“Comprendere la figura di un pontefice che ha regnato solo trentatré giorni”: è questa missione che ha svolto Cristina Siccardi*, torinese, saggista, già collaboratrice de «Il Nostro Tempo», «La Stampa», «La Gazzetta del Piemonte», «L’Osservatore Romano», nella redazione del volume «Giovanni Paolo I. Una vita per la fede» (Paoline).
Dottoressa Siccardi, perché ha deciso di pubblicare una biografia su Albino Luciani (1912-1978), il cui pontificato durò solo trentatré giorni?
“L’intenzione è stata quella di comprendere la figura di un Pontefice che ha regnato solo un ciclo della luna, appunto trentatré giorni, ma che aveva connotati di alta spiritualità cattolica e aveva un grande coraggio per testimoniare la fede, fede che aveva respirato nella sua casa e che aveva coltivato in Seminario, quando i seminari erano abitati da insegnamenti forti nella sana dottrina e nella salda teologia e da direttori spirituali che si prendevano cura delle anime dei seminaristi, spesso oggi sostituiti dalla presenza di psicologi”.
Cosa l’ha sorpresa di più, nel corso della sua indagine?
“Il senso quotidiano della pratica religiosa in casa Luciani: tutta la vita qui era correlata alla fede e costante era la tensione alla carità evangelica, quella che permette di mettere sempre al primo posto il Creatore e non le creature; molto diverso questo concetto da ciò che sta dietro la solidarietà dei nostri giorni, che ha un connotato prettamente laico, avulso dall’amore verso Dio: Albino Luciani come bambino, seminarista, sacerdote, vescovo, patriarca di Venezia, Pontefice ha sempre vissuto al cospetto di Dio e nel Suo amore aveva un profondo e tenero cuore caritatevole verso il prossimo. I piccoli, gli innocenti erano i suoi prediletti, come si evince anche dalle sue catechesi alle quattro udienze generali del mercoledì, che dedicò, nelle settimane del suo breve mandato, all’Umiltà (principio di ogni virtù), alla Fede, alla Speranza e alla Carità”.
Come visse Luciani il dopo Concilio Vaticano II (1962-1965)?
“In maniera traumatica. Egli, nato, vissuto, formatosi nella terra veneta, allora graniticamente cattolica, patria di San Pio X, il Pontefice che condannò l’eresia modernista con la magistrale enciclica Pascendi Dominci gregis dell’8 settembre 1907 – basta leggerla per accorgersi del giudizio tutt’oggi attuale – si trovò a navigare nei morosi di un’età moderna che ripudiava la Tradizione in nome del laicismo, del liberalismo, del marxismo. In una lettera ai procuratori della Compagnia di Gesù, convenuti a Roma per il raduno mondiale del 30 settembre 1978, egli scrisse «Sant’Ignazio esige dai suoi figli una soda dottrina», invitando i giovani a non aderire alle innovazioni teoriche moderniste che ripudiavano proprio la Tradizione e la Verità custodita e trasmessa da Santa Madre Chiesa. Le sue parole rappresentarono un’implicita condanna delle tesi rivoluzionarie del teologo Karl Rahner, punta di diamante della nuova teologia novecentesca che si faceva beffe di san Tommaso d’Aquino e di tutto il magistero della Chiesa precedente”.
Di famiglia antifascista, come fu possibile uno slogan urlato contro di lui dai giovani contestatori post ’68: «Luciani, fascista, sei il primo della lista»?
“Ciò non stupisce. Egli si pronunciò pubblicamente, coraggiosamente e in diverse occasioni contro le idee comuniste, che andavano contro le leggi di Dio, così come eroicamente si scagliò contro le reti massoniche dei centri di potere, infiltrate persino nella Chiesa: pensiamo ai celebri casi di quel tempo, Calvi, Sindona, cardinale Marcinkus… il Banco Ambrosiano e lo scandalo della finanza vaticana”.
Il divorzio introdotto nel 1970, l’aborto approvato nel 1978 in pieno “compromesso storico” DC-PCI, suscitarono forti malumori in una parte del mondo cattolico alquanto critico nei confronti di una remissiva DC. Luciani che atteggiamento assunse dinanzi a quelle accondiscendenze democristiane?
