È risaputo come le canzoni popolari rappresentino un fenomeno più o meno diffuso in tutto il mondo, finendo per configurare quelli che sono gli usi, i costumi, le tradizioni, in una parola, la cultura di un determinato Paese.
Probabilmente è in parte vero che la necessità di esprimere cantando, con l’accompagnamento o meno di strumenti musicali, la propria allegria o la propria tristezza «è una questione di latitudine, una questione di sole. Più a sud ci si spinge, più si ode cantare» [Carvalho, 1984: 21]. Quanto all’Europa, si pensi alla Francia, alla Grecia, all’Italia e, soprattutto, alla Penisola Iberica, dove è presente – per ragioni caratteriali e storico-culturali – una vasta varietà di canzoni e danze popolari, quali il “flamenco” spagnolo (più specificatamente andaluso) e il “fado” portoghese (più specificatamente lisbonese e coimbrano).
Per quanto concerne propriamente il “fado”, può essere definito un canto evocatore che esprime situazioni e umori particolari, personaggi caratteristici, amori più o meno tipici di un ambiente o una classe sociale. La sua trasmissione spontanea, quasi sempre orale, lo ha preservato da influssi stranieri marcati e dalle mode più spinte. In altri termini, la sua evoluzione nel tempo è a se stante, avendo accompagnato in minima parte gli altri fenomeni culturali del Portogallo. Ciò riguarda soprattutto il “fado” non stereotipato, quello cosiddetto amatoriale, a volte improvvisato, e non legato ad ambienti discografici e teatrali. Un tipo di “fado” che purtroppo oggi rischia di scomparire a causa del ricambio generazionale e del sempre pressante intervento dei media dominanti.
Per definizione, cultura vuole dire arricchimento spirituale oltre che intellettuale. Questo spiega il perché “tradizione” e “cultura” formano un connubio, atto a esercitare una funzione educativa in termini di acquisizione e preservazione insieme del patrimonio culturale nazionale. È chiaro, ovviamente, come la tradizione di per sé tenda a essere veicolata dalla cultura, che è poi più che altro quella popolare. Nel caso specifico del “fado”, è un tipo di cultura popolare urbana, in origine solo di Lisbona, più specificamente di alcuni suoi quartieri.
Questo fenomeno canoro e musicale insieme sconfina tuttavia – ed è qui, forse, che risiede la sua peculiarità rispetto ad altri fenomeni similari nel mondo – dal campo della cultura di origine, chiamando in causa anche la cultura cosiddetta ufficiale o colta.
Le maggiori figure letterarie portoghesi d’ogni tempo hanno spesso imperniato la loro opera su una sorte di fatalismo (sentimento, peraltro, connaturato nella maggioranza dei portoghesi), collegato alle vicende storiche del Paese, rimarcando l’impotenza dell’uomo, pur nella sua grandezza, di fronte a quella maggiore della Natura, di Dio, in ultima analisi del Fato. Poeti portoghesi di levatura internazionale – su tutti, Luís de Camões e Fernando Pessoa – ci hanno lasciato, nei loro versi, impressioni e sensazioni d’intensa profondità riguardo al Fato, evento limitante eppure non sempre negativo, dando contemporaneamente risalto al dubbio perenne che assilla da sempre l’umanità, combattuta tra supina rassegnazione e sfida aperta al Destino – che è poi questo, in sintesi, il significato del “fado” nella tradizione storico-culturale portoghese.
In un “medaglione” dal titolo «O “fado” e a alma portuguesa» (1929) Fernando Pessoa scrive:
«Tutta la poesia – e la canzone è una poesia assistita – riflette quel che l’anima non ha. Per questo la canzone dei popoli tristi è allegra e la canzone dei popoli allegri è triste.
«Il “fado”, però, non è né allegro né triste. È un episodio da intervallo. Lo ha creato l’anima portoghese quando non esisteva e desiderava tutto senza avere la forza per desiderarlo.
«Le anime forti attribuiscono tutto al Destino; solo i deboli confidano nella volontà propria, poiché essa non esiste […]» [Cit. in Serrão, 1979: 246].
