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Barbadillo
Home Reportage non conformi

Il raddoppio dell’aeroporto Leonardo da Vinci? Un affare che al verde preferisce i verdoni

by Rumon Feluca
17 Gennaio 2013
in Reportage non conformi
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Un tipico affare all’italiana. È tutto pronto per l’ampliamento dell’aeroporto internazionale di Roma, il Leonardo da Vinci, che ricade nel Comune di Fiumicino, sul litorale romano. A semplificare l’enorme investimento che quasi sicuramente spianerà la strada al raddoppio, è arrivato anche l’adeguamento delle tariffe aeroportuali, ovviamente al rialzo, tanto richieste da AdR, Aeroporti di Roma (la sigla che oltre quello di Roma, gestisce anche l’aeroporto di Ciampino, alle porte della Capitale). Un gesto, quello dell’innalzamento delle tariffe, che verrà ricordato come l’ultimo provvedimento adottato allo scadere dall’uscente governo tecnico Monti, e che permetterà, grazie ai soldi dei passeggeri, di procedere a passo spedito verso il raddoppio del sedime aeroportuale.

Tra i principali azionisti di Aeroporti di Roma, c’è il gruppo industriale Benetton, la famiglia veneta, marchio storico nel campo della moda e che nel 1998 si aggiudicò gli oltre 3 mila ettari dell’azienda Maccarese, nel Comune di Fiumicino, proprio a ridosso dell’aeroporto, acquistandola ad un prezzo irrisorio che destò scandalo: 120 miliardi di vecchie lire.

Quella che con tutta probabilità verrà consumata sull’Agro Romano, territorio che si distende tra la Capitale e il mare, è una vera e propria cementificazione, che cancellerebbe un’importante parte di regione, risanata dalle bonifiche iniziate nel 1925: centinaia di famiglie, provenienti per la maggior parte dal Veneto e dalla Lombardia, arrivarono sul litorale romano, con la promessa, mantenuta, di avere una casa e un lavoro in quella terra che di lì a poco avrebbero redenta. Ed eccoli ancora qui, a Maccarese e a Fregene, i figli, i nipoti e, in qualche caso, i coloni stessi, che vivono ancora nei “centri”, ovvero i caratteristici nuclei abitativi composti oltre che dalle abitazioni (destinate ai fattori e alle loro famiglie), da una stalla, e dal silos (una volta destinati a contenere il grano e il fieno, e oggi convertiti in suggestivi appartamenti). Sembrano degli spazi fuori dal tempo questi “centri”, in cui si può respirare un’aria comunitaria, che nel caos di una Capitale affogata in cemento e smog è impensabile trovare. Sono circa 14 quelli che verrebbero sventrati, più o meno un centinaio le famiglie espropriate per far posto a un ampliamento che, tra l’altro, è anche inutile: si stima ad esempio che l’aeroporto di Londra, con dimensioni assai ridotte rispetto a quello attuale di Roma, riesca a gestire il doppio del traffico di passeggeri.

“Forse sarà un’ottima occasione per lo sviluppo occupazionale”, si chiederà qualcuno. Lo andasse a chiedere a quei lavoratori rimasti per strada a seguito della svendita o delle esternalizzazioni dei diversi servizi, dai duty free, ai parcheggi, fino ad arrivare ai servizi di handling, legati all’attività aeroportuale. “Vabbè, il lavoro non è importante, finché c’è la salute…” commenterà qualcun altro. E pure la salute sembra a rischio: proprio ad aprile scorso l’ARPA, l’agenzia regionale per la protezione ambientale, ha pubblicato la relazione sull’inquinamento acustico, con i dati ricavati dalle cinque centraline dislocate nelle zone intorno all’aeroporto: due a Fiumicino, una a Maccarese, un’altra a Fregene e un’ultima a Focene; quasi in ognuna delle zone sotto osservazione, viene registrato “un costante superamento dei limiti della classificazione comunale”. Cosa ancor più grave dal momento che una delle centraline è stata posizionata nella zona Isola Sacra di Fiumicino, proprio presso una scuola. E allora perché? Perché invece di investire a tutti i costi su un raddoppio “infrastrutturalmente” inutile, non si pensa a garantire la salute degli studenti e dei cittadini, mettendo a norma ad esempio le strutture scolastiche? Come mai nessuno prova a difendere il verde della Riserva Naturale del Litorale Romano, con l’Oasi di Macchiagrande e le Vasche di Maccarese? Evidentemente al verde della natura, qualcuno preferisce il solito verde della pecunia.

Rumon Feluca

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