Agli inizi del secolo scorso i contenuti e le sorti del “fado”, con la sua fase di divulgazione oramai ultimata, s’innestano nel tessuto sociale e nelle vicende politiche del Portogallo.
Già nel corso degli ultimi anni del XIX secolo alcune vicende di grande portata avevano profondamente “offeso” l’orgoglio nazionale, determinando la comparsa dei primi dissensi contro la Monarchia Costituzionale e il Governo, colpevoli agli occhi dei più di aver condotto una politica coloniale disastrosa, come dimostrava la sudditanza nei confronti della Gran Bretagna. Il sogno di un’Africa centromeridionale portoghese – la famosa “mapa cor-de-rosa” del 20 febbraio 1886, quel corridoio che avrebbe dovuto unire l’Angola e il Mozambico, entrambe colonie portoghesi – svanì con l’Ultimatum inglese dell’11 gennaio 1890, che impose al Portogallo il ritiro delle sue truppe dal territorio. Era l’inizio di una profonda crisi che avrebbe portato la popolazione a perdere progressivamente fiducia nei confronti del governo centrale. Lo stesso regime monarchico divenne oggetto di critiche da parte della crescente opposizione repubblicana, che avrebbe espresso il proprio dissenso e le proprie idee in proposito persino in musica, con i cosiddetti “fados socialistas” e “fados republicanos” [Osório, 1974: 66-67].
La casa regnante – quella dei Braganza –, investita da una crisi morale e politica profonda, resisterà ancora per poco alle pressioni esercitate dall’opposizione repubblicana. Il 1° febbraio 1908 Carlo I è assassinato, insieme al primogenito, il principe Luigi Filippo. Due anni dopo, il successore, Emanuele II, è detronizzato e costretto all’esilio. Il 5 ottobre 1910 è proclamata la Repubblica.
È in quegli anni che si attua un primo snaturamento della «triste canzone» – notoriamente estranea, fin dal suo apparire, a ogni manifestazione politica – e con esso le prime polemiche. Celebre è quella tra l’anarchico Avelino de Sousa, direttore del giornale «A Voz do Operário», e gli scrittori Samuel Domingos Maia (con lo pseudonimo «Dr. Felix») e Albino Forjaz de Sampaio, i quali ultimi, sulle pagine, rispettivamente, de «O Século» e «A Luta», esprimono le proprie considerazioni, non certo benevoli, sul “fado”, accompagnate, nel caso di Domingos Maia, da un’aggettivazione alquanto pesante, tipo: «abietto», «turpe», «sporco», «avvinazzato». La risposta di Avelino de Sousa – che ammanta il “fado” di una significazione esageratamente ideologica, intendendolo quasi come un riscatto sociale delle classi oppresse – trova ampio spazio sul suo stesso giornale, con una serie di articoli pubblicati settimanalmente nella primavera del 1912, poi raccolti, in quello stesso anno, in un opuscolo dal titolo «O fado e os seus censores». Secondo Sousa – che trascina nella querelle anche un affermato musicista e musicologo, António Arroio, reo di aver definito il “fado”, nel volume «O canto coral e a sua função social» (1909), una composizione inelegante e povera e, quindi, inadatta a rappresentare l’intero Portogallo – questo tipo di canzone ha un’utilità sociale, svolge una funzione educativa ben precisa, sia nell’evidenziare le iniquità e disparità di classe, sia nel denunciare l’immoralità dilagante, il tutto a conferma della sua natura eminentemente popolare. Sulle tristi note della “guitarra” – afferma in sostanza Avelino de Sousa – il popolo prende coscienza di se stesso, della propria forza potenziale e delle proprie debolezze, solidarizzando e apprendendo lezioni di vita [Sousa, 1912].
Gli avvenimenti politici che fanno da cornice alla Prima guerra mondiale mettono in secondo piano la “questione fadista”, non registrandosi ulteriori interventi polemici fino all’avvento del salazarismo.
Nel corso degli anni venti il Portogallo vive un periodo politico assai difficile, con un’altissima instabilità istituzionale (ventinove governi nello spazio di soli sette anni, dal 1919 al 1925, inframmezzati da una serie di effimeri colpi di stato) e una gravissima crisi economica. Si arriva così alla primavera-estate del 1926, periodo in cui si creano le premesse per una dittatura militare stabile. Proprio in quegli anni emergerà la figura di António de Oliveira Salazar, inizialmente come ministro delle Finanze e del Tesoro (27 aprile 1928) e poi come Primo Ministro, a partire dal 5 luglio 1932.
