Caro direttore,
George Best disse che «le leggi sono fatte per essere infrante». È proprio il caso del contributo scolastico volontario, una delle più grosse violazioni dei diritti degli studenti, scaturita proprio da un confuso iter legislativo.
Il contributo scolastico volontario è un’erogazione liberale.
Come enunciato dal diritto, le erogazioni liberali sono “somme o beni concessi da un donatore ad un ente senza richiedere alcuna contro prestazione e rappresentano una tipologia di sostentamento cruciale per gli enti che non hanno scopo di lucro”.
Tale denominazione gli venne attribuita dalla legge “Bersani” numero 40 del 2007, nell’articolo 13, ove viene anche stabilito che tali contributi possono essere impiegati per l’innovazione tecnologica, l’edilizia scolastica e l’ampliamento dell’offerta formativa, essendo una fonte essenziale per un’offerta formativa qualitativamente migliore.
Fin qui nulla di strano.
Ma tra il 2009 ed il 2010 il MIUR ed il MEF, nel periodo più buio dei tagli alla Pubblica Istruzione, decisero di non riconoscere i residui attivi alle scuole con i bilanci in ordine.
In pratica, lo Stato decise di non restituire le risorse avanzate per il mantenimento degli Istituti alle scuole che, grazie a politiche di equilibrio e sacrificio, si ritrovavano i bilanci in ordine.
In soldoni, lo Stato negò alla Scuola Pubblica circa 600 milioni di euro.
L’insolvenza di tali crediti rese necessario il ricorso ai contributi dei privati.
Perché questo volo pindarico? Semplice!
Le Istituzioni scolastiche, bisognose di tali risorse, in un momento di profonda crisi economica, non trovarono l’adeguata risposta da parte delle famiglie e dei potenziali contribuenti e, bisognose di legittimare la richiesta di tali contributi, la trovarono nel contributo scolastico volontario.
Difatti, la Legge Bersani, che si limita a normare tale contributo in uno striminzito articolo di una legge che prevede grosse rivoluzioni (le privatizzazioni), non esprime esplicitamente la volontarietà di tale donazione.
Da allora, le famiglie italiane contribuiscono annualmente per circa 350 milioni di euro al sostentamento della Scuola Pubblica. Non per senso civico o generosità.
L’85% dei Presidi italiani, infatti, richiedono alle famiglie contributi dai 15 ai 230 euro (in media 150 euro), nella maggior parte dei casi con modalità vessatorie.
Qualora non bastasse la richiesta, ci si affida alle minacce. Nulla di volontario.
Si parte dalla mancata iscrizione, si passa per influenzare il voto di condotta e negare la partecipazione ai viaggi d’istruzione, fino alla mancata ammissione agli Esami di Stato.
Dopo anni di silenzio, studenti, genitori e associazioni insorti contro questo scempio hanno ricevuto la risposta dello Stato tramite due note MIUR.
La prima, la numero 312 del 30/3/2012, stabilisce che la somministrazione del contributo può avvenire solo dopo una apposita delibera del consiglio d’istituto e solo per attivare un progetto specifico che si presenta alle famiglie, le quali hanno il diritto di decidere di contribuire solo a specifiche azioni con il loro contributo e di detrarre fiscalmente l’importo della contribuzione. Inoltre, in questa nota, viene stabilito che, a fine anno, deve essere reso pubblico un rendiconto chiaro e trasparente della gestione dei contributi, indicando anche i benefici tratti dalla comunità studentesca.
La seconda nota, la numero 593 del 07/03/2013, stabilisce che il contributo è totalmente volontario durante tutto il ciclo scolastico e non può condizionare l’iscrizione, la frequenza o l’offerta formativa dello studente.
Una risposta scarna e poco adeguata.
In questo anno di rappresentanza studentesca, difatti, con i militanti di Studenti Tricolore, molti Dirigenti Scolastici hanno provato a liquidarci dicendo che le note MIUR sono solo indicazioni e non costituiscono materiale legislativo su cui basare la fondatezza giuridica di tali richieste. Tutto ciò con esito negativo per le loro istanze.
Difatti gli Studenti, in molte scuole, sicuri della veridicità delle nostre fonti si sono finalmente sentiti liberi di non pagare questa vera e propria tassa e si sono finalmente visti riconosciuti il diritto alla totale gratuità della Scuola Pubblica.
Ma, a nostro avviso, c’è bisogno di una legge ad hoc per liberare gli Studenti da questo giogo: non è una logica che funziona quella del farsi giustizia da se, in un Paese che punta i riflettori solo sui diktat europei, sugli indici azionari e i giudizi delle agenzie di rating.
Noi giovani, a cui è stato rubato il futuro, ma non la speranza, abbiamo bisogno di sentirci tutelati dallo Stato.
E lo Stato ha bisogno di noi e della nostra preparazione ferrea acquisita in un clima sereno, per rilanciare finalmente lo sviluppo sociale ed economico di un Paese che abbassa lo sguardo ai suoi piedi anziché guardare dritto all’orizzonte e lanciare nuove sfide per il futuro.
*Studenti Tricolore