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C’è qualcosa che non mi convince nel quasi unanime coro di consensi che ha fatto seguito alla scomparsa della regina Elisabetta. Non voglio togliere nulla ai meriti di questa sovrana, cui la sorte ha assegnato l’ingrato compito di accompagnare la Gran Bretagna in anni difficili non solo per la fine dell’Impero, ma per un cambiamento del costume che ha finito per coinvolgere anche la famiglia reale. I sovrani, come i pontefici (almeno sino a un infausto 11 febbraio 2013), non vanno mai in pensione; ed Elisabetta ha saputo onorare sino all’ultimo il suo ruolo, non solo decorativo, visto che la moral suasion può influenzare anche le scelte di un primo ministro. Sbagliò certo nel condizionare le scelte matrimoniali di due figli, non solo Carlo, ma la stessa Margaret, cui proibì di sposare Peter Townsend, che oltre tutto era stato un valoroso ufficiale nell’ultima guerra, solo perché era, non per sua colpa, divorziato. Ma condivido appieno il suo atteggiamento nei confronti della psicolabile Lady Diana, che costituiva un obiettivo pericolo per la monarchia inglese.
Si è insinuato però in me un sottile sospetto: che l’unanime o quasi ammirazione per la regina, non tanto come persona quanto come incarnazione di un’istituzione, nasca da un diffuso disprezzo nei confronti dei politici non per nascita ma per professione. Un disprezzo che – magra consolazione – non è diffuso solo nel nostro Paese. La longevità di Elisabetta anche come regnante fa sì che chi ne studia la biografia non possa fare a meno di confrontare la statura e la dignità dei primi ministri cui (Eden a parte) conferì l’incarico all’inizio del suo regno con la stravagante insignificanza o la plumbea mediocrità degli ultimi capi di governo britannici. Un Boris Johnson può credere finché vuole di essere la reincarnazione di Winston Churchill, ma, a parte forse la passione per i cocktail, ha poco o nulla in comune con lui. E purtroppo la sua ambizione di figurare in una nuova versione delle plutarchesche Vite Parallele a fianco del grande statista conservatore, combattendo Putin come un novello Hitler, rischia di far precipitare l’Europa e il mondo in una terza guerra mondiale, tanto più che anche la sciapa Liz Truss sembra allineata sulle sue posizioni.
Dietro gli omaggi alla Regina di conseguenza scorgo più che l’omaggio a una persona il rimpianto per un mondo. E forse anche il sottile dubbio se una persona educata sin dall’infanzia a rappresentare la sua Patria non sia preferibile a un politico portato ai vertici dello Stato da qualcosa di peggio del caso: dai mutevoli umori della plebe e dai cinici giochi di partito.
Elisabetta II come la trisavola Vittoria è stata molto amata dal popolo e poco dalla nobiltà britannica, dicono. Certamente una monarchia ritualizzata, colorata, ultra-simbolica nel suo riprodurre ossessivamente un passato immaginato e perduto per sempre, non solo è fonte inesauribile per i media ed il turismo, ma è un tonico per la vita quotidiana di molti. Perchè negarlo? È l’irrazionale, i faraoni egizi, il papa vicario di Cristo, l’Imperatore del Giappone, la stessa Regina d’Inghilterra (assai più che i re, da Elisabetta I in poi) che ci aiuta ad attraversare questa valle di noia e dolore, per dirla con Schopenauer, che è la vita. Comunque, la Regina Vittoria come pochi altri, dopo sovrani pazzi o debosciati o mezzo tonti, riassume esemplarmente quell’invenzione della Tradizione di fine Ottocento, sulla quale Eric Hobsbawm scrisse pagine dense e pregnanti, senza far nulla di particolare, apparendo poco, parlando l’inglese con un forte accento tedesco, se non per le molte maternità, vissute peraltro come un castigo della natura, che spersero pure l’emofilia sulle dinastie europee. Nulla di sciamanico: se l’idea del divino (la Grande Madre, la Madonna dei cristiani, per i nativi sudamericani la Pachamama ecc.) nacque in Mesopotamia 7 o 8 mila anni fa con rappresentazioni femminili, e solo più tardi anche maschili, è perchè in fondo la madre, ogni madre, porta in sé un qualcosa di misterioso, regale, superiore. Se questo si combina con l’eredità dinastica di una seppur tramontata Grande Potenza, è ancor più facile capire il fascino inossidabile di Elisabetta II, al di là di stile, contegno, prudenza, eleganza ecc. Una democrazia (specialmente la nostra) avrebbe bisogno di un ancoraggio prescindente dai suffragi e questo spiega anche e persino l’eccessiva popolarità di alcuni nostri Presidenti, per nulla eccezionali. Eletti per alchimie politico-parlamentari e non in virtù di sangue dinastico, Spirito Santo o altri elementi ‘legittimizzanti’. Purtroppo la nostra dinastia storica, i Savoia, commisero così tanti errori dal condannarci ai sospiri ed all’ammirazione di modelli stranieri.
Copia corretta del precedente:
Elisabetta II come la trisavola Vittoria è stata molto amata dal popolo e poco dalla nobiltà britannica, dicono. Certamente una monarchia assai ritualizzata, colorata, ultrasimbolica nel suo riprodurre ossessivamente un passato immaginato e perduto per sempre, non solo è fonte inesauribile per i media ed il turismo, ma è un tonico per la vita quotidiana di molti. Perchè negarlo? È l’irrazionale, i Faraoni egizi, il Papa Vicario di Cristo, l’Imperatore del Giappone, la stessa Regina d’Inghilterra (assai più che i re, da Elisabetta I in poi) ecc. che ci aiuta ad attraversare questa valle di noia e dolore, per dirla con Schopenhauer, che è la vita. Comunque, la Regina Vittoria come pochi altri, dopo sovrani o pazzi o debosciati o mezzo tonti, riassume esemplarmente quell’Invenzione della Tradizione di fine Ottocento, sulla quale Eric Hobsbawm scrisse pagine dense e pregnanti, senza far nulla di particolare – apparendo poco, parlando l’inglese con un forte accento tedesco – se non per le molte maternità, vissute peraltro come un castigo della natura, che sparsero pure l’emofilia sulle dinastie europee. Nulla di sciamanico: se l’idea del divino (la Grande Madre, la Madonna dei cristiani, per i nativi sudamericani la Pachamama ecc.) nacque in Mesopotamia 9 o 10 mila anni fa con rappresentazioni femminili, e solo più tardi anche maschili, è perchè in fondo la donna, la madre, ogni madre, porta in sé un qualcosa di misterioso, regale, superiore. Se questo si combina con l’eredità dinastica di una seppur tramontata Grande Potenza, è ancor più facile capire il fascino inossidabile di Elisabetta II, al di là del lunghissimo regno, di stile, contegno, prudenza, eleganza ecc. Una democrazia (specialmente la nostra) avrebbe bisogno di un ancoraggio istituzionale prescindente dai suffragi e questo spiega anche e persino l’eccessiva popolarità di alcuni nostri Presidenti, per nulla eccezionali. Eletti per alchimie politico-parlamentari e non in virtù di sangue dinastico, Spirito Santo o altri elementi ‘legittimizzanti’. Purtroppo, la nostra dinastia storica, i Savoia, commisero così tanti errori dal condannarci ai sospiri ed all’ammirazione di modelli stranieri.