Con il nuovo regime, tutte le espressioni artistiche che non corrispondono o non si adeguano alle direttive del potere saranno osteggiate. Tra queste il “fado” che, per certe sue caratteristiche – quali il dolore, la malinconia, il pessimismo –, appare disfattista e, conseguentemente, incompatibile con l’immagine di forza e coraggio che il salazarismo intende dare di sé, dentro e fuori dal Paese. A seguito di ciò, intorno alla metà degli anni trenta, si riapre il confronto dialettico su di esso.
Nel 1936, Luís Moita, tra i maggiori critici del momento, tiene alla radio otto lezioni con l’intento dichiarato di far cambiare idea ai numerosissimi estimatori del “fado”. Poco più tardi, in quello stesso anno, per meglio raggiungere lo scopo, sintetizzerà le sue lezioni radiofoniche in un’opera dal titolo, alquanto eloquente, «O fado. Canção de vencidos», dedicata alla “Mocidade Portuguesa” (Gioventù Portoghese), il movimento giovanile ufficiale del salazarismo [Moita, 1936].
Contro questo nuovo attacco si leva un coro di proteste, cui si uniscono vari scrittori e intellettuali. È il caso di Pinto Guimarães, il quale, nel 1938, come risposta diretta a Luís Moita, pubblica l’opuscolo «Fado, canção vencedora». Le argomentazioni a favore della «triste canzone» espresse da Pinto Guimarães si possono così sintetizzare: il “fado” è, a un tempo, arte e manifestazione dell’anima del popolo portoghese, poiché «sua canzone nazionale, psichica, psicologica, etica e spiritualistica»; «è la vibrazione intima del popolo che lavora e produce; del lavoratore intellettuale, che pensa e agisce; dell’uomo che dirige, dell’uomo che esegue». Rivolgendosi, poi, a tutti coloro che ritengono i canti regionali gli unici meritevoli di rappresentare l’intera nazione, Guimarães osserverà che tali canti, appunto perché localizzati, non escono dall’ambito regionale; diversamente dal “fado”, che oltrepassa perfino le frontiere nazionali [Guimarães, 1938: 3-4].
I rapporti del “fado” con la classe politica al potere saranno alquanto contrastanti. All’inizio e per un certo periodo, lo si etichetta, in funzione unicamente spregiativa, come “choradinho” («piagnucoloso», «lamentoso»), quasi a volerlo liquidare come qualcosa di socialmente inutile. Il “mondo” del “fado”, tuttavia, continuerà a dimostrarsi indifferente a qualsiasi tipo di ironia, bonaria o cattiva, rivoltagli. Come se esso fosse un’entità superiore, assolutamente non propensa a prendere parte alle accese e, spesso, volgari dispute terrene. Un organismo – come dire? – super partes che, saldamente ancorato alla tradizione, snobba governi e ideologie.
In seguito, il regime salazarista lo riabiliterà e, nel farlo, ne smorzerà i contrasti più stridenti e polemici. Questo tipo di “fado” sarà etichettato in certi ambienti “di sinistra” come “fado vadio” («vagabondo»), poiché si presenta svuotato di ogni significato ideologico (7). Anch’esso avrà sostenitori e detrattori. A tale riguardo è bene che si dica come il “fado” non sia stato mai fascista o salazarista, sebbene ancora oggi alcuni gli muovano critiche in tal senso. Non lo è stato poiché non ha mai cantato le lodi o fatto apologia di regime (8).
La «triste canzone» si è sempre contraddistinta, tanto nel passato (remoto e prossimo) quanto nel presente, per la drammaticità dei testi, cui strettamente si ricollegano situazioni di contrasto, quale quella tra opposte classi. Il ricco e il povero, ad esempio, sono due degli elementi classici della “storiografia fadista”: l’uno che suscita sdegno e riprovazione, poiché presentato come avaro e sfruttatore delle miserie umane; l’altro che riscuote simpatia e solidarietà, poiché perseguitato dalla sfortuna, dalle malattie, dalla miseria, insomma, da tutto quell’insieme di situazioni avverse che prende il nome di Destino, Fato (“fado” = canzone fatale). Sono dell’avviso, tuttavia, che strumentalizzare, a fini ideologici e politici, questo come altri di tipi di contrasto è del tutto fuori luogo.
