“Occorre una riforma della giustizia e far sì che il carcere serva realmente a recuperare chi ha sbagliato, a reinserirlo nella società in modo che non sbagli più. Tutto questo oggi non avviene ed il legislatore deve intervenire”
Già astro nascente della giovane destra italiana, Giuseppe Scopelliti, classe 1966, calabrese, cominciò fin dall’adolescenza a masticare militanza, pane e politica con il Fronte della Gioventù di cui fu segretario nazionale dal 1993 al 1996. L’enfant prodige precorse talmente i tempi da inanellare una serie crescente di successi: 1992 consigliere comunale missino della sua amata Reggio; due volte sindaco della stessa città nel 2002 e nel 2007; presidente della Regione Calabria nel 2014. Solo che, nel mezzo del cammin… un’imprevista azione giudiziaria gli ha cambiato la vita facendogli provare perfino il carcere.
Una disavventura che ha colpito il militante e politico Giuseppe Scopelliti, che è stato sotto scorta per ben quattordici anni causa l’impegno anti-ndrangheta tenendo a mente gli insegnamenti di Paolo Borsellino, suo mito; che aveva cominciato a metter mano nella complicata, complessa e disastrata sanità calabrese; che è vissuto nel nome della buona battaglia portata avanti da Vincenzo Muccioli e dalla comunità di San Patrignano contro tutte le droghe. Quando la sua disavventura giudiziaria è passata in giudicato, Scopelliti ha deciso di scontare la pena di «4 anni e 7 mesi, per falso ideologico» (una quantificazione monstre) nella consapevolezza di essere e rimanere «un uomo libero e un uomo delle istituzioni» disposto, da uomo di destra qual è sempre stato, «a lottare e non mollare».
Segnato dalla vicenda, intervistato dal giornalista Franco Attanasio, che con lui ha condiviso l’esperienza carceraria nel penitenziario reggino di Arghillà, Scopelliti ha deciso di pubblicare «Io sono libero» per la Pellegrini Editore, presentato a Bari il 23 marzo 2023, alla presenza del viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto, del governatore Michele Emiliano, del presidente emerito della Camera Gianfranco Fini del presidente dell’Ordine degli avvocati di Bari Salvatore D’Aluiso, nell’ambito di una iniziativa promossa dalla Fondazione Tatarella, in sinergia con l’Aiga Bari. Sono intervenuti, tra gli altri, il prof. Filippo Bottalico, Fabrizio Tatarella, Dorian Saracino e Sergio Fanelli.
Prefato da Gianfranco Fini, il volume suscita interesse anche in ambienti politici avversi a quello di Scopelliti e per l’intricata vicenda giudiziaria, e per il modo in cui il condannato ha deciso di varcare la soglia del carcere sacrificando gli affetti più cari, senza imprecazioni, senza alcun intento polemico nei confronti della magistratura.
Presidente Giuseppe Scopelliti, da uomo delle Istituzioni e da carcerato modello quale lei è stato, non prova rabbia o non si sente preso in giro nel sapere che, mentre lei si è fatto 4 anni e 7 mesi di carcere, tanti criminali incalliti, per lo più opportunisti, rifugiandosi nella premiale, «immorale ed aberrante» – come la definì il Msi, suo partito di origine – legge sui “pentiti” – guarda caso si “pentono” solo quando vengono arrestati – vivono alle spalle delle vittime e sulle spalle del contribuente italiano?
“Non si tratta di essere arrabbiati o sentirsi presi in giro. Bisogna solo prendere atto che occorre una riforma della giustizia e far sì che il carcere serva realmente a recuperare chi ha sbagliato, a reinserirlo nella società in modo che non sbagli più. Tutto questo oggi non avviene ed il legislatore deve intervenire, non si può più aspettare”.
La destra di oggi (Fdi) e quella di ieri (An), rispetto quella di avantieri (Msi-Dn) hanno fatto qualcosa in merito?
“Sono epoche differenti. C’era l’epoca in cui in cui la politica era comunità…”
Si riferisce al periodo del Msi?
“Sì, era un’altra politica. Un’epoca in cui c’erano solidarietà, comunità, militanza, fratellanza, un’epoca nella quale il partito non ti lasciava solo, non ti abbandonava. Oggi vedo solo opportunismo, affarismo. Mi auguro che Giorgia Meloni possa invertire la rotta ponendo mano alle riforme di cui ho detto”.
Nel libro, oltre a raccontare il lungo ed intenso percorso politico, lei si sofferma sulla situazione carceraria.
“Certe situazioni si possono capire solo quando si vivono e si toccano con mano. Il carcere mi ha insegnato tanto. In carcere ho constatato l’immane lavoro svolto dalle donne e dagli uomini della Polizia Penitenziaria, persone eccezionali che riescono a coniugare autorevolezza ed umanità. Quanto ai detenuti, in un luogo di sofferenza come il carcere, prevalgono condivisione, solidarietà, aiuto reciproco”.
Quali le soluzioni?
“Sono importanti all’interno delle carceri i percorsi formativi culturali, sociali, religiosi non disgiunti dall’istruzione evitando che i penitenziari diventino delle isole dove non si fa nulla per recuperare e reinserire nella società il detenuto che ha scontato la pena. È sempre importante, essenziale, dare un’altra opportunità a chi ha sbagliato, bisogna però fare in modo che colui che ha espiato la pena non cada nuovamente nelle mani dell’antistato che, in taluni casi, è più forte dello Stato. È opportuno, inoltre, tutelare potenziandolo, quell’aspetto che riguarda il rapporto che il minore deve continuare a mantenere con i propri genitori detenuti”.
Dell’esperienza carceraria cosa si porta dietro ancora oggi?
“L’essere stato accolto come una persona per bene, incorsa in un incidente di percorso, nei confronti della quale non è stata alzata alcuna barriera”.