Chi abbia visto Sky Calcio Club almeno una volta nella vita, sicuramente si sarà abituato a sentire Caressa chiedersi se è giusto il mondo del calcio in cui ci sono “gli allenatori fenomeni”.
Spesso si dà troppa importanza al ruolo degli allenatori, accantonando quello che è il vero cuore del calcio, cioè l’estro dei giocatori e la loro capacità di creare come un pittore con i colori. In alcuni casi, però, l’allenatore decide le sorti di molti interpreti rendendoli grandi.
Questo è successo a Jorginho grazie a Sarri e a Berardi e Locatelli grazie al magistrale lavoro di De Zerbi. Se l’Italia oggi è diventata quasi ingiocabile lo si deve quindi non solo ai calciatori che sono uniti come non mai, con un piglio agonistico e fisico roboante e con idee chiare, ma anche e soprattutto agli allenatori, quelli dei club che hanno esaltato le già notevoli qualità di molti giocatori, e a Mancini. Fondamentale infatti è stato anche il suo apporto dal punto di vista della visione d’insieme. Aveva delle macerie, dalle quali si sa che è più facile ricostruire, ma creare opere d’arte dalla distruzione è ben altra impresa. Così puntando su intensità, pressing e coralità ha creato una corazzata e ha sfruttato i punti di forza sui quali poteva già contare grazie al mirabile lavoro dei tecnici dei club:
La granitica coppia di centrali di difesa, terzini ultra offensivi, un Jorginho accentratore di palloni, creatore di geometrie e recuperatore di palloni, un Barella infervorato dallo stesso agone che Conte mostrava in campo e gli irresistibili golden Boys neroverdi, facilmente traslati in un altro 4-3-3 di corsa e lucidità che dimostrano che quanto fatto dalla cantera al Barcellona è scienza e non fantascienza (giocare con uno schema allena ad adattarsi più facilmente allo stesso schema anche se riproposto in condizioni differenti). Partendo da queste certezze, gli azzurri stanno cementando ulteriori granitiche convinzioni che stanno ergendo la nazionale a super favorita del torneo insieme alla Francia.