È difatti risaputo come il dramma, anche quello impersonato dal contrasto ricco/povero, non abbia “colorazione ideologica”, poiché è da sempre una delle componenti basilari della letteratura e dell’arte in generale. Tant’è, però, che nei testi di alcuni “fadistas” più impegnati tale contrasto si politicizzerà, trasformandosi in lotta di classe. Questi testi, cui risulta impossibile passare le maglie della censura, circolano, soprattutto nel corso degli anni quaranta e cinquanta, in forma clandestina. In linea di massima, proprio come conseguenza di tale estrema politicizzazione, il “fado” sarà costretto, per così dire, a occuparsi d’altro. Probabilmente, la scelta non è del tutto negativa, poiché stimolerà la ricerca di tematiche nuove per i testi. Non comportando, tuttavia, la totale abdicazione a denunce sociali. Poiché, sostanzialmente, nel corso di tutta la sua evoluzione – e, quindi, anche durante il regime salazarista (magari, a volte, ricorrendo a eufemismi linguistici e a testi ermetici così da rendere più difficile l’individuazione, da parte della censura, di certe dichiarazioni provocatorie) – il “fado” non ha mai perso di vista la realtà.
Nel secondo dopoguerra e fino agli anni sessanta, il Portogallo risorge economicamente. In contemporanea, la «triste canzone» vive il suo secondo periodo aureo, grazie non solo alla qualità degli artisti ma anche allo sviluppo turistico, che, se da un lato, ne determina la diffusione nazionale e internazionale, dall’altro, altera in parte quelle che erano state le sue originarie condizioni ambientali e culturali. Il “fado” diventa un prodotto commerciale da vendere agli stranieri. Si adegua alle esigenze del mercato, con l’aumento della produzione discografica, e con le “casas de fado” ed i “restaurantes típicos” che crescono a dismisura, al fine di soddisfare la domanda di una clientela straniera in forte crescita. Questa prima forma di consumismo musicale riscuote grande successo. Il consenso suscitato dalla novità è forte, pressoché unanime, pur se c’è chi dissente e critica aspramente quei locali fadisti che hanno in qualche modo ecceduto nelle innovazioni (9).
Di certo, tuttavia, insieme al Paese rinasce anche il “fado”. Quello “antico”, più che altro amatoriale, cede il passo a quello “moderno”, professionale, e che si diversifica ulteriormente, a seconda del soggetto, della metrica, del tipo di strumentazione. Nasce il “fado-canção”, con accompagnamento orchestrale, in contrapposizione al “fado rigoroso”, eseguito con gli strumenti classici (“guitarra” e “viola”). Prende vita anche il “fado jocoso”, detto anche “fado Macau”, in un certo senso allegro, basato sull’ironia e la presa in giro. C’è anche da dire come il numero dei testi superi quello delle musiche, poiché subentrano delle varianti in molti “fados”. Allorquando ciò avviene si suole parlare di “fado-fado”, ossia, “fado” del “fado”, poiché singoli artisti cambiano le parole, ma le musiche restano grosso modo invariate. Inoltre, vi è il cosiddetto “fado próprio”, composto per un artista in particolare, adatto alle sue caratteristiche vocali (10). Questa vasta gamma di possibilità interpretative favorisce il processo di folclorizzazione del prodotto. Ne consegue, oltre che una maggiore diffusione, dentro e fuori confine, anche la notorietà internazionale per i “fadistas” migliori.
Amália Rodrigues e l’internazionalizzazione del “fado”
La quarta fase fadista (dalla fine degli anni trenta ai nostri giorni) è anche detta della professionalità, proprio perché sono molti i cantanti ed i musicisti che riescono a “monetizzare” le loro qualità vocali e strumentali stipulando contratti con “casas de fado”, radio, teatri, case discografiche e, più tardi, con la televisione. Gli impresari fanno di tutto per accaparrarsi gli elementi più dotati, ed i prezzi delle prestazioni lievitano o crollano a seconda delle leggi di mercato.
