Il mondo delle arti marziali è estremamente vario e complesso. Anche per questo farne un quadro completo sarebbe tanto difficile quanto probabilmente inutile e forse, per chi non le vive dal di dentro, anche non molto coinvolgente. Ecco perché, nel percorso lungo il quale ci proponiamo di accompagnare i nostri lettori, pensiamo sia meglio, per inquadrare il fenomeno, tracciare pur brevemente e non esaustivamente la storia e le caratteristiche soltanto delle discipline più conosciute e praticate. Discipline magari alle quali, spinti dalla curiosità che ci auguriamo di suscitare, qualche frequentatore di queste pagine potrebbe avvicinarsi.
Iniziamo quindi il nostro viaggio con il Karate, che secondo diverse fonti è una delle arti marziali più diffuse, nel mondo in generale e in Italia in particolare. Intanto il nome: Karate significa letteralmente “mano vuota” e in maniera estremamente sintetica possiamo dire che si articola in tecniche di combattimento (pugni, calci e bloccaggi) praticate senza l’uso di armi.
Come per varie altre discipline, risulta non facile, a causa della mancanza di fonti storiografiche certe, stabilirne con esattezza l’origine temporale. Territorialmente parlando le radici del Karate affondano nelle isole giapponesi di Okinawa e quanto al riconoscimento ufficiale da parte del Dai Nippon Butoku Kai (l’organizzazione imperiale per l’educazione della gioventù), risale al 1931. Nel nostro Paese i praticanti di Karate sono tesserati presso la FJLKAM (Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali, nata nel 1902 come Federazione Atletica Italiana ed in seguito modificata con il progressivo inglobamento di altre discipline. L’ingresso del Karate risale al 1995).
Nel corso degli anni si sono sviluppati varie scuole e stili di karate, fondati su impostazioni e tecniche anche abbastanza variegate. Tra essi molto diffuso è lo shotokan, il cui fondatore, negli anni Quaranta del secolo scorso, è il Maestro Gichin Funakoshi (1868-1957). Sua anche la formulazione del codice etico del karate, che si fonda su regole come “cerca di perfezionare il carattere, percorri la via della verità, rafforza instancabilmente lo spirito, osserva un comportamento impeccabile, astieniti dalla violenza e acquisisci autocontrollo”. Sua, inoltre, la seguente frase, che sintetizza a nostro avviso alla perfezione lo spirito dei praticanti di karate di ogni tempo, nel dojo ma anche nella vita:
“Come la superficie di uno specchio riflette qualunque cosa le stia davanti, così il karateka deve rendere vuota la sua mente da egoismo e debolezze, nello sforzo di reagire adeguatamente a tutto ciò che potrebbe incontrare”.
Tra le discipline marziali più antiche c’è il Ju-Jitsu (o Ju-Jutsu), che era considerato fondamentale per essere un Samurai. In estrema sintesi possiamo dire che letteralmente significa “arte della cedevolezza” (o “flessibilità”) e può essere definito come un metodo di lotta di offesa e difesa senza armi basato sulla capacità di schivare i colpi dell’avversario (che poteva anche essere armato) e sullo sfruttamento della forza in essi impressa per andare a colpire i suoi punti vitali.
Con l’uscita del Giappone, nel 1867 (anno della caduta dell’ultimo Shogun), dal periodo feudale, il jujitsu, disciplina marziale come abbiamo detto appartenente al bagaglio dei guerrieri e dunque parte dell’antica cultura che si stava abbandonando, da nobile occupazione dei militari scomparve quasi del tutto.
Dal Ju-jitsu appena descritto ha poi origine il Judo (“via della gentilezza” o “cedevolezza”) nato nel 1882 su iniziativa del Sensei (Maestro) giapponese Kano Jigoro (1860-1938), che – si legge in un documento dell’Ambasciata giapponese in Italia – “formulò un sistema di addestramento basato sui moderni principi dell’atletica e modificò le regole per permettere di atterrare l’avversario e lottare corpo a corpo sul tappeto”.
Il Judo in sostanza è una disciplina difensiva estremamente tecnica, che utilizza a proprio vantaggio l’energia e la forza dell’opponente per mandarlo a terra. Basato su quattro principi fondamentali (proiezioni, atterramenti, sottomissioni e immobilizzazioni), sotto certi aspetti è simile al Karate sia nelle forme sia nell’abbigliamento (la giacca indossata dai praticanti, detta “gi”, è praticamente uguale tranne che nella parte superiore, che nel caso del Judo è realizzata con materiali più pesanti) ma si differenzia da quello perché nel Judo non sono ammessi colpi (né con le mani, né con i piedi).
