I praticanti di arti marziali, prima di entrare nel loro Dojo e impegnarsi nella disciplina che hanno scelto, dedicano molta cura all’abbigliamento. Ma non, ovviamente, nel senso comune del termine: quando si parla, per esempio, di Via della Spada (sia essa declinata come Kendo o Iaido), l’attenzione è infatti concentrata su come si indossa la divisa. E questo perché il vestirsi costituisce non solo l’inizio della sessione di pratica (pure se si consuma quando si è ancora all’esterno del Dojo) ma rappresenta anche una grande forma di rispetto, nei confronti del Maestro (Sensei) e degli altri praticanti.
Cercheremo di spiegare meglio questo concetto, ma prima vediamo in breve quali sono le componenti dell’abbigliamento dei kendoka/iaidoka (molto simile): la giacca si chiama gi (pronunciato con l’iniziale dura) ed è uguale per entrambe le discipline tranne che nel colore: per il kendo è infatti blu mentre per lo iaido può essere anche di diverso colore (prevalentemente nera o bianca). Sopra la giacca, gli iaidoka indossano anche una cintura – obi – che serve per inserirvi la spada. L’obi viene girata tre volte intorno ai fianchi e allacciata dietro la schiena con un nodo ben stretto e non sporgente. Per quanto riguarda la parte inferiore del corpo, in entrambi i casi si indossa l’hakama, una specie di gonna-pantalone a pieghe il cui colore segue quello del gi.
I kendoka inoltre, per i combattimenti, hanno una serie di protezioni per la testa (men), per i polsi (kote), per l’inguine (tare) e per il torace (do) che tutti insieme compongono l’armatura, detta bogu.
Dicevamo prima dell’importanza di come si indossa la divisa, che è anche criterio di valutazione quando si sostengono esami per il passaggio di grado. Esistono infatti precise regole in proposito, come specificato tra l’altro in un dettagliato documento sul sito della Confederazione Italiana Kendo. Ne citiamo soltanto alcune, per far capire anche ai “non addetti ai lavori” il senso del discorso: il colletto del gi deve coprire bene il collo ed essere a contatto con esso; il gi non deve essere gonfio o arricciato nella parte posteriore; l’hakama deve essere un po’ più bassa nella parte anteriore ed un po’ più sollevata sul retro e deve essere abbastanza lunga da coprire le caviglie.
A proposito dell’hakama, va detto che secondo la tradizione le sette pieghe (frontali e posteriori) che l’indumento riporta, si ritiene corrispondano alle sette virtù della Via del Guerriero (Bushido). Ovvero giustizia-integrità-correttezza (Gi), rispetto dell’etichetta-comportamento (Rei), coraggio (Yu), onore-dignità (Meiyo), compassione-benevolenza (Jin), sincerità-onestà (Makoto) e lealtà-fedeltà-devozione (Chu).
Per concludere questo breve percorso, vale la pena riportare un breve passo del libro “La spada di Mishima” di Christopher Ross, studioso inglese appassionato di arti marziali. Che, a proposito proprio della divisa anche oggi indossata da chi pratica la Via della Spada, così scrive:
“Andai a cambiarmi e uscii poco dopo con la spada in mano. Indossavo una giacca di cotone infilata in una gonna nera di cotone plissettato, in realtà un’enorme paio di pantaloni piegati in modo speciale, indossati un tempo dai samurai. Qualche minuto prima, mentre aspettavo gli altri, mi ero guardato attorno. Stava per cominciare una lezione di step. Una donna vestita da capo a piedi di rosa fluo mi fissava da dietro le lenti rosate, con occhi che sembravano sdegnati, Io risposi al suo sguardo e mi appoggiai all’impugnatura della spada. L’abisso tra di noi era immenso: centinaia di anni, migliaia di chilometri, uno scarto tra civiltà diverse. Era venuta lì per ballare, per divertirsi, per far vedere che le piaceva il rosa e per tenersi in forma. Io ci ero andato per imparare ad uccidere, vestito con gli abiti di un guerriero feudale giapponese, membro di una casata estinta da tempo”.