In programmazione su Italia 1 in prima serata al venerdì The Last Ship, la serie televisiva creata dell’accoppiata Steven Kane e Hank Steimberg e prodotta da Micheal Bay per la TNT, si presenta come l’ennesima saga post apocalittica a base di epidemie mortali.
Autentica serie virale (nel vero senso del termine), prospetta lo scenario poco allettante d’una pandemia provocata da un virus letale che determina la morte di miliardi di persone. Tra i pochi a scampare all’abbraccio mortifero del morbo, l’equipaggio a stelle e strisce d’un incrociatore lanciamissili classe Arleigh Burke, al cui timone si trova il testosteronico comandante Tom Chandler (Eric Dane).
A bordo dell’invitto vascello statunitense un equipaggio tutto Dio, Patria e famiglia, cui s’unisce l’avvenente virologa Rachel Scott (Rhona Mitra), e il comandante in seconda dal cipiglio poliziesco Mike Slattery (Adam Boldwin).
Telefilm, quello americano, imparentato, in certa misura, col più famoso e assai più ricco di pathos, I Sopravvissuti (Survivors) la serie cult degli anni settanta creata da Terry Nation per la BBC. Il mondo è devastato da un’epidemia inarrestabile: sopravvivono, appunto, solo alcuni individui che si muovono in uno scenario terrificante. Un incubo ipocondriaco per palati assai esigenti.
Altro predecessore insigne in tema virus letali è il film L’ultimo uomo della Terra del 1964, tratto dal romanzo di Richard Matherson Io sono leggenda, che ispirerà nel 2007 un’altra pellicola di tipo apocalittico dal medesimo titolo. Ne L’ultimo uomo della Terra, l’immortale e non si fa per dire, Vincent Price se la deve vedere con un’orda di non morti da accoppare col tradizionale rito del paletto di frassino (un omaggio al vampiro stokeriano). Il film, diretto con maestria da Ubaldo Ragona, in un non chiaro connubio registico con Sidney Salkow, si svolge nella cornice metafisica dell’EUR: l’effetto resta sorprendente.
Più esibita, per via degli effetti speciali del secolo ventunesimo, la versione riveduta e corretta del romanzo di Matherson in una nuova veste cinematografica, che vede il ricercatore militare statunitense Robert Neville (Will Smith) alle prese con l’ennesimo microbo sterminatore (stavolta è il virus del morbillo ad esser mutato). Un’apocalisse dalle atmosfere cupe con torme di mostruosi vampiri a girar indisturbati per Central Park. Ma il lungometraggio italiano col suo tocco vintage-orripilante resta insuperabile.
The Last Ship sembra collegarsi anche al recente World War Z, il film diretto di Marc Forster, che inscena una sorta di giorno del giudizio in chiave zombie in cui a salvare le sorti del mondo giungerà lo scienziato Gerry Lane impersonato da un Brad Pitt un po’ sotto tono.
Con una genealogia del genere, è inevitabile che The Last Ship non possa che sfigurare. Il soggetto è scontato, solo l’idea della nave come zona franca ha una sua validità (ma non è una novità assoluta). La trame dei vari episodi di rado sorprendono, mantenendosi nello standard non eccelso delle serie Tv americane degli ultimi anni. Gli attori fanno il possibile, ma le sceneggiature non sono prive di lacune logiche e sequenze all’insegna della banalità. E non bastano il cameratismo dell’equipaggio, le scene d’azione , le immagini muscolari dell’unità americana che solca gli oceani, l’accesa rivalità coi russi dell’ammiraglio Roskov – che sono brutti e cattivi come in Rambo III (ma di questi tempi di ritorno al gelo tra superpotenze la cosa risulta quasi convincente) – e qualche terrorista islamico in fuga da Guantanamo a raddrizzare il timone narrativo di questa fiction in uniforme.
D’altronde, se volete solo divertirvi un poco, passando una serata in stile fine dei tempi, a bordo del vostro divano davanti alla Tv, The Last Ship può far al caso vostro; ma non chiedete di più, poiché né nella plancia, né sulla coperta del naviglio americano troverete traccia della sottile linea della paura dei suoi illustri antesignani.