Le origini
Le origini del “fado”, data l’assoluta mancanza di documenti che le comprovino, sono assai sfumate. Si suole datare la sua apparizione tra gli anni venti e trenta del XIX secolo. Da allora e per qualche decennio sarebbe rimasto un fatto isolato, tipico di Lisbona e dei suoi quartieri popolari. Il suo attuale status di «canzone nazionale» si deve a una serie di fattori di diffusione che gli hanno permesso, con il tempo, d’imporsi praticamente in tutte le aree sociali e geografiche del Portogallo.
Secondo alcuni, è il caso del musicologo portoghese Gonçalo Sampaio, il “fado” avrebbe origini millenarie, quasi mitiche, risalenti al mondo druidico (1) e ai canti eseguiti durante antichissime feste pagane dedicate al Sole [Osório, 1974: 18-19]. Altri affermano che nella sua genesi un ruolo importante lo hanno avuto tanto la cultura araba (2) quanto i cantares provenzali (3). Altri ancora lo intendono come prodotto della “saudade” del marinaio imbarcato sulle caravelle che solcarono gli oceani a partire dalla fine del XV secolo [Costa, 1962: 136].
Al di là di queste come di altre ipotesi, oggi è oramai quasi unanimemente condivisa dalla critica l’esistenza di uno stretto legame tra il “fado” e alcune espressioni ritmico-musicali afro-brasiliane.
Nel Portogallo della prima metà del XIX secolo i balli più in voga erano il passapiede, la quadriglia e il valzer. Accanto a questi, ed esclusivamente in ambienti popolari, ne esistevano tuttavia degli altri, alcuni di sapore esotico. È il caso del “lundum” o “lundú”, una danza molto ritmica e sensuale, accompagnata anche dal canto, originariamente propria degli schiavi africani, che la esportarono in Brasile. Lì si sarebbe con il tempo modificata, per poi sbarcare a Lisbona durante i primi dell’Ottocento, presto diffondendosi nei quartieri portuali della città [Carvalho, 1984: 25-26].
Nella capitale portoghese erano già approdate, in epoca di poco anteriore, altre espressioni ritmiche e musicali afro-brasiliane, alla cui importazione e divulgazione sembra non essere stato estraneo Domingos Caldas Barbosa, detto «Lereno», un poeta mulatto di origine brasiliana, molto noto nella Lisbona di fine Settecento come cantante di un genere musicale, allora in voga, la “modinha” [Moita, 1936: 32-33]. Era, questa, una melodia estremamente triste e sentimentale, anch’essa proveniente dal Brasile e atta a influenzare, con i suoi testi amorosi, la sensibilità dell’animo femminile.
È assai probabile che tanto il “lundum” quanto la “modinha” siano stati alla base della futura nascita del “fado” – quello brasiliano prima, con le sue tre modalità di “batido”, “dançado” e “cantado”, e quello portoghese poi [Idem: 57]. Difatti, le prime notizie, risalenti sempre ai primi dell’Ottocento, localizzano tale espressione musicale in Brasile, trattandosi di una danza e un canto accompagnati dal suono della chitarra. Per quanto concerne il Portogallo, e più precisamente Lisbona, è solo dopo il 1830 che sarebbe comparso il termine “fado”, insieme a quelli di “fadista” e ”mulheres de fado”.
Queste come altre informazioni frammentarie non ci consentono tuttavia di tracciare un omogeneo quadro d’insieme sul “fado”. Unico punto di riferimento certo è Maria Severa Honofriana, la cantante-prostituta, il mito, la figura più importante dell’ambiente fadista epocale [Sucena, 1992: 19-36], la cui morte prematura, a soli ventisei anni, occorsa nel 1846, combinata con altri dati, ci consente per l’appunto di stabilire, e anteriormente a questa data, l’esistenza a Lisbona di una danza e un canto, accompagnati alla “guitarra” (4), già in forma caratterizzata [Brito, 1983: 151].
