Il Milan? Un affare di cuore, costoso, ma anche le belle donne costano.
Silvio Berlusconi
In principio fu l’elicottero. Scese aviotrasportato e si palesò ai suoi: “Adoro l’odore del napalm al mattino”. Rubando la battuta a quel militare americano che combatteva i vietcong, in “Apocalypse Now”. Era il 1986, Madonna cantava “Isla Bonita”, Gianna Nannini spantecava per il suo “Bello e impossibile”, al cinema usciva “Top Gun” e Ronald Reagan, alle prese con l’Irangate, ad aprile, aveva bombardato la Libia di Gheddafi.
Lui, Berlusconi, apparve dal cielo come un cavaliere che prometteva l’Apocalisse del vecchio pallone. La sua squadra, il Milan, rimase di stucco. I tifosi si gasarono e lo juventino Stefano Tacconi si buscò una multa dal presidente Boniperti, che gli pagò direttamente l’Avvocato Agnelli: “L’elicottero gli servirà per scappar via”. Silvio invece non scappò e fondò l’epopea degli Invincibili. Dopo anni passati a sguazzare nel fango della B, causa Totonero, con il patema del fallimento Farina concausa di troppe mediocri stagioni, il Milan ritrovava – per la prima volta dopo l’Abatino Gianni Rivera – l’orgoglio rossonero.
Cancellò ogni riferimento a ciò che era stato prima di lui, anche perchè con Rivera non andò mai d’accordo. Silvio Berlusconi creò il “nuovo” Milan, squadra imbattibile con una narrazione: la famiglia di Milanello, chi arriva qui una volta è milanista per sempre.
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Bisogna aspettare un po’ prima di poter alzare al cielo un trofeo. Prima si deve svecchiare, pianificare, ripartire. La parola d’ordine rossonera è una sola, categoria e impegnativa per tutti. Essa trasvolò sui cieli di Milanello accendendo i cuori dei tifosi del Diavolo: modernità. Arriva Arrigo Sacchi, uno sconosciuto. Arrivano Gullit e Van Basten, che proprio sconosciuti non sono. La svolta è nel girone di ritorno, l’avversario è il Napoli di Maradona. Gli azzurri di Ottavio Bianchi sognano di regalare il secondo scudetto ai ragazzi della Curva B cantati da Nino D’Angelo, icona nazionalpopolare di quegli anni ’80 napoletani. Ma si sfiatano nel girone di ritorno e si fanno rimontare, clamorosamente, proprio dal Milan che espugnerà il San Paolo nella gara decisiva: tre a due e tanti sospetti. Come quello della camorra, per esempio, che avrebbe imposto al Napoli – secondo la vulgata popolare partenopea – di perdere il titolo perchè altrimenti ci avrebbe rimesso troppi soldi con le scommesse clandestine. Era il 1988, Ancellotti e compagni si avvieranno a vincere lo scudetto sulle note di “Gimme Hope Joanna” di Eddie Grant, quella canzone che nel Mezzogiorno d’Italia diventerà ultrapop grazie alla trasposizione parodistica e casereccia del mitico Gigione: “Giovanna minigonna”.
L’anno dopo il mondo sarebbe cambiato. Anche quello del calcio. Nel 1989 sarà l’Inter dei record del Trap a vincere lo scudetto. Ma il Milan, mentre crolla il muro di Berlino, ha il tempo di issarsi sul tetto d’Europa: in finale di Coppa dei Campioni i rossoneri schiantano la Steaua Bucarest amata e protetta dal figlio del signor Nicolae Ceasescu. Pure per loro, i Ceasescu, l’anno finirà malissimo: i rumeni si ribellano e mettono fine al regime. Il dittatore sarà fucilato il giorno di Natale dell’89, a Targoviste, la capitale della Transilvania del conte Dracula. La storia non aspetta nessuno e segue il suo cammino. Quella del calcio, mentre il mondo cambia senza sapere manco dove sta ancora andando, è già segnata: da quel momento in poi e fino a un pugno d’anni fa il Milan è tra le grandi del mondo. Berlusconi, demiurgo calcistico, imprenditoriale e politico, fa e disfa concetti, rimodula la comunicazione, riesce a vendere di tutto. Il vecchio pallone delle filastrocche (Sarti-Burgnich-Facchetti..ricordate?) è schiattato, definitivamente. Modernità, si diceva. Nasce il turnover compaiono i diritti tv. Viva gli stranieri, viva i campioni. Il calcio è spettacolo, così è.
