Quando tutto finisce in un teatrino dove gli attori sul palco non conoscono esattamente il copione è giusto sottrarsi. Dire di no, soprassedere e puntare a fare soltanto ciò che si ritiene di saper fare meglio, è la soluzione migliore. Giocare a calcio in una nazionale è già difficile, mettere assieme sport e impegno civile lo è ancora di più. Infatti sono in pochi che hanno lasciato il segno su entrambi i fronti e non senza pagarne un prezzo.
C’è gesto e gesto. Lo scarto sta nel rischiare, nell’accettare le conseguenze di un atto dirompente. Quando ciò avviene non ci sono commenti che tengano, perché il gesto autentico spiazza anche le intelligenze degli opinion makers, non le asseconda.
Inginocchiarsi sì, inginocchiarsi no. Ma sappiamo di che parliamo? Spesso non si vede nello sguardo di chi va giù quella giusta determinazione in linea con un gesto carico di consapevolezza. In un anno di Serie A si è visto poco o nulla, lo stesso in Champions League. Si dirà che l’Europeo è ben altra cosa. Certo che lo è. Lo è sicuramente dall’Nba americana: dove la questione razziale ha ben altra prossimità e altre contraddizioni.
Negli Usa tantissimi campioni sono stati afroamericani. Persino un presidente era di pelle nera. Ma poco è cambiato. Spesso noi chiamiamo razzismo quel che più gravemente è classismo. Troppi “neri” sono poveri ed esposti alle conseguenze sociali dettate dalla condizione di appartenere a una classe svantaggiata. George Floyd non sarebbe morto probabilmente in quel modo tremendo se il poliziotto che ieri è stato condannato a 22 anni di carcere lo avesse percepito di un rango differente.
Certi interrogativi bisogna pur farseli prima di invocare nuove obbligatorietà, nuovi rituali. Perché il problema nuovo che gli sportivi d’ora in poi dovranno affrontare è se il non inginocchiarsi possa portare rogne, diciamolo. A questo sono chiamati a riflettere Chiellini e soci. E non è giusto. Fa sorridere che ci sia chi è costretto a dire preventivamente non mi inginocchio ma sono contro le discriminazioni. E ci mancherebbe.
Questo perché andrebbe meglio definito cos’è il razzismo prima di allargarsi la bocca. Se vuol dire ritenere che il colore della pelle possa determinare disprezzo, differenze, esclusione dal mondo del lavoro, della scuola o altri trattamenti disumani, beh, difficile trovare chi possa sinceramente dirsi razzista. Appunto perché nessuno lo è. Difficile trovare risconti al contrario (almeno dalle nostre parti).
Andrebbe meglio definita anche l’opzione antirazzista, spesso sventolata come una delle tante ipocrisie dalla cultura occidentale, i cui contorni stanno assumendo forme grottesche in piena continuità con il politicamente corretto. Il punto sta proprio lì e i gesti di protesta non sono affatto esclusi da un vaglio che possa tirare in gioco l’onestà intellettuale: perché l’ipocrisia non è mai in conflitto con un potere dominante, semmai è conforme ad esso. Questa è la verità.
Tosto che l’ipocrita è spesso in buona fede, guai a confondere le mode con lotte ben più faticose. La storia ci insegna che per andare al punto d’origine, alla verità della cosa, bisogna andare contro corrente. Si fa così con i fiumi. E non sembra che i calciatori di Euro2020 si siano dati quest’obiettivo. Ed è pure legittimo che sia così. Il resto rischia di essere imposizione.
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