Prima del XIX secolo sia i testi sia i dizionari portoghesi riportavano del termine “fado” solo il significato tradizionale e latino, quello di «fato», «destino». L’accezione del termine quale rappresentazione di un tipo di canzone a se stante e, di conseguenza, di un genere musicale nuovo sarebbe apparsa nel corso della seconda metà del XIX secolo. Il primo dizionario che riporta tale accezione è del 1878:
«”Fado”, poema del volgo, di carattere narrativo, in cui si narra una storia reale o immaginaria dall’epilogo triste, o si descrivono i mali, la vita di una determinata classe […]. Musica popolare, con un ritmo e un movimento particolari, che si suona solitamente con la “guitarra” ed i cui testi sono le poesie denominate “fados”» [Sucena, 1992: 12].
Le fasi evolutive
Durante la sua evoluzione il “fado” si è andato presentando sotto molteplici aspetti, e più d’uno sono stati i suoi moduli narrativi. Tutto questo ha comportato implicazioni morali più o meno velate e, di conseguenza, notevoli ripercussioni nel sociale. Talmente notevoli da suscitare apprezzamento pressoché unanime e da creare una tradizione che avrebbe finito per trasformarsi, oltreché in un prodotto di consumo turistico, anche in un prodotto culturale d’esportazione. Vediamo le tappe fondamentali di tale evoluzione.
Pinto de Carvalho, autore della prima monografia sul “fado”, scomparso agli inizi del secolo scorso, parla di due fasi evolutive completamente distinte: quella «popolare spontanea» che generò un tipo di “fado” plebeo, prodottosi naturalmente e consolidatosi in luoghi pittoreschi e malfamati insieme; quella «aristocratica e letteraria», in cui il “fado” passò a essere cantato e suonato in ambienti frequentati dall’alta società e da persone colte. Lo studioso portoghese fissa il passaggio dalla prima alla seconda fase alla fine degli anni sessanta del XIX secolo, epoca in cui, tra l’altro, la “guitarra”, strumento originariamente popolare, faceva la sua apparizione nei saloni di Lisbona, e il piano, strumento originariamente aristocratico, era suonato anche nei caffè di quartiere. La seconda fase sarebbe scaturita, in sostanza, dalla scoperta che gli aristocratici, all’epoca frequentatori abituali di bettole e postriboli, fecero del “fado”. Tale aristocratizzazione risultò per il “fado” molto costruttiva, in termini sia quantitativi che qualitativi. La seconda fase terminò attorno al 1880 [Carvalho, 1984: 93].
Possiamo affermare che alle due fasi di cui parlava Pinto de Carvalho se ne sarebbero aggiunte una terza e una quarta.
La terza fase si caratterizzò per la diversificazione sociale sia dei suonatori e dei cantanti sia dei luoghi di esecuzione. Il “fado” si trasferì in teatro, di rivista e lirico, e apparvero le prime partiture musicali e le prime incisioni discografiche. A un tempo, in ambiente popolare, ci fu la nascita delle cosiddette “cegadas” (rappresentazioni teatrali di strada nel corso del carnevale, scenograficamente povere), durante le quali erano pure eseguiti dei “fados”. Tale fase, conclusasi alla fine degli anni venti del XX secolo, si sviluppò durante un periodo di profonda crisi politica ed economica del Portogallo, in cui occorsero l’«Ultimatum» del 1890, imposto dall’Inghilterra, e la caduta della monarchia (1910). Il che in parte comportò l’ideologizzazione del “fado” con testi attenti alle problematiche sociali [Brito, 1983: 155-158].
Intorno agli anni trenta ebbe inizio l’ultima fase, quella a noi storicamente più vicina e, in sostanza, ancora in atto. In essa, periodi di stasi si sono alternati a sorprendenti riprese, in un momento non facile, travagliato, a causa dei rapporti contrastanti che il “fado” ha avuto, di volta in volta, con la censura, la classe politica dominante, i mezzi di comunicazione di massa, alcuni detrattori e un pubblico non sempre interessato come in passato. È il periodo della professionalità e della folclorizzazione. Sorgono le prime “casas de fado” ed i primi ristoranti tipici, che insieme a cibi e bevande offrono ai propri clienti anche l’ascolto della «triste canzone», eseguita da artisti di professione, con cachet prestabiliti da contratto [Idem: 158-161]. Si va assistendo a una specie di snaturamento del “fado”, come sempre accade quando si folclorizza una tradizione, a seguito del suo allontanarsi dagli ambienti primigeni e della sua conseguente universalizzazione. Il dilettantismo lascia il posto alla commercializzazione e allo sfruttamento turistico. Cosicché, se da un lato, la tipizzazione secondo modelli prestabiliti (“casas de fado”, ristoranti tipici, case discografiche) va a scapito dell’originaria genuinità del prodotto musicale, dall’altro, tutto ciò consente l’emergere dei/delle “fadistas” migliori, meglio dotati vocalmente.