“Nel 1978 già si registravano un’evidente e massiccia perdita di vocazioni e vere e proprie defezioni clericali, con riduzioni allo stato laicale di molti sacerdoti e l’abbandono della vita consacrata da parte di religiosi e religiose, ma si perdevano anche i fedeli, con una percentuale sempre più alta di persone che disertavano la Messa domenicale e le parrocchie diventavano sempre meno punto di riferimento per le famiglie, famiglie che piano piano si disgregavano, mentre divorzio e aborto diventavano sacrileghe leggi statali… la società si andava scristianizzando di giorno in giorno: il Concilio Vaticano II (1962-1965), che si era riproposto di non condannare più gli errori, ma di andarvi incontro ‘dialogando’ e abbracciandolo, e la rivoluzione culturale sessantottina hanno portato allo stato attuale delle cose, dove l’aspetto religioso è stato divelto sia dalla vita pubblica che, nella stragrande maggioranza dei casi, anche dalla vita privata”.
Il clima sociale era infuocato.
“Luciani visse le tensioni sociali e politiche, che ben presto consolidarono una significativa frattura fra il Patriarca e quella parte del clero e del laicato cattolico veneziani che erano più inclini a sperimentare nuovi criteri di azione nella pastorale e nella liturgia. Un grave colpo subì con la legge sul divorzio del 1970 e il fallimento del referendum abrogazionista del 1974, che fece da apripista alla legge 194 sull’aborto in Italia. Egli dichiarò che il divorzio è un «assurdo» e che il matrimonio non è una gabbia, semmai uno scalino per la santità. Ed ecco che venne accusato e vilipeso per non essere attento al cambiamento e al progresso della società dei tempi ‘moderni’. Ma se ‘moderno’ significava distruzione dei valori eterni, allora Luciani non poteva piegarsi ad istanze traditrici della Santissima Trinità che tanto amava e faceva amare”.
Il ruolo della Fuci in questo contesto?
“Proprio nell’anno del referendum sul divorzio, nel 1974, gli studenti universitari optarono per una linea diversa rispetto a quella indicata dall’Episcopato italiano, ponendosi su un piano dottrinale autonomo rispetto a quello del magistero della Chiesa. La Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana) di Venezia pubblicò un opuscolo sugli aspetti biblico-teologico-pastorali concernenti il divorzio, tale scelta era per il Patriarca inammissibile, perciò tolse l’assistente ecclesiastico. Fedele ai principi del diritto naturale e dei diritti di Dio, l’indissolubilità del matrimonio per lui non poteva essere messa in discussione e considerava l’adesione alla legge divorzista un gravissimo cedimento alla cultura laicista, che stava ormai prendendo il sopravvento nella civiltà cristiana… oggi, infatti, non più cristiana”.
Sull’aborto?
“Orrore proverà per la legalizzazione dell’aborto: «Perché qui è il punto: l’embrione è un vero essere umano, fornito di vita propria e di individualità distinta da quella della madre, anche se dalla madre dipende […]. E ciò fin dal primo istante della concezione: la questione del momento in cui l’anima viene infusa, in pratica, non influisce sul nostro modo di comportarci; un cacciatore è omicida se spara, anche nel caso che sia incerto, se ciò che vede agitarsi dietro la siepe è solo una lepre o un bambino. Essendo un uomo, il feto è soggetto di diritti naturali; anche in base ai codici civili, per ricevere eredità o donazioni gli basta essere concepito. Chi dunque lo espelle […] lo priva delle condizioni necessarie per vivere, allo stesso modo di chi, stringendo fortemente la gola a un uomo, gli impedisce di respirare e lo strangola. Quinto non uccidere, intima Dio. A tutti, ma in modo particolarissimo alle madri, le quali meno che qualunque altro possono avere il cuore di accampare pretesti per disfarsi della loro creatura. […] Ma se il criterio supremo di tutto diventa solo l’interesse, dove va questo misero mondo? Va verso la morale di Sparta, della rupe Tarpea, di certi popoli primitivi che uccidevano i bambini solo perché nati durante un temporale o in certi giorni giudicati nefasti o perché di sesso femminile o perché malaticci!
[…] Tacendo [i vescovi], sarebbero essi stessi condannati dal Signore, che ripeterebbe di loro quanto già detto di capi e profeti neghittosi: ‘I guardiani sono tutti ciechi, non si accorgono di nulla. Sono tutti cani muti, incapaci di abbaiare; sonnecchiano accovacciati, amano appisolarsi’ (Is 56, 10), Nella situazione presente, poi, i vescovi diventerebbero anche dei traditori, se tacessero, perché permetterebbero alla potente orchestrazione della stampa, della radio e della televisione, dei partiti e di altri movimenti di far credere un po’ alla volta alla gente che il lecito legale sia anche lecito morale»”.
Non da oggi anche a Vescovi e Papi vengono attribuite etichette se non politiche, almeno identitarie quali progressista, conservatore, ultra…ecc. Albino Luciani come fu etichettato?
