Il 19 luglio di vent’anni fa fu ucciso a Palermo il presidente di una Repubblica ideale, eletto due mesi prima. Era un magistrato, come colui che fu eletto a capo della Repubblica italiana, ma lui all’Italia dette la vita e non la retorica pelosa. Era un magistrato ma non era malato di protagonismo e di livore ideologico.
Quarantasette parlamentari di destra lo votarono presidente della Repubblica ideale, candidato di bandiera.
Quarantasette, morto che parla; e dopo che uccisero Falcone, lui era un morto che parlava. Sapeva che il prossimo era lui, ma rimase al posto suo, a testa alta. Perché era un uomo d’onore, nel sensocheallamafiaunavoltaincutevatimore e rispetto; meno alla nuova,più cinica e disonorata. Lui era un servitore dello Stato, credeva nell’autorità e nella missione del magistrato. Non serviva solo la Costituzione ma amava la sua patria, a partire dalla sua Sicilia.
Era un uomo di destra, fin da ragazzo aveva militato nella fiamma tricolore. Aveva la sua scorta ma sapeva, dopo il caso Falcone, che gli uomini della scorta più che scudi diventano consorti, uniti alla sua sorte, come poi accadde.
Così trascorse quella mezza estate del ’92 guardando in faccia il suo destino e i suoi carnefici, senza defilarsi o scendere a patti con la Bestia. Andò al sacrificio con attivo fatalismo. Morì da eroe, e meschino un popolo che rinnega i suoi eroi, fondatori di una Repubblica ideale, possibile solo nei cieli. Poi vennero le carogne per depistare e gli avvoltoi per nutrirsi del suo nome. Onore a Paolo Borsellino.
* da Il Giornale del 19 luglio 2012