La tematica
Il “fado” oltre che da un tipo particolare di musica e canto è caratterizzato da temi specifici. I principali sono l’«amore», il «mare», la «saudade» e la «tourada».
L’amore occupa una posizione preponderante nella tematica fadista, visto che il “fado” nasce proprio come canzone d’amore. È un amore prevalentemente eterosessuale che, ricambiato o non, esterna e ingenera, secondo i casi, sentimenti di passione, tenerezza oppure di rimpianto, amarezza, gelosia. La rappresentazione più ricorrente nei testi fadisti di questo tipo d’amore è quella in cui il sentimento è contrastato o vanificato dalla lontananza o separazione degli amanti, traducendosi spesso in malinconia e solitudine, in “saudade”, sentimenti sovente descritti ricorrendo a espressioni struggenti e a una specifica terminologia lirica:
«Ao abandono / sem ti, sem nada, / como as folhas no Outono / caindo à beira da estrada / na minha vida / ando sem norte. / Sem ti, sinto-me perdida, / meu amor, até à morte» [Cit. in Barreto, 1959: 48].
(«Abbandonata / senza di te, senza nulla, / come le foglie in autunno / che cadono sul ciglio della strada / nella mia vita vado priva di bussola. / Senza di te, mi sento persa, / amore mio, fino alla morte.»).
Oltre a questo tipo d’amore eterosessuale vi è anche quello materno-filiale, inteso come un legame puro, capace, grazie a principi morali o a precetti religiosi cui spesso si richiama e alle emozioni che trasmette, di polarizzare l’attenzione degli ascoltatori. A volte la figura materna è sacralizzata, quando identificata con la Madonna, fondendosi in un unico elemento spirituale costituito dalla santità di entrambe:
«Eu vi minha mãe rezando / aos pés da Virgem Maria. / Era uma santa escutando / o que outra santa dizia» [Cit. in Idem: 45].
(«Io vidi mia madre che pregava / ai piedi della Vergine Maria. / Era una santa che ascoltava / quel che l’altra santa diceva.»);
o idealizzata, quando forma un connubio con il sentimento patriottico, assurgendo la terra natia al ruolo di genitrice:
«Ó minha mãe verdadeira, / Pátria! Mãe da minha mãe: / doce tristeza solheira, / alto botão de roseira / das pátrias que o Mundo tem!» [Cit. in Barreto, s. d. (1970): 384].
(«O madre mia vera, / Patria! / Madre di mia madre: / dolce tristezza luminosa, / alto bocciolo di rosa / delle patrie del Mondo intero!»).
In generale, l’amore descritto nei testi fadisti non è mai realizzato appieno o inteso come sentimento appagante. Poiché il “fado” non è una semplice canzonetta di puro svago, ma espressione di stati d’animo particolari che costringono l’ascoltatore attento a riflettere e a trarre insegnamento dalle situazioni e dagli argomenti narrati.
Il Portogallo – è risaputo – trae storicamente sostentamento dal mare; glielo impongono le sue condizioni geografiche, lo vuole la sua storia, passata e presente. Uno dei primi tipi di “fado”, se non il primo, di cui si ha memoria è quello detto del “marujo” o del “marinheiro” [Pimentel, 1904: 269; Moita, 1936: 290-291], il cui tema principale è per l’appunto il mare, meglio ancora l’oceano, soggetto/oggetto di innumerevoli avventure reali o immaginarie. In genere, nei testi fadisti il mare è inteso come “realtà” che genera illusione e speranza e, al contempo, a esse si contrappone. Rievocazioni di navigatori, grandi viaggi, imprese epiche affollano i testi fadisti, a seguito della consapevolezza, da parte di una nazione e un popolo, di avere un passato glorioso da difendere e tramandare alla posterità. Dimostrazione di ciò la si rintraccia, non solo nei tanti testi popolari e anonimi, ma anche in opere di molti poeti, alcuni di fama [Barreto, s. d. (1970): 326-377].
