Parigi, dal nostro corrispondente – “Paris sera toujours Paris” o forse no. Perché al di là delle immagini da cartolina e della melassa di Amélie Poulain, Parigi è sempre stata ben altro: una città popolare e popolaresca, dove la lingua (l’argot) i costumi e le tradizioni nascevano nei mercati, nelle bettole malfamate e persino nelle case chiuse. Una città con un’identità forte e forse ingombrante come hanno dovuto pensare gli amministratori pubblici e gli speculatori edilizi che da qualche decennio cercano di sterilizzare il germe popolare che infesta le antiche strade, con un obiettivo chiaro: trasformare Parigi nel museo di se stessa.
Montmartre è uno dei luoghi simbolo di questa tendenza e contemporaneamente della strenua resistenza di un quartiere che vuole restare popolare e autentico; la place du Tertre ne è il cuore pulsante, con i suoi artisti di strada che imbrattano croste raffiguranti il Sacré Coeur che si erge come una meringa incastonata sulla collina dei martiri per la gioia dei turisti paganti, ma che ti mostrano volentieri le tele avanguardiste che conservano nei loro poveri atelier se li avvicini al bancone e bevi con loro un buon bicchiere di bianco.
Il bancone (le zinc per noi) è ancora l’arteria che pompa sangue dentro il cuore malato di Montmartre.
Nei bistrot nascono tutte le cattive abitudini, tutte le idee, tutte le rivolte.
E la place du Tertre è ancora piena di bistrot. Tranne uno, le Pichet du Tertre chiude i battenti e viene ricomprato dalla multinazionale Starbucks, quella del caffè “all’americana“ standardizzato e inscatolato nei suoi bicchieroni di cartone.
Ed è sempre al bancone che gli abitanti e i commercianti del quartiere vacillano fra l’incredulità e l’impotenza: «La gente non viene mica fin qui per vedere una catena di ristorazione straniera prendere il posto dei nostri bar tipici!», lancia un barman inviperito, «beh, in fin dei conti meglio questo che un McDonalds, tanto questi hanno troppi soldi, ci comprano tutti se vogliono» risponde il negoziante di souvenir. «Ma se gli lasciamo passare questa, credimi che tra un anno nel tuo negozio ci fanno un fast food» grida da un tavolo in fondo la vecchia signora nata e cresciuta a Montmartre.
Ma c’è chi prova ancora a difendere l’identità e lo spirito popolare del quartiere, in tutti i bistrot e brasserie del quartiere sono affissi i manifesti dell’associazione ParisFierté che si batte da anni contro il genocidio culturale inferto alla loro città. Contro l’apertura di uno Starbucks in questo luogo simbolo hanno manifestato, mobilitato, coinvolto la stampa, interrogato il sindaco e lanciato una petizione che ha raccolto qualche migliaio di firme da tutto il mondo.
Perché se è vero che nei bistrot di Montmartre possono nascere tutte le cattive abitudini, tutte le idee, tutte le rivolte, per noi parigini rimane ancora difficile immaginarle nascere in uno Starbucks.