A proposito dell’aspetto organizzativo, ricordiamo che la Federazione Mondiale di Judo è stata fondata nel 1952 (quanto all’Italia, gli atleti dal 1974 sono tesserati dalla già citata FJLKAM) e che a partire dal 1964 la disciplina in questione è stata inserita nel programma delle Olimpiadi inizialmente come competizione maschile ed in seguito anche femminile.
Considerato un’attività sportiva tra le più complete il Judo, come tutte le arti marziali, ha una grande importanza anche nella formazione individuale e spirituale, in quanto – come indicato dal fondatore Jigoro Kano – praticarlo significa tendere alla condizione fisica e mentale del “miglior impiego dell’energia”: ciò comporta il promuovere valori come amicizia, partecipazione, rispetto e sforzo per migliorarsi.
“Allenarsi nella disciplina del Judo – scrive Kano nel suo “Fondamenti del Judo” – significa raggiungere la perfetta conoscenza dello spirito attraverso l’addestramento attacco-difesa e l’assiduo sforzo per ottenere un miglioramento fisico-spirituale. Il perfezionamento dell’io così ottenuto dovrà essere indirizzato al servizio sociale, che costituisce l’obiettivo ultimo del judo”.
Valgono, a questo proposito, anche le parole di Kyzuo Mifune (1883-1965), uno dei più celebri praticanti di questa disciplina. Che nel suo “The Canon of Judo” afferma che
“allenarsi nella disciplina del jūdō significa raggiungere la perfetta conoscenza dello spirito attraverso l’addestramento attacco-difesa e l’assiduo sforzo per ottenere un miglioramento fisico-spirituale. Il perfezionamento dell’io così ottenuto dovrà essere indirizzato al servizio sociale, che costituisce l’obiettivo ultimo del jūdō”.
Un’altra disciplina marziale particolarmente conosciuta e diffusa è l’Aikido, che trae origine dall’aikijujutsu della scuola fondata da Yoshimitsu Minamoto (1045-1127) per poi svilupparsi autonomamente nella forma attuale grazie al Maestro Morihei Ueshiba (1883-1969). Praticata sia a mani nude sia con le armi tradizionali (spada, bastone e pugnale), quest’arte marziale mira a condurre all’unione e all’armonia con l’energia vitale e lo spirito dell’universo (“ai” significa infatti unione e armonia, “ki” spirito e “do”, presente come suffisso in molte arti marziali, vuol dire via).
L’aikido si basa principalmente su tecniche che cercano di approfittare della debolezza dell’avversario nelle giunture di polsi e braccia, partendo dal presupposto che flessibilità e coordinamento sono più importanti della forza. Da rilevare poi che a differenza do quanto avviene nel judo (che, per semplificare, si basa anch’esso su prese e leve) nell’aikido i praticanti non si afferrano per la giacca (“gi”) e restano ad una certa distanza l’uno dall’altro. Questa disciplina, inoltre, è forse l’unica arte marziale nella quale non ci sono gare e tornei e quanto alla sua diffusione nel nostro Paese, è principalmente legata alla costituzione, nel 1970, dell’Accademia nazionale italiana di Aikido Aikikai.
A proposito infine dello scopo della pratica, va sottolineato che la stessa non si esaurisce nel combattimento e/o nell’autodifesa (che pure la caratterizzano ed è anche per questo che l’aikido è molto diffuso tra donne e forze dell’ordine) ma – come precisato dal fondatore della disciplina – è legata all’ottenimento di una “corretta vittoria” (masakatsu), che consiste nella conquista della “padronanza di sé stessi” (agatsu) attraverso un disciplinato percorso di profonda conoscenza della propria natura interiore. Che, va da sé, rende chi vi si incammina un individuo migliore anche e soprattutto nella vita di ogni giorno, fatto questo che emerge chiarissimo dalle seguenti parole del fondatore della disciplina Morihei Ueshiba (che gli aikidoka chiamano rispettosamente Osensei, ovvero “Grande Maestro”):
“L’Arte della Pace inizia con voi. Lavorate su voi stessi e sul compito assegnatovi nell’Arte della Pace. Ognuno possiede uno spirito che può essere purificato, un corpo che può essere in qualche modo allenato, e un sentiero adatto da seguire. Voi siete qui per realizzare la vostra divinità interiore e manifestare la vostra illuminazione interna. Promuovete la pace nella vostra vita e poi applicate l’Arte su tutti coloro che incontrerete”.