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La storia, però, è dietro l’angolo. Segue fili e trame che ai poveri umani non sono per visibili. Nemmeno se ti chiami Silvio Berlusconi. Da qualche tempo il Milan che comprava talenti in quantità industriale, al punto da sacrificare Papin e Savicevic in panchina, non sa fare altro che accogliere ex campioni in declino e a parametro zero. Galliani, il potentissimo è stato messo in discussione dalla Figlia del Capo. A Milanello, con l’ultimo senatore andato in pensione – Paolo Maldini – è cominciata la discesa agli inferi. E’ una famiglia, il Milan dell’era Berlusconi. E, adesso, dopo gli anni idilliaci da Mulino Bianco sta venendo fuori un clima di veleni, accuse e frecciate uguale a quello delle commedie familiari anni ’90 di Silvio Orlando e Athina Cenci. La modernità, però, bussa ancora alle porte della Milano rossonera. Non ha più il volto di un cavaliere elitrasportato ma i tratti duri e imperscrutabili dei mandarini d’Asia. Wanda e Bee, non è l’ennesima serie tv americana ma il futuro (forse) del Diavolo.
Wanda non è la Osiris. Lustri e paillettes non ce li ha, in compenso c’ha i quattrini. E’ una società cinese che punta a diventare una multinazionale del settore alberghiero e dell’edilizia commerciale. E s’è appena comprata Infront, l’azienda diretta dal nipote del signor Sepp Blatter, l’intramontabile Krusciov della Fifa. Infront gestisce i diritti televisivi della serie A e di buona parte della Bundesliga, oltre all’organizzazione di eventi sportivi, specialmente sci e altre discipline invernali. Che c’entra, dunque, Wanda degli Alberghi con il business del calcio? Diversificazione dell’investimento, come suggerirebbero gli scienziati della partita doppia? No, tutt’altro. Il calcio deve essere turismo. Il pallone è una miniera d’oro da sfruttare fino all’ultima pepita. Wanda vuole costruire il nuovo stadio del Milan. Il progetto c’è già e sembra aver riscontrato l’apprezzamento di Berlusconi. Gli stadi di proprietà per svuotare le tasche dei tifosi fino all’ultimo: è il capitalismo, bellezza. Se ne facciano una ragione anche gli abitanti di Portello: lottate contro il Dragone e le scimitarre di Emirates, ritiratevi subito prima che non vi dichiarino quartiere canaglia. A proposito, Wanda potrebbe addirittura entrare nel capitale sociale del Diavolo. Rassegnatevi.
Tra Silvio e Wanda, però, c’è un terzo uomo. Ha uno di quei nomi impronunciabili che soltanto l’Asia misteriosa e lussureggiante può partorire. Si chiama Bee Taechaubol, ha 40 anni, un impero immobiliare sterminato e grane in patria con la Borsa thailandese. Sogna di ripercorrere le orme di Erick Thohir, l’indonesiano che ha fatto cucù a Massimo Moratti. L’approccio di Bee è deciso, da uomo d’affari: un miliardo sul banco. Peccato, però, che a Berlusconi non piaccia. In primo luogo soldi ancora non se ne sarebbero visti. In seconda battuta non è che puoi presentarti a Milanello pretendendo di rottamare Silvio. Dopo la fregatura incassata dal fiorentino Renzi, Berlusconi non potrebbe lasciarsi uccellare sul campo che – più di ogni altro – ha rappresentato il suo vanto, il calcio. Intanto il mondo gira, la storia segue il suo corso e non guarda in faccia a nessuno. La modernità è diventata più grande di lui, Berlusconi si trova stritolato da quel demone che aveva prima evocato a suo vantaggio e che adesso lo ha messo all’angolo, alla gogna. Viva i campioni, viva i bilanci. Viva i soldi. Il calcio è spettacolo. The show must go on, altrimenti “perdi appeal” e nessuno compra più i diritti tv.