Dagli anni quaranta in poi si assiste a una strenua lotta per uscire dalla mediocrità e tentare il successo. In campo maschile, si affermano due figure in particolare, Alfredo Rodrigo Duarte, meglio conosciuto come Alfredo Marceneiro – il “re” indiscusso del “fado”, postumamente insignito, nel 1984, due anni dopo la sua scomparsa, della prestigiosa decorazione della “Ordem do Infante D. Henrique” – e Carlos do Carmo. In quello femminile, Hermínia Silva, Berta Cardoso e, soprattutto, Amália Rodrigues, la vera ambasciatrice nel mondo della «triste canzone» [Sucena, 1992: 193-262].
La carriera di Amália da Piedade Rodrigues, nata a Lisbona il 23 luglio 1920, inizia in sordina, ma senza incontrare particolari ostacoli. Tutto ha inizio con la frequentazione, ai diciott’anni, della “Academia de Santo Amaro”, dove viene notata da un impresario che le propone delle audizioni per il “Retiro da Severa”, all’epoca la “casa de fado” più famosa, con i migliori musicisti e con “fadistas” prestigiosi, tra cui il mitico e già citato Alfredo Marceneiro. Inizia a cantare come Amália Rebordão (più che un semplice pseudonimo, poiché è il cognome del nonno materno), con un repertorio di soli tre “fados”. La giovane e bellissima esordiente riscuote da subito un grande successo, tanto che le viene sottoposto il primo contratto di lavoro.
La sua bravura, unita a una simpatia e un sicuro carisma, che la sua personalità sprigiona, fanno sì che il pubblico, nel corso degli anni, le riservi un’attenzione senza confronti. Inoltre, la sua sensibilità musicale le consente, non solo di ottenere presto una grande popolarità in Patria, ma anche di conquistare le platee di tutto il mondo – tanto da formarsi un binomio inseparabile: “fado” = Amália / Amália = “fado”.
Chiunque ascolti per la prima volta la sua voce o, meglio ancora, abbia avuto la fortuna – è il mio caso! – di vederla e ascoltarla dal vivo, ha la netta sensazione di trovarsi al cospetto di un’artista completa, capace di virtuosismi vocali straordinari e unici che si richiamano alla musica araba e andalusa, al flamenco in particolare, arricchiti di un forte senso della teatralità. Quindi, in possesso di una formazione e un patrimonio culturali che vanno ben oltre l’ambito nazionale. Nel caso di Amália, è forse riduttivo definirla solo e semplicemente cantante di “fados”. Meglio le si addice il termine di “interprete iberica”.
Come precedentemente riferito, fin dalle origini della «triste canzone», le classi sociali più elevate hanno sempre rappresentato un elemento determinante nella carriera di ogni “fadista” di rilievo. Lo dimostra ampiamente il caso di Maria Severa, ma anche quello di Amália, pur se con delle sfumature diverse. Difatti, se oltre un secolo fa erano gli aristocratici latifondisti a decidere la fortuna di un artista, in epoca più recente è la media e alta borghesia e una nobiltà cosmopolita ed eterogenea a decretarne il successo.
Nel 1949, iniziano le prime tournée europee di Amália. Londra e Parigi – quest’ultima, soprattutto, poiché ospitava, già da allora, molti emigranti portoghesi – sono le città prescelte in occasione di concomitanti feste promozionali per il turismo. L’anno seguente è al Teatro Argentina di Roma.
La consacrazione ai vertici della musica mondiale le giunge, però, solo nel 1955, a seguito di una sua apparizione nel film «Les amants du Tage», con la regia di Henri Verneuil e interpretato, tra gli altri, da Daniel Gerin, Françoise Arnoul e Trevor Howard. In particolare, una canzone della colonna sonora piacerà ai francesi, «Barco Negro» (con musica del brasiliano Caco Velho e testo di David Mourão-Ferreira – tra i maggiori poeti contemporanei d’espressione portoghese e autore di molti testi di “fados” per Amália), un brano particolarissimo, di difficile esecuzione per l’alternanza repentina di toni alti e bassi. Ciò le varrà l’invito a esibirsi nel tempio della musica per eccellenza, l’Olympia di Parigi (1956), ottenendo uno strepitoso successo. La Francia intera le tributa onori da grande artista, ponendola sullo stesso piano di Edith Piaf e Yves Montand. Da allora, Amália conoscerà una notorietà sconfinata, non solo in tutta Europa, ma anche nelle Americhe e in Asia.
