Prabowo Subianto – presidente dell’Indonesia dallo scorso febbraio – ha preso quasi venti milioni di voti preferenziali in più rispetto a Donald Trump. Quante righe hanno dedicato alle elezioni indonesiane i media? Nessuno o quasi.
Eppure l’Indonesia è (a parità di potere d’acquisto) la settima economia del mondo, il quarto paese più popolato della Terra, il Paese col maggior numero di musulmani. Certo: non ha il ruolo preponderante degli Stati Uniti. Ma il disinteresse per ciò che accade fuori da Europa, Usa e Canada spiega l’incapacità delle élite occidentali di adattarsi al mondo multipolare.
Considerando il profilo di Prabowo, ex generale e ministro della difesa, gli analisti prevedono che molti incarichi saranno affidati a esponenti dell’esercito. Il suo governo rafforzerà la capacità militare.
Gli investimenti nella difesa, secondo la visione del presidente, saranno parte di uno sforzo più ampio per stimolare la crescita economica.
In politica estera, ci si attende che l’Indonesia, Paese fondatore dell’Associazione delle Nazioni del Sudest Asiatico (Asean), accresca la sua influenza.
Il primo viaggio ufficiale del neo presidente sarà in Cina, per rafforzare i legami commerciali e di cooperazione economica, cercando possibili investitori anche per il mega-progetto della nuova capitale dell’Indonesia, Nusantara, in corso di edificazione nel Borneo. L’ambizioso progetto era stato lanciato da Widodo e il nuovo presidente vuol portarlo avanti, ma finora l’assenza di investimenti stranieri lo ha frenato.
Questo futuro dell’Indonesia si intravede grazie all’impronta di Sukarno tra 1941 e 1964.
Un’impronta analoga a quella, in Italia, di Mazzini, Garibaldi, Cavour, Mussolini e De Gasperi, insieme, tra 1830 e 1954.
Ben lo sapeva uno degli ambasciatori d’Italia a Giacarta, Alessandro Merola, che ha seguito il passaggio dal sottosviluppo allo sviluppo dei Paesi non-allineati, ovvero del terzo incomodo nel periodo della Guerra fredda, ma che sarebbe meglio chiamare della Pace in Europa. Solo in Europa.
Per capire la seconda metà del XXI secolo, che sarà post-americana; perché l’Italia non passi da colonia degli Usa a colonia franco-anglo-tedesca; perché non ci si illuda di avere un ruolo sub-imperiale nel Mediterraneo; per ragionare, finalmente, per continenti e non per regioni, occorre sapere che, se l’Occidente sarà ancora importante, non sarà più determinante.