Gigi Riva si è accomiatato da questo mondo lo sorso 22 gennaio lasciando una scia di ricordi, commozioni, rimpianti e nostalgie soprattutto in chi, con i capelli bianchi o quasi, ha vissuto con lui ed intorno a lui, quel calcio Romantico di cui Rombo di Tuono – solo il grande Gianni Brera, autentica e genuina Enciclopedia del Calcio, poteva appioppargli tale ed azzeccato soprannome – fu attivamente partecipe.
Tutta l’Italia ha ammirato Gigi Riva. Quanti fanciulli in tutta Italia divennero tifosi di Gigi, di quel Cagliari che, sbalordendo tutti, nel 1970 conquistò il suo primo – ed al momento unico – Scudetto. Insomma, un Monumento del calcio Gigi, che ha unito milioni di italiani e che mantenne ai vertici del calcio italiano quel Cagliari, quella Sardegna, che lo avevano accolto dopo un’infanzia a dir poco travagliata.
Nonostante il calcio odierno, privo di fermenti ideali e riferimenti culturali, viva l’ora più buia della propria agra esistenza, per giunta in un paese colmo di veleni, smarrito ed indifferente per quanto di raccapricciante accade quasi giornalmente, di Gigi sarà sempre e comunque la Storia a parlarne, e non solo del bomber, ma anche dell’uomo sobrio, riservato, elegante in primo luogo nella sua interiorità, poco o per nulla chiacchierone.
Quasi fosse un appuntamento con la signora morte, poco prima di spirare, con Gigi Garanzini, Gigi ha voluto raccontare in modo semplice e diretto i suoi frammenti di vita in un libro dal titolo significativo: “Mi chiamavano rombo di tuono” (Rizzoli).
Il gran lavoro di Garanzini
Un grazie sincero lo si deve a Gigi Garanzini, onorato di aver “prestato la penna a Giggiriva” per farci raccontare l’album di una vita difficile, fatta di gioie e di dolori, speranze e rimpianti, lontano dalla terra natia, ma adottato da un’altra terra che lo ha amato e che lui ha corrisposto allo stesso modo.
Correva l’anno 1944, mese di novembre, quando Gigi vide la luce in quel di Leggiuno, sul lago Maggiore. Nacque in un’Italia sconquassata dalla fame, dal freddo, dal secondo tragico conflitto con un nord sotto il controllo tedesco, in preda alla guerra civile, sistematicamente bombardato dalle fortezze volanti anglo-americane. Funesta e fugace fu l’infanzia di Gigi, rimasto orfano del papà in tenerissima età nel secondo duro dopoguerra. Era l’epoca in cui si improvvisavano campetti di calcio in ogni dove, per strade e stradine a volte anche impraticabili, con i ragazzini che correvano dietro ad una palla per fare goal. Gigi era uno dei tanti, ma fra i tanti non passarono inosservati il suo sinistro e la tecnica che possedeva. Gigi l’infanzia non la visse compiutamente, gli corse subito via perché andò dietro le cancellate degli orfanotrofi in quanto la madre vedova, tenacemente, era costretta agli straordinari di lavoro pur di mandare avanti la famiglia con quattro figli.
Ma Gigi aveva un appuntamento cui non poteva mancare: quello con il calcio. E fu Sardegna, e fu Cagliari, dove mise piede a 18 anni, nel 1963, dopo l’esperienza con il Legnano in C, mai dimenticando le proprie origini, i suoi cari. E fu subito promozione in A. Nella massima serie il Cagliari fu capace di una magistrale cavalcata che, nel giro di sei anni – dall’arrivo di Gigi – portò i rosso-blu a conquistare, nel 1969-70, il primo Scudetto. Proprio perché nessuno si aspettava un’impresa del genere, straripante fu l’entusiasmo a Cagliari ed in tutta la Sardegna; ma anche l’Italia applaudì quella impresa.
Nonostante le bombe e l’eversione cominciavano a farsi sentire, in presenza di crescenti contrasti e tensioni sociali, di lì a poco gravati dalla crisi del petrolio, tutti aspettavano la domenica per ammirare i goal, e che goal, i gesti tecnici che solo Gigi Riva era in grado di inventare, strappando perfino l’applauso convinto e sincero delle tifoserie avversarie.
Anche in Nazionale Gigi fu superlativo: Campione d’Europa nel 1968 con una rete importante nella finale di Roma contro la Jugoslavia; vice Campione del Mondo in Messico nel 1970, torneo in cui fu protagonista con vari goal, compreso quello realizzato nella mitica Italia-Germania 4-3; 35 goal realizzati in Azzurro, in 42 partite, record tuttora imbattuto, con una media che ha dell’incredibile. E teniamo conto che, a differenza delle overdosi odierne di partite, all’epoca la squadra Azzurra disputava talmente pochissimi incontri che vederla giocare rappresentava una novità.
Un’altra Nazionale annovererà Gigi campione del mondo, nel 2006, ma in qualità di dirigente accompagnatore, ma era tutto… un altro calcio…
La Juventus di Agnelli tentò più volte di portarlo in bianconero, a suon di soldoni ed offrendo in cambio svariati giocatori al Cagliari.
A chi gli faceva notare il suo valore in miliardi di lire, rispondeva che tali cifre erano utili per costruire ospedali, evidenziando che lui non valeva quattro giocatori ma, alla pari, solo un altro calciatore.
Certo che in quei primi Settanta, alla fine di ogni campionato, non pochi tifosi del Cagliari avevano il patema d’animo in quanto temevano che il potere della Juve nel portare Gigi in bianconero, alla fine avrebbe potuto fare breccia.
Gigi disse di no ad Agnelli, disse no ai miliardi, disse no alla Juve ed a tanti trionfi di cui sarebbe stato partecipe, per restare fedele a quella mamma adottiva che lo aveva amorevolmente accolto giovanissimo, smarrito e spaesato.
Anche nel calcio Gigi ebbe le sue cancellate, seppur diverse da quelle dell’orfanotrofio: gli infortuni lo relegarono in infermeria, di lì al riposo coatto…insomma altre cancellate.
Probabilmente con qualche infortunio in meno un altro Scudetto con il Cagliari, specie nel 1970-71, ci sarebbe potuto scappare.
L’ultimo infortunio fu il più drammatico perché coincise, Campionato 1975-76, con la retrocessione in B del suo Cagliari. Accadde il 1° febbraio 1976, mancavano 15 giornate alla fine del torneo ed in una partita persa per 3-1 in casa contro il Milan, Gigi diede forfait infortunandosi durante un contrasto, peraltro non duro, con il milanista Bet. Era la fine di un Mito del calcio il cui addio Gigi lo volle certificare un anno dopo, il 9 aprile 1977, a ventiquattrore dalla Pasqua. L’Italia pianse quella perdita ed inveì contro la sfortuna accanitasi contro una leggenda del calcio di soli 32 anni.
Naturalmente nel libro, ricco di aneddoti e particolari a dir poco sorprendenti, il provetto “Rombo di Tuono” parla anche degli affetti famigliari nati in terra sarda; di Gianna la donna della sua vita che gli ha regalato due figli meravigliosi che, a loro volta, hanno donato delle splendide nipoti al nonno Gigi. Un Gigi che negli ultimi anni di vita si è visto poco in pubblico fino a scomparire chissà, forse attendendo serenamente il giorno in cui si sarebbe dovuto accomiatare da questo mondo che lo ha fatto piangere, ma che lo ha amato intensamente.