L’Italia sarà uno dei Paesi da lei più visitati, con varie tournée (1964, 1970-1973, 1975-1976, 1978-1979, 1981, 1983, ecc.) e numerosissimi concerti, sia nei grandi teatri metropolitani sia in quelli piccoli di provincia. Gli ultimi concerti italiani risalgono all’agosto del 1989, in occasione dei suoi cinquant’anni di sodalizio con la musica. Da sottolineare, inoltre, la sua capacità di trasformare in “fados” alcune canzoni straniere. È il caso di «Canzone per te» di Sergio Endrigo, interpretata in maniera sublime e che l’artista, inserendola nel suo repertorio, riterrà patrimonio acquisito della musica fadista.
Oltretutto, sarà la stessa Amália a dare grande impulso, grazie in particolare ad Alain Oulman – compositore francese, ma nato in Portogallo, di talento –, al cosiddetto “fado poesia”. Canterà versi non solo di poeti portoghesi e brasiliani contemporanei (Pedro Homem de Melo, José Régio, David Mourão-Ferreira, Alexandre O’Neill, Manuel Alegre, Cecília Meireles e tanti altri) ma anche del grande Camões (11).
Tutto questo fa sì che si possa parlare, non solo di un binomio Amália/”fado”, ma anche di un’associazione Amália/Portogallo:
Scrive David Mourão-Ferreira, in uno splendido e toccante articolo-ritratto del 1994
«L’identificazione di Amália con il Portogallo è […] una specie di emanazione dell’inconscio collettivo; e può dirsi che lei esemplarmente personifica, non solo il suo Popolo – con tutti i tratti di fatalismo e di coraggio che lo caratterizzano, di malinconia e di vibrazione che lo animano –, ma anche i numerosi aspetti del suo variegato paesaggio e, perfino, del suo habitat fisico, della sua atmosfera, del suo clima, dei suoi ampi orizzonti, ora avvolti dalla bruma, ora inondati di luce intensa. Nell’inconfondibile voce di Amália, da un lato, risuona quell’oceanico appello che dal Portogallo fece, subito dopo la fine del Medioevo, il primo Popolo dell’Europa partito alla scoperta di nuovi mondi, dall’altro, si manifesta il commosso attaccamento alle piccole e grandi realtà della terra natale: il fiume, la vallata, la montagna, la casa di granito del Nord o la casa tutta di bianco del Sud, il frutteto, il bosco, la fonte, la pianura ed i luoghi rocciosi. Voce della diaspora e voce del terroir, voce della distanza e dell’intimità, con l’ampiezza delle onde più alte e la toccante discrezione di santuari raccolti, la voce di Amália era proprio per questo destinata a diventare lo strumento ideale per la rinnovata e dilatata espressione del quasi millenario lirismo del suo paese, dai trovatori ai rinascimentali, da Camões ai molti poeti contemporanei […]. È certo, però, che Amália non ha mai smesso di cantare poeti popolari o, per meglio dire, meno legati alla tradizione colta della poesia portoghese. Da questa stessa circostanza procedono sia la straordinaria ricchezza del suo ventaglio interpretativo sia le sue capacità, che solo lei possiede, poiché compresa, apprezzata, amata, adorata perfino, da tutti gli strati sociali della popolazione e dalle più diverse specie di pubblico. Tutto quel che la riguarda, però, non è solo un caso di straordinaria popolarità: è, piuttosto, un fenomeno mitico, e simultaneamente quasi mistico, di comunione spirituale tramite la suprema alleanza tra la voce, la parola e la musica. E lo stesso scialle nero, con cui Amália si presenta alle sue esibizioni, emblematicamente occulta e svela l’insondabile mistero di questa magica trinità» [Cit. in Dias, 1999: 12].
Amália Rodrigues, la «regina del “fado”», la «musa» e il «mito», «l’eteronimo femminile del Portogallo», morirà, all’età di settantanove anni, il 6 ottobre 1999, lasciando il suo Paese costernato e in lacrime (12).
