppa del Mondo stretta a morsa tra le mani eroiche. Ricorsa lunga, testa che non è sgombra e palla in orbita: il Brasile è tetracampeon. L’Italia dovrà aspettare altri dodici anni.
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La storia la scrivono sempre i vincitori. Che, per essere tali, devono approfittare degli errori di coloro che saranno i vinti. Spesso una sbavatura, una questione di centimetri, un pensiero che s’affaccia molesto quando non dovrebbe, possono cambiare il volto del mondo. Del resto, dicono, anche Waterloo fu decisa da un errore. A Belgrado, nel 1976, Germania Ovest e Cecoslovacchia si giocano gli Europei. Finale ricca di gol ma inchiodata sul pareggio. Rigori, al decisivo per i Panzer va Uli Hoeness. Che non è l’ultimo venuto ma, anzi, uno dei talenti più solidi che il calcio tedesco abbia espresso nei suoi gloriosissimi anni ’70. La palla, fortissima e centrale, vola sopra la traversa. Beckenbauer ancora lo sfotte: “Quel pallone lì, a Belgrado, lo stanno ancora cercando”. Qualche secondo dopo sul dischetto ci va quel matto di Panenka. Il resto leggetelo qui.
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Quelli che sanno di football dicono che i Tre Leoni non possono mai vincere ai rigori. La storia recente della nazionale lo dimostra, da Italia ’90 agli Europei di casa, nel ’96 contro i soliti tedeschi dopo averli vinti contro la Spagna e via discorrendo. Fino a Euro 2004 quando l’Inghilterra arriva in semifinale contro il Portogallo. Solito pareggio a oltranza e rigori. Sul dischetto ci va l’uomo più patinato del Regno Unito: David Beckham. I padroni di casa lo temono. Figurati se sbaglia, la figuraccia il destino già gliel’ha fatta scontare contro la Turchia. Lo Spice Boy, che ha tagliato la glamourissima chioma bionda, prende la ricorsa e incoccia tra caviglia, stinco e collo piede. Tutto insieme. Roba che, a rifarla e a provarci apposta, è impossibile. Il pallone, sdegnato e furente, vola altissimo. Più in alto anche delle risa di scherno del (sollevato) pubblico di casa.
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A volte si può sbagliare e farla franca lo stesso. Perchè, magari, il destino ha deciso che l’avversario sbaglierà un rigore in più consentendoti di passare lo stesso. Nel 1986, in Messico, è l’anno dell’incredibile Argentina di Maradona. Incredibile, per inciso, perchè nella squadra di Bilardo – praticamente – giocava solo lui. Nei quarti, però, il Brasile impatta contro la Francia, campione d’Europa, di Michel Platini. Dal dischetto, per i carioca, si mette subito male dato che Socrates sbaglia il primo tiro. Quando, al terzo giro di roulette, tocca a Platini, i brasiliani alzano gli occhi al cielo. Prima per invocare l’aiuto di una qualsiasi divinità superna, poi per riuscire a vedere dove la palla calciata da Le Roi sarebbe andata a finire. Per loro, però, finirà male: all’ultimo duello Julio Cesar cicca. E Platini, nonostante tutto, gioisce.
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