È stato un grande combattente nel ruolo di mediano sugli infuocati campi di calcio dove l’agonismo sopravanzava la tecnica, la durezza dei contrasti era ordinaria amministrazione, la fedeltà ai tifosi ed alla maglia era essenza e fondamento. Non ha calcato i grandi palcoscenici, eppure si è misurato non solo con degli autentici mostri del calcio, ma anche con chi sarebbe divenuto fuoriclasse. Ha anche avuto a che fare con dei personaggi per qualche tempo celebrità della politica.
Ma come può essere accaduto tutto ciò?
Gianfranco Comola, classe 1945 dalla mantovana Rodigo, si racconta a Barbadillo.
Comola ci racconta gli inizi della sua passione calcistica?
“Cominciai a giocare giovanissimo nella squadra del mio paese, Rodigo. Senonché venni osservato da Eligio Vecchi che mi portò all’Inter, alla corte del grande Giuseppe Meazza all’epoca, siamo negli anni Sessanta, responsabile del settore giovanile nerazzurro. Vecchi portò all’Inter Roberto Boninsegna, anche lui mantovano che, in seguito, dopo aver girato varie squadre fra cui il Cagliari di Gigi Riva, ritornò in nerazzurro per vincere lo Scudetto 1970-71. Anche se non avevamo rapporti diretti con Meazza, seguiva noi giovani con amabilità volendoci un gran bene. Veramente un grande uomo.
Facevo parte dell’Inter che nel 1964 si aggiudicò il Campionato Primavera. In nerazzurro ho partecipato al Campionato De Martino, competizione riservata alle squadre di A che potevano schierare anche le giovani promesse dei vivai.
Da quell’Inter passarono tanti futuri campioni come appunto Boninsegna, Gianfranco Bedin, Bobo Gori che approdò al Cagliari di Riva nel Campionato 1969-70 vincendo lo Scudetto”.
Dal profondo nord lei ha bazzicato gli infuocati campi di Puglia e Campania? Approda infatti a Nardò per disputare il Campionato di Serie C 1965-66 e quello successivo. Chi la volle al Nardò
“Mi volle al Nardò Pasquale Morisco, l’allenatore che aveva dei contatti con Italo Allodi, direttore generale dell’Inter. Fummo ceduti in prestito io e Flaviano Granziero. In seguito venni riscattato. Per la giovane età che avevo il Nardò mi offrì un buon contratto. Mi sono trovato bene in quel contesto che mi aiutò a crescere. Fui anche con convocato per due volte nella Nazionale di Serie C dove giocavano Romeo Benetti e Giulio Zignoli, anche loro divenuti famosi”.
Ha qualche ricordo particolare con la maglia del Nardò?
“La gara di ritorno Sambenedettese-Nardò, marzo 1966. Non potrò mai dimenticare un ragazzino della Sambenedettese che con i suoi dribbling e le sue giocate non mi fece vincere neanche un contrasto facendomi fare una figuraccia che ricordo ancora. Era Franco Causio, un vero fenomeno”.
Successivamente approda al Lecce sempre in C, dove rimane dal 1967 al 1969.
“Fui ceduto dal Nardò al Lecce a titolo definitivo”.
A questo punto non possiamo fare a meno di raccontare quel capolavoro di ingegno e diplomazia realizzato Marcello Indraccolo, presidente del Lecce, nel giugno 1967.
“Il presidente Indraccolo, un’ottima persona ebbe la straordinaria capacità di far disputare un’amichevole cui nessuno avrebbe potuto credere: Lecce-Santos.
La blasonata squadra brasiliana essendo in Italia per una tournee, scese a Lecce per l’amichevole che richiamò allo stadio di via del Mare oltre 20 mila tifosi. Era il Santos che annoverava fra le sue fila il super fuoriclasse Pelè, all’epoca ventisettenne e già due volte campione del mondo con la nazionale. Tre anni dopo, nel giugno 1970, avrebbe vinto il suo terzo titolo mondiale a spese dell’Italia, nella famosa finale vinta a Città del Messico dal Brasile per 4-1 contro gli azzurri. Ma quel Santos che venne a sfidare il Lecce annoverava Carlo Alberto e Clodoaldo, anche loro campioni del mondo nel 1970”.
Cosa ricorda di quell’amichevole? Fu lei a marcare Pelè?
“Io me la dovetti vedere con Lima, giocatore talentuoso, difficile da marcare. Fu la giornata di Pelè. Dette spettacolo giocando di testa, di piedi, in movimento, in velocità. Un qualcosa di indimenticabile, di indescrivibile, di inimitabile, di incredibile. Quando realizzò il primo goal di testa, rete del vantaggio brasiliano, nella sua elevazione i suoi piedi giunsero il livello della mia testa, una cosa impressionante. Riuscimmo a pareggiare con Mammì, ma il Santos dilagò vincendo per 5-1 con Pelè che realizzò altri due goal di piede”.