Gli sviluppi recenti
In Portogallo, all’indomani del 25 aprile 1974 – giorno in cui un’insurrezione militare, passata alla storia come «Movimento dei Capitani» e del tutto incruenta per non aver incontrato praticamente alcuna resistenza, mette fine alla più lunga (quarantott’anni) dittatura dell’Europa contemporanea –, s’insedia al potere una Giunta di Salvezza Nazionale che, oltre a proclamare il ripristino dei diritti civili, la liberazione dei prigionieri politici, l’abolizione della censura, lo scioglimento della PIDE/DGS, la legalizzazione di tutti i partiti anteriormente clandestini (tra cui quelli socialista e comunista) e l’autorizzazione a crearne dei nuovi, indice le elezioni di un’Assemblea Costituente per l’aprile dell’anno successivo. Nei mesi a seguire, tuttavia, si genera un processo politico pieno d’incognite, poiché il potere verrà gestito da più organismi (la Presidenza della Repubblica, il Governo, il Consiglio di Stato, le Forze Armate), senza una vera definizione dei compiti spettanti a ciascuno di essi: un anno dopo i fatti di aprile, ancora permangono molti interrogativi sul futuro del Portogallo. Difatti, per quasi tutto il 1975, persisterà un clima d’incertezza, timore, determinato sia dalle contrastanti prese di posizione dei singoli partiti, sia, soprattutto, dalle forti lacerazioni all’interno delle Forze Armate, divise dalle più svariate tendenze politiche e che condizioneranno diverse scelte agli inizi del processo rivoluzionario repubblicano, compreso un tentativo, fortunatamente scongiurato (25 novembre 1975), d’instaurare un regime autoritario e comunista [Garcia, 1984: 253-255].
L’abolizione della censura, se da una parte comporterà il ripristino della libertà di pensiero e d’espressione, nonché la diffusione dei grandi ideali di democrazia, dall’altra, farà lievitare il clima di confusione. Ognuno può esternare le proprie opinioni su e contro tutto/tutti. La stessa propaganda partitica si serve, con disinvoltura, di qualsiasi mezzo di comunicazione atto a raggiungere il maggior numero di elettori. Così, ai mass media tradizionali se ne affiancano altri, quali striscioni e murales inneggianti a questo o quel partito, a questo o quel candidato, mentre la musica “impegnata” (in qualche caso strumentalizzata a scopi di parte) imperversa in ogni angolo del Paese. Persino nell’ambiente fadista si forma una corrente di compositori, parolieri e cantanti politicizzati, destinata, però, a scomparire dopo i primi momenti di giustificata euforia post-dittatura, per scarso gradimento da parte del pubblico.
Tra i tanti autori di “fados” che si avventurano in politica, emergono soprattutto quelli di area socialcomunista. Con delle eccezioni tuttavia. È il caso di João Ferreira-Rosa, il quale, nell’agosto del 1974, pubblica «Fado. É no povo que vive esta canção», un opuscolo di tendenza populista filomonarchica [Ferreira-Rosa, 1974:]. I veri protagonisti, però, negli anni immediatamente successivi al 25 aprile 1974, saranno José Afonso e Adriano Correia de Oliveira: le due maggiori voci di protesta, accomunate dagli stessi ideali politici. Entrambi di formazione “coimbrana” – per aver frequentato gli ambienti accademici e musicali di Coimbra – e amici nella vita, Afonso e Correia de Oliveira si dedicano appassionatamente, come autori e interpreti, alla causa rivoluzionaria. Il loro impegno è totale, comprovato dai tanti concerti e dalle tante incisioni discografiche. Verranno a mancare, quasi contemporaneamente, agli inizi degli anni ottanta.
Il patrimonio canoro di questi due autori ha certamente caratterizzato un’epoca e oggi ha valore di testimonianza storica indiretta, pur se contraddice – e occorre dirlo – sia lo spirito originario del “fado”, sia i temi più sentiti dal pubblico fadista. Insomma, la loro musica si allontana di molto e, in taluni casi, diverge completamente dal “fado” classico, poiché, in sostanza, rappresenta la rottura con il passato, con la tradizione (di cui la «triste canzone» non può e non potrà mai fare a meno), in nome di utopistici ideali egualitari [Afonso, 1988; Correia, 1987].
Oggi, di molto ridimensionate, quando non proprio scomparse del tutto di scena, queste formule musicali “impegnate”, resta il “fado”, quello “vero” (13), patrimonio della tradizione più genuina e solida del Portogallo.
Note
(7) In tempi più recenti, l’espressione “fado vadio” ha assunto una connotazione in qualche modo universalmente positiva. Rappresenta, in sostanza, il “fado” amatoriale, cantato in alcune taverne di Lisbona da frequentatori abituali o tra amici. Colui che lo canta, nota Pais de Brito, «parla del “fado vadio” con una certa vanità, poiché è esso quello vero in opposizione al “fado” commerciale […]; chi va per i quartieri della città desideroso di ascoltare il “fado” crede di trovare nel “fado vadio” la forma più pura di una tradizione popolare che per la sua rarità è diventata socialmente più quotata» [Brito, 1983: 163].