In epoca moderna, ridimensionati i sogni di gloria, il Portogallo continua a servirsi dell’elemento marino e a dipenderne – spesso in un rapporto d’amore/odio – dal punto di vista alimentare e commerciale. Cosicché i testi fadisti annoverano oggi altri protagonisti. Non più gli eroi (quali Enrico il Navigatore, Vasco da Gama, Pedro Álvares Cabral), ma i pescatori impegnati tutti i giorni, per motivi di sussistenza, a confrontarsi con l’oceano, elemento che nell’immaginario collettivo e popolare si configura come un Universo autonomo, un Destino dispensatore tanto di gioie quanto di sforzi e dolori, e che non concede possibilità di fuga dalla realtà, bensì una vita fatta di ritmi serrati e segnata da eventi semplici ed essenziali, che spesso si concludono tragicamente. Si spiega così il perché nel “fado” aleggi il sentore della sventura incombente, dell’evento tragico, indipendentemente dal suo verificarsi:
«Quando partiste, fugiu / o meu sonho derradeiro. / Volta depressa navio / perdido no nevoeiro. // Tu que conheces o mar / e o furor da tempestade, / podes talvez naufragar / nas ondas desta saudade.» [Cit. in Barreto, 1959: 7].
(«Quando partisti, fuggì / il mio ultimo sogno. / Torna in fretta nave / persa tra la nebbia. // Tu che conosci il mare / e il furore della tempesta, / puoi forse naufragare / tra le onde di questa malinconia.»).
Il termine “saudade” è di difficile comprensione per noi italiani. Racchiude in sé una vasta gamma di sensazioni generate dall’essenza interiore dell’individuo. Quando affermiamo che la “saudade” è «il dolore dell’assenza» siamo di certo nel giusto. È anche vero, tuttavia, come una tale accezione sia riduttiva o, quantomeno, non renda bene e del tutto quel che, ad esempio, un portoghese o un brasiliano presuppone nell’impiegare tale termine. Di solito, ogni parlante portoghese, a qualsiasi ceto sociale appartenga, ne fa un uso corrente, consapevole dell’unicità del termine, della varietà di sentimenti che rappresenta, nonché delle numerose interpretazioni che di esso possono aversi o prodursi, secondo i casi, le circostanze, i contesti in cui viene impiegato. Volendo sintetizzare e parafrasare le parole di Mascarenhas Barreto, si può affermare che la “saudade” esprime un sentimento di angoscia e felicità a un tempo, fa da ponte tra il ricordo del passato e il presente, tra l’amore per persone o cose lontane, in senso spaziale o temporale, e la speranza di un loro ritorno, tra un amore perduto e l’illusione sognata [Idem: 22]. In italiano, si è soliti tradurre “saudade” con «rimpianto», «tristezza», «consolazione», «malinconia», «nostalgia» – termini che, a ben vedere, non sono nemmeno sinonimi tra loro, ma che quello di “saudade”, proprio per la sua unicità, li sintetizza tutti. Tale sua unicità, per così dire, eterogenea in altre culture, quale l’italiana, ma omogenea in quella portoghese, giustifica e spiega il perché il termine è costantemente presente nei testi fadisti.
Uomo, cavallo e toro sono una triade indissolubile per uno degli spettacoli più sentiti e amati in Portogallo, la “tourada” o “corrida” in castigliano. Questa “arte”, di origine lontanissima, quasi preistorica, è nota e documentata fin dall’antichità classica (si pensi alla sua attuazione nei circhi dell’antica Roma). Con il trascorrere dei secoli si è andata evolvendo e codificando secondo schemi precisi, regole, forme e figure stabilite; tanto da far sì che si possa paragonare le fasi ed i movimenti del “toureiro”, a piedi o a cavallo (in quest’ultimo caso è detto “cavaleiro”), a quelli di un artista della danza [Costa, 1962: 167]. In Portogallo, rispetto alla Spagna (dove oggi la corrida è praticata con varianti e procedimenti più cruenti), la preferenza va alla corrida “a cavallo” – pur se non è trascurata quella “a piedi”. Probabilmente perché, in epoca passata, era anche un’arte aristocratica, praticata da molti nobili cavalieri che la intendevano come una manifestazione di coraggio e preparazione a scopi guerrieri.