“Come un conservatore. Ma siamo seri: che cosa significa essere cattolico progressista? Significa voler costituire una Chiesa difforme da quella di Cristo, incentrata sull’uomo (antropocentrismo), sulle ideologie ‘di moda’ nelle politiche, sociologie, culture di un dato momento storico e non sulla Santissima Trinità. San Paolo fu chiarissimo su questo punto: «Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema! L’abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema! Infatti, è forse il favore degli uomini che intendo guadagnarmi, o non piuttosto quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo! Vi dichiaro dunque, fratelli, che il vangelo da me annunziato non è modellato sull’uomo; infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo».
Che cosa indicava come via maestra Giovanni Paolo I, che fu un grande e convinto catechista per tutta la sua vita? La dottrina e i dogmi che da sempre vigono in Santa Romana Chiesa a dispetto delle idee rivoluzionarie che talvolta entrano nella storia della Chiesa, si pensi, per esempio, all’età del protestantesimo con Lutero, Calvino, Zwingli, Cranmer”.
Possibile che, ancora oggi, non si sia fatta piena luce sulla morte del Pontefice avvenuta la notte del 29 settembre 1978?
“Non si è fatta ancora chiarezza purtroppo… e forse non si farà mai, si tratta di un tema decisamente scottante. Tuttavia, come ho scritto nella biografia a lui dedicata, ci sono diverse tesi, suffragate dalle azioni che Luciani aveva già compiuto a Venezia come patriarca, che rimandano a possibili vendette e possibili frenate per sue ulteriori indagini in ambito massonico, anche perché il Papa stava esaminando carte compromettenti che evidenziavano le aderenze di alcune figure ecclesiastiche con gli occulti ambiti del potere e della finanza”.
Qual è stato il maggior insegnamento-eredità di Papa Giovanni Paolo I?
“Sono tre: il primo è l’umiltà, che in un’epoca tronfia e smargiassa come quella odierna diventa un valore immenso e riequilibrante. Il secondo è la lotta alla «dittatura del relativismo», come la definì Benedetto XVI; a questo proposito vorrei ricordare ciò che scrisse nella sua opera Illustrissimi. Lettere ai Grandi del passato, ispirandosi ad una favola di Tolstoj, dove dei ciechi sono chiamati a dire che cosa sono per loro delle specifiche parti del corpo dell’elefante che tastano con le mani e ognuno dice la sua, chi le colonne (le gambe), chi la scopa (la coda), chi un mucchio di terra (il ventre)…. Ebbene, lascia scritto il beato Giovanni Paolo I: «a me ripugna pensare che Dio abbia mandato suo Figlio a dirci: ‘Io sono la via, la verità e la vita’ con il bel risultato di farci poi trovare tutti nella situazione di […] ciechi, con in mano ciascuno una misera particella di verità, diversa dalla particella degli altri. […] mi pare indegno sia di Dio sia della nostra ragione! […] Dove Rahner non riesce con i suoi volumoni di teologia, può sottentrare Tolstoj» (pp. 290-292). Il terzo insegnamento è l’amore per il catechismo: insegnare con coscienza ai piccoli e ai grandi le verità di fede, come lui le aveva apprese sul catechismo di San Pio X”.
*La biografia dell’autrice del saggio
Vicedirettore della rivista on-line «Europa Cristiana», collabora con le testate giornalistiche «Radici Cristiane», «Corrispondenza Romana», «Radio Roma Libera», «Radio Buon Consiglio».
Docente dell’Accademia di Alti Studi «Schola Palatina», è membro delle Accademie Paestum, Costantiniana, Ferdinandea, Archeologica italiana, Bonifaciana.
Vincitrice nel 2010 del Premio «Bonifacio VIII» della città di Anagni, da un suo studio dedicato alla principessa Mafalda è stata tratta la fiction per Mediaset «Mafalda di Savoia. Il coraggio di una principessa», prodotta da Angelo Rizzoli e diretta dal regista Maurizio Zaccaro.
Nel 2022 ha ricevuto il Premio Internazionale di Giornalismo e Comunicazione «La Rosa d’Oro» (V edizione) dell’Associazione Internazionale Regina Elena.
Molto interessante l’ intervista di Michele Salomone all’autrice del libro su Papa Luciani. Un Papa un po’ dimenticato anche per il suo brevissimo pontificato. Emerge dall’ intervista una figura di grande e salda fede che si era opposta con forza alle derive relativiste interne ed esterne alla Chiesa. Altroche’ un Papa sempliciotto.