(8) Cfr. l’intervista al fadista Armando Santos, riportata in Costa – Guerreiro, 1984: 98-113 (98-99).
(9) È il caso di Mascarenhas Barreto, non solo critico e scrittore ma anche autore di diversi “fados”, che afferma: «Oggi, il “fado”, avendo fatto una lucrativa scelta di politica turistica, si è commercializzato. È presente in ristoranti denominati “tipici”, con un addobbo variopinto di galli di Barcelos, mantelli dell’Alentejo, berretti di contadini del Ribatejo, fotografie di attori e toreri in voga. In alcune di queste “Casas de fado” si esegue anche del folclore cantato e danzato, per il gradimento degli stranieri, ma occorre distinguere dove inizia e dove termina il “fado”!» [Barreto, s. d. (1970): 184].
(10) Sui vari tipi di “fado”, alcuni sorti in epoca moderna, e sul come la cultura fadista in genere è vissuta nei quartieri tipici di Lisbona, risultano molto interessanti le interviste realizzate da Firmino da Costa e da Guerreiro ad alcuni abitanti nonché «figure del “fado”» dell’Alfama. Si veda, in particolare, quella rilasciata dal chitarrista Manuel Coelho [Costa – Guerreiro, 1984: 97-166 (158-166).
(11) All’epoca in cui Amália cantò per la prima volta Camões (1967) ci furono perplessità e finanche giudizi negativi da parte di alcuni “puristi” certi dell’illiceità di “fadizzare” il poeta per eccellenza della lusitanità [Osório, 1974: 86-87].
(12) Per ulteriori e approfondite notizie, fino al 1987, su Amália Rodrigues, donna e artista, si veda Santos, 1987.
(13) Per rendersene conto è sufficiente ascoltare o scorrere i testi, nuovi o ripresi dal repertorio tradizionale, di Dulce Pontes, Mísia, Ana Moura, Mariza, Camané, Madredeus – solo per citare gli artisti che vanno per la maggiore, anche fuori dal Portogallo.
Bibliografia di riferimento
– Afonso, José, 19882. «Textos e Canções». Assírio & Alvim, Lisboa.
– Barreto, Mascarenhas, s. d. (1970). «Fado. Origens líricas e motivação poética», Aster, Lisboa.
– Brito, Joaquim Pais de, 1983. «O fado: um canto na cidade». In «Ethnologia», ano I, n. 1: 149-184.
– Correia, Mário, 1987. «Adriano Correia de Oliveira». Centelha, Coimbra.
– Costa, António Firmino da – Guerreiro, Maria das Dores, 1984. «O trágico e o contraste, o Fado no bairro de Alfama», Publicações Dom Quixote, Lisboa.
– Dias, Carlos Amaral et al., 1999. «Amália (1920-1999)». In «JL. Jornal de letras, artes e ideias», ano XIX, n. 758: pp. 10-20.
– Ferreira-Rosa, João, 1974. «Fado. É no povo que vive esta canção». Gratelo, Amadora.
– Garcia, José Manuel, 19842. «História de Portugal, uma visão global.» Editorial Presença, Lisboa.
– Guimarães, Pinto, 1938. «Fado, canção vencedora». Edição do Autor, Lisboa.
– Moita, Luís, 1936. «O fado. Canção de vencidos». Empresa do Anuário Comercial, Lisboa.
– Osório, António, 1974. «A mitologia fadista», Livros Horizonte, Lisboa.
– Santos, Vítor Pavão dos, 1987. «Amália (uma biografia)». Contexto, Lisboa.
– Sousa, Avelino de, 1912. «O fado e os seus censores». Edição «A Voz do Operário», Lisboa.
– Sucena, Eduardo, 1992. «Lisboa, o fado e os fadistas». Vega, Lisboa.
[La prima versione di questo lungo articolo o breve saggio è stata pubblicata oltre vent’anni fa negli «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia. Università degli Studi di Perugia». 3, Studi linguistico-letterari, vol. XXXVI, n. s. XXII, 1998/1999, pp. 93-121].