Nel corso del Settecento accadde un fatto luttuoso che sconvolse l’ambiente tauromachico portoghese. Un nobile cavaliere, figlio del celebre marchese di Marialva – all’epoca, il maggior promotore dell’insegnamento equestre in Portogallo – fu sventrato e ucciso dal toro alla presenza, oltre che di un foltissimo pubblico, anche del sovrano [Barreto, s. d. (1970): 154-156]. L’episodio suscitò discussioni e critiche nei confronti della “tourada”, le cui modalità e regole sarebbero state modificate, tempo dopo, in quelle tuttora vigenti: divieto assoluto di uccidere il toro, le cui corna, per far sì che nuocciano il meno possibile all’uomo, sono segate e ricoperte – con la conseguente apparizione nell’arena dei “forcados”, toreri amatori il cui compito è quello di “pegar” il toro, ossia, afferrarlo a mani nude per le corna e soggiogarlo. Orbene, l’esistenza del “fado” – quantomeno in origine – è strettamente e intimamente connessa alla tauromachia: toreri, nobili cavalieri e “forcados” divengono, oltre che gli attori delle “praças de touros”, anche soggetti e temi di molti “fados” che esaltano l’audacia delle loro imprese [Idem: 150-169].
Sono dunque questi – l’amore, il mare, la “saudade” e la “tourada” – i principali temi che, unitamente ad altri e a una complessa simbologia ritualizzata, connotano il “fado” quale espressione a se stante e originale rispetto alle altre manifestazioni folcloristico-culturali e canore del Portogallo. L’elemento che li accomuna è, fin dalle origini della «triste canzone», quello della presenza femminile. È la donna il punto focale, il centro di gravità attorno al quale ruotano sentimenti, situazioni, personaggi, ambienti. Sono pertanto numerosi, quando non proprio preminenti, quei “fados” che hanno per protagonista la figura femminile o che da essa prendono spunto. Tra questi, i “fados onomásticos”, ossia, intitolati o dedicati a una determinata donna, più spesso reale, ma anche immaginaria. Molto diffusi quelli cosiddetti “da Severa”, “da Cesária”, “da Custódia”, solo per citare alcune delle “fadistas” più note del passato. Esiste, tuttavia, una differenza non irrilevante tra i “fados” più antichi e quelli attuali. Il “fado da Severa”, ad esempio, databile attorno alla fine della prima metà dell’Ottocento e sicuramente postumo, è costruito su toni celebrativi delle gesta e degli amori di quella fadista-prostituta. Al contrario, il “fado da Amália”, intitolato e dedicato alla celeberrima Amália Rodrigues (1920-1999), non ha finalità apologetiche; si presenta altresì come canzone che le rende omaggio, ed è tanto più personale ed esclusivo in quanto costruito appositamente sulle capacità vocali dell’artista stessa.
Da quanto finora detto si evince come i contenuti dei testi fadisti siano molto eterogenei, trattando più che altro della vita quotidiana, e quindi delle sofferenze umane, di amori infelici, sciagure, ma anche di argomenti non funesti, quali le feste di quartiere, la natura, episodi religiosi mediati dalle Sacre Scritture, argomenti d’impegno sociale.
(Continua)
Note
(1) Tra l’VIII e il VI secolo a. C. ci fu l’invasione della Penisola Iberica da parte di popolazioni celtiche, con la cosiddetta celtizzazione di tutto il nord-ovest peninsulare, Portogallo settentrionale incluso.
(2) «Il trillare strascicato del motivo monodico dei “fados” dei nostri giorni ha qualcosa che ci ricorda le melopee arabe» [Barreto, s. d. (1970): 42].
(3) In particolare il “plang”, canzone