Solo un genio o un pazzo avrebbe potuto tirare un rigore in quel modo. (Pelè)
Il problema, come ci insegna L’Odio di Mathieu Kassovitz, non è mai la caduta ma l’atterraggio. Perchè sei arrivato alla roulette russa dei rigori e sei alla finale degli Europei e giochi contro la grandissima Germania di Sepp Maier, Franz Beckenbauer e Uli Hoeness e tocca a te andare sul dischetto per il tiro decisivo. Rischi di sentirti come l’uomo che precipita dal decimo piano di un palazzo. Il pallone diventa il tuo corpo, la sua traiettoria che gli impartirai sarà il tuo destino. La caduta, il viaggio di quella sfera non è importante: è dove andrà a finire, sul palo, tra le braccia del portiere, in tribuna o in fondo al sacco che lo è. Prendersi gioco del destino non è cosa da tutti, sfidare l’ansia, la sorte e il risentimento delle gerarchie socialiste con la poesia di un ghirigoro è roba solo per coraggiosi. È roba da Antonin Panenka.
Baffone, goloso, lentissimo, furbo, astuto; un perito alberghiero che si diletta di football dall’altra parte della Cortina di Ferro. Indossa la maglia biancoverde del Bohemians Praga 1905 e ha un incubo, anzi due: lavorare in una delle fabbriche socialiste dell’allora Cecoslovacchia e correre, sudare. Fa il centrocampista, tira tardi agli allenamenti ma solo perchè si diverte a far scommesse con l’inseparabile amico Zdenek Hruska, di professione portiere. La leggenda racconta che si allenassero ai rigori, come cantava Cristina D’Avena nella sigla di Holly e Benji. Chi sbaglia, paga. La posta in palio – stando al mito praghese – tavolette di cioccolata e qualche birretta. Sarebbe stata questa la nascita del “cucchiaio”, decenni prima della due prodezze continentali azzurre di Francesco Totti (contro l’Olanda, semifinale Euro 2000) e di Andrea Pirlo (quarti contro l’Inghilterra nell’ultima edizione della competizione).
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Belgrado, stadio Crvena Zvezda ossia Stella Rossa. Venti giugno 1976. La grande Germania ha rimontato due gol alla Cecoslovacchia. Al doppio vantaggio di Svehlìk e Dobias hanno replicato Dieter Muller e Bernd Holzenbein. Il pari resta immutato fino al 120esimo minuto. Si va ai rigori. Masny, Nehoda, Ondrus e Jurkemik segnano per la Cecoslovacchia, la Germania risponde con Bonhof, Flohe e Bongartz. Uli Hoeness, invece, spara talmente alto che Franz Beckenbauer – anni dopo – dirà che a Belgrado stanno ancora cercando quel pallone. Il grandissimo portiere Ivo Viktor può tirare un sospiro di sollievo. A cui, subito, segue il magone più tetro. Già, tocca a Panenka. Quello è pazzo. Vai a vedere che lo fa…
…sì, Antonin prende una ricorsa lunga facendo pensare a Sepp Maier, il mammasantissima dei portieri di Germania, che tirerà una frustata alla sua sinistra. Invece, Baffone, sta aspettando il movimento dell’estremo difensore per punirlo con un lezioso, beffardo e cattivissimo pallonetto centrale. La Cecoslovacchia è sul tetto d’Europa, Antonin ha rischiato e scansato trent’anni in fabbrica e Panenka è diventato una firma, uno stile, un modello. Quel rigore che in Italia chiamiamo cucchiaio, ovunque nel mondo si chiama “Panenka”.
In Spagna gli hanno intestato una delle riviste di calcio più belle del panorama iberico. Per loro ha interpretato uno spot in cui sfida i grandi: Messi e Cristiano Ronaldo sarete quello che sarete ma non siete come me, io sono unico. In patria è il presidente onorario del Bohemians, dove ha militato per 14 stagioni prima di andarsene a giocare in Austria. Con i biancoverdi giochicchia qualche partitella di beneficienza e posa insieme a modelle mozzafiato per il calendario del club di Praga. La fantasia al potere, senza lasciar spazio ai moralisti e agli utilitaristi, ai cultori dell’uovo oggi, delle cinquanta sfumature di grigio. Atraverse, dice in spagnolo. Che vuol dire osare.
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