Nell’Italia di Grillo, è Maria De Filippi il presidente della Repubblica dei voti perduti: regina del regno elettorale del “berlusconismo antropolico”, quello che in parte si è “cinquestellato” o che non ha votato. Un regno dove i partiti sono roba vecchia, cancellati da anni da quel televoto che funziona meglio di qualsiasi democrazia diretta internettian-grillina.
Matteo Renzi, potenziale principe azzurro del mondo fatato della politica italiana post-ideologica, lo ha capito e, come in una favola studiata da Greimas sulla scia di Propp, è andato alla conquista del suo oggetto di valore proprio dalla De Filippi: i voti dei giovani e delle donne del Sud, sudditi del defilippismo, coloro che lo hanno ignorato per le primarie e che non hanno votato il Pd di Bersani (e mai, forse, lo farebbero).
In attesa di una candidatura di Emma Marrone a presidente del Consiglio, un po’ di destra e un po’ di sinistra, è il sindaco di Firenze a incarnare l’ideale del giovane politico poco “choosy” e molto in sintonia coi tempi. Simpatico e rassicurante, sportivo ma non troppo bello, impegnato ma non palloso, Renzi ha già testato il suo appeal sul nuovo pubblico elettorale durante la registrazione della prima puntata del serale di Amici che andrà in onda sabato prossimo su Canale 5. E il test, lo vedrete, è andato bene: Renzi, con questa mossa, non pottrà mai essere accusato di essere comunista; una sua candidatura a premier spazzerà via molta dell’attuale politica, perché sintesi di una certa Dc, di una certa sinistra, di un certo berlusconismo.
Matteuccio ha parlato di sogni, di talento, di speranza, ciò che oggi latita in Italia, catalogo del vecchio sogno liberale di un progetto berlusconiano naufragato nella rabbia dei cinquestelle.
Eppure, già una volta i ragazzi Amici scivolò sul terreno della politica strizzando l’occhio a Veltroni, si disse, con la canzone-spot ispirata al celebre “Yes, we can” di Obama. Era il 2008 e Walter l’americano correva per la presidenza del Consiglio. Al Corriere, la De Filippi disse che la canzone nulla aveva a che fare con la politica nazionale, cancellando i sogni di Veltroni e celebrando, invece, il presidente Usa: «I ragazzi si sono rivisti in quel discorso di speranza – disse – È difficile che un giovane non resti affascinato dalla figura di Obama».
Ed eccoci quindi a Renzi, il più obamiano dei politici italiani, vestito con un giubbotto di pelle nero un po’ Fonzie e un po’ Grease. E lui, il vincente sconfitto, riparte dalla trasmissione della rivincita, quella che celebra le sfide e il non arrendersi mai. Amici, in fondo, è la trasmissione che ha sconfitto il tradizionalismo del Festival di Sanremo cannibalizzandolo, sostituendo il gradimento da casa alla giuria degli esperti (ecco perché sembra così vecchia la scelta politichese dei saggi di Napolitano). Renzi è il personaggio ideale per realizzare lo stesso con la vecchia politica.
Come scrive Dagospia in una sintesi perfetta, la scelta è azzeccata perché «Amici non è né il Grande Fratello (il trionfo degli “uomini senza qualità”) né C’è posta per te (la pornografia sentimentale, cui si sottopose a suo tempo anche Fassino). ‘’Amici” è, o meglio è percepito da suo pubblico, come una pop-celebrazione del talento e della fatica».
Il nemico di Renzi, ora, non è più (solo) la vecchia politica, ma anche Grillo. E la carta da giocare non può che essere il reality del merito. Perché? Perché è sempre la tv che si deve guardare per capire cosa accadrà nella politica.
La tv che ha accompagnato la Prima Repubblica è stata la tv grigia dei professori: entrambe, quindi, distanti, autorevoli, garbate, oscure, serie. Berlusconi ha trionfato grazie all’educazione decennale dalla tv commerciale: la gente iniziava a raccontarsi in tv, tutto era meno distante, informale, e ogni storia era rappresentativa di qualcosa. La politica della Seconda Repubblica era così pronta per accogliere la società civile di destra e di sinistra.
Il successo di Grillo arriva dopo anni di reality: la gente non va in tv, fa la tv. Allo stesso modo, la gente comune si è convinta che può essere la politica, senza merito, senza esperienza, senza sforzo, senza mediazione di alcun tipo. (Peccato solo che ogni reality, anche il più vero, ha una sceneggiatura decisa da un gruppo autorale, pupi di un gioco che tanto somiglia a quello di Grillo e Casaleggio).
Il passaggio di Renzi ad Amici, dunque, è una cura omeopatica: il reality del merito, cura al reality che premia l’improvvisazione. E così, un televoto ci salverà. Forse. Sempre che la vecchia politica dei partiti non trovi prima la soluzione per sopravvivere. Lo show è solo all’inizio. Anzi, la sfida.