Cosa ricorda dei due anni trascorsi a Lecce?
Inizialmente fu allenato da Giovanni Seghedoni e si classificò al quarto posto. In quel torneo, 1967-68, realizzai 3 goal. La stagione successiva fu la volta di Ottorino Dugini sostituito da Eugenio Bersellini, divenuto un ottimo allenatore. In quel Campionato 1968-69 ci classificammo al quinto posto. Bersellini da calciatore del Lecce ne divenne allenatore”.
Dopo Lecce rimane in Puglia per essere ceduto al Trani, in Serie D.
“A Trani restai quattro anni, un periodo che ricordo con piacere anche perché nella stagione 1970-71 fummo promossi in C. In quel Trani giocava anche Francesco Chimenti, barese, un ottimo attaccante che farà fortuna nella Sambenedettese dove diventerà una bandiera della squadra rosso-blu. Lui aveva un fratello, Vito, famoso per la Bicicletta.
Dopo l’esperienza vissuta a Trani cosa accade nella stagione 1973-74?
“Fui ceduto al Sorrento in Serie C”.
E qui approda alla corte di un personaggio che ha amato la propria terra scrivendo alcune pagine storia di Napoli e sotto certi aspetti d’Italia: ci riferiamo al Presidente Achille Lauro. Partito giovanissimo da mozzo a bordo di un veliero, divenne armatore riuscendo a costruire una imponente flotta commerciale. Era stato Sindaco di Napoli e deputato monarchico eletto plebiscitariamente dai napoletani, Presidente della stessa società calcistica napoletana.
“Di lui si raccontava che per essere eletto Sindaco regalava un paio di scarpe: prima delle elezioni una scarpa, ad elezione avvenuta l’altra”.
Cosa mai provata anche perché con le elevatissime percentuali di voti che prendeva oltre a non avere necessità di ricorrere a tale espediente, dove avrebbe potuto raccogliere decine di migliaia di paia di scarpe per donarle con il sistema sopra descritto?
Ci traccia un di profilo di Achille Lauro Presidente del Sorrento?
“Un grande Presidente, amato dai tifosi. Quando giungeva allo stadio per assistere alla partita i tifosi lo accoglievano tutti in piedi applaudendolo, dicendo:
“È arrivato o Comandante”.
Al termine del primo tempo lasciava lo stadio perché era molto anziano, aveva 86 anni.
Con Lauro il Sorrento ottenne risultati eccezionali. Dalla fine degli anni Sessanta la squadra, dalla 1^ Categoria, nel 1970-71 raggiunse la Serie B. La squadra giocava al Vomero di Napoli.
Suo braccio destro era il dottor Torino, un grande dirigente che si interessava di tutto, anche di cacciare i soldi. Ovviamente con il consenso di Lauro.
Degli anni trascorsi a Sorrento ricordo quando noi calciatori chiedemmo dei premi-partita. Il dottor Torino ci disse di parlarne con il Presidente. Fu così che in rappresentanza della squadra io e Fiorile ci recammo da Lauro nella sua villa maestosa dalla quale si poteva ammirare un panorama fantastico.
Cominciammo io e Fiorile ad avanzare le nostre richieste ma, dopo averci ascoltato, Lauro disse:
“Volete un aumento? Ma se prendete di più dei miei marinai”.
Al Sorrento, in C, con quali allenatori ebbe a che fare?
“Nel Campionato 1973-74 l’allenatore era Santin, un ottimo tecnico con una gran voglia di esplodere. L’anno successivo Bruno Bolchi, soprannominato Maciste. Con Bolchi raggiungemmo la finale di Coppa Italia di Serie C ma fummo sconfitti dal Monza, 4-3 ai calci di rigore”.
Per il Campionato 1975-76 resta in C, ma cambia casacca destinazione Bari. Chi la volle in biancorosso?
“Sicuramente l’allenatore Pirazzini, un ottimo tecnico che sapeva tenere unita la squadra, cui non sfuggiva nulla, perfino nello spogliatoio era in gamba”.
Che impatto ebbe?
“Andare a giocare nel Bari fu per me come giocare la Coppa dei Campioni. Nel ruolo di mediano ero chiamato a sostituire Diego Giannattasio, un calciatore che aveva lasciato un ottimo ricordo. In principio le cose non andarono bene anche perché un paio di giornalisti, critici nei miei confronti, anziché spronarmi, facevano pesare l’andata via di Giannattasio.
Fu sempre impiegato nel ruolo di mediano?
“Un paio di partite le giocai da terzino fluidificante in aiuto a Scarrone, ala destra che in genere non faceva dei rientri”.
In quale zona della città abitava e come trascorreva il tempo libero?
“Abitavo a Palese, sulla statale, a pochi passi dal mare. Cinema, passeggiate con mia moglie e mia figlia che era piccola occupavano il tempo libero. Alcune volte ci siamo recati a Lecce e Sorrento per andare a sautare i miei ex compagni di squadra.
Non posso dimenticare due ristoranti baresi, ritrovo della squadra, dove si mangiava divinamente:
I 2 ghiottoni e La Pignata”.
Con chi legò fra i colleghi di squadra?
“Ebbi un buon rapporto con tutti, legai di più con Vittorio Spimi ed Italo Florio”.
Del professor Angelo De Palo, il Presidente che ricordo ha?
“Era un ginecologo, un gran signore con il quale ho parlato pochissimo. Nello studio della sua clinica firmai il contratto accettando quanto mio venne offerto”.
Avendo giocato nel Bari e nel Lecce quale, fra le due tifoserie era la più calda?
“Due belle società, forse il tifo era più caldo a Bari.
Ricordo un fatto simpatico. In occasione di un Bari-Lecce, Campionato 1975-76, terminato 2-0 per noi biancorossi, un tifoso del Lecce che da anni abitava nel capoluogo pugliese donò al Bari una medaglietta d’oro”.
Nel Campionato 1975-76 il Bari era favorito per la promozione in B?
“Fu allestita una bella squadra con vari innesti”.
Proprio in quell’annata il Sorrento, la sua ex squadra guidata da Raffin, divenne la bestia nera del Bari: vinse le partite di andata e ritorno ed eliminò biancorossi dalla Coppa Italia. Come venne accolto da ex a Sorrento?
“Da ex non fui fischiato, anzi venni accolto bene dai duemila tifosi sorrentini che affollavano lo stadio Italia”.
Quel Campionato sembrava che la promozione in B se la dovessero giocare Bari e Sorrento invece, alla fine, se l’aggiudicò il Lecce di Renna a spese del Benevento. Sorpresa di quel bizzarro torneo fu l’esonero di Pirazzini alla 9^ giornata, novembre 1975, sostituito da Giovanni Seghedoni.
“Fu una sorpresa per me l’arrivo di Seghedoni. Pirazzini, specie con la stampa, non era un buon politico, non aveva un buon rapporto”.
Singolare avventura quella di Seghedoni: prese le redini del Bari con la Reggina, venne esonerato nell’aprile 1976, causa il ko interno con la Reggina.
“Non arrivarono i risultati sperati e ciò provocò l’esonero di Seghedoni”.
Terzo allenatore del Bari, in quell’annata, fu il vercellese Giuseppe Pozzo.
Fu chiamato per gestire l’ordinaria amministrazione vista la sfumata promozione in B”.
Il ricordo più bello e quello meno bello con il Bari.
“Il più bello quando fui acquistato, il meno bello quando dovetti andar via”.
Infatti viene ceduto alla Casertana, in Serie D, Campionato 1976-77.
“Accadde tutto improvvisamente nel mese di novembre quando il Bari era guidato da Giacomo Losi, il nuovo allenatore che portò biancorossi in Serie B. Non ho mai saputo i motivi della cessione, accettai comunque il trasferimento a Caserta anche perché mi sono sempre adeguato alle scelte delle società.
A Caserta trovai un allenatore, Biagio Catalano, barese e gloria del calcio biancorosso; inoltre ebbi come compagno di squadra un altro barese, già colonna portante della difesa del Bari: Pasquale Loseto”.
Andando via da Bari pensò che si allontanava la possibilità di giocare in palcoscenici più ambiti?
“Certo. Capii che era cominciata la fase discendente della mia attività agonistica”.
Ciò la indusse ad appendere le scarpe al chiodo a soli 32 anni?
“Non solo questo. Privilegiai la famiglia perché mia moglie vinse un concorso all’Intendenza di Finanza di Mantova e, quindi, tornammo a casa. Io lavorai fino a 36 anni in un’azienda metalmeccanica, successivamente fui assunto come autista di Steno Marcegaglia, imprenditore e fondatore dell’omonima e nota azienda dove ho lavorato fino al 2012 anche se ho continuato fino al dicembre 2023”.
Un confronto fra il suo calcio e quello odierno.
“Molto è cambiato. Alla mia epoca si andava a 2, oggi si corre a 100. Anche il modo di allenarsi è cambiato. Certo che il calcio di oggi non è che sia da prendere da esempio”.
Chi ha lasciato in lei un ricordo indelebile?
“Giuseppe Meazza mi ha voluto un gran bene e l’ho potuto constatare personalmente.
Santin e Bolchi come allenatori, Eugenio Bersellini, come compagno di squadra ed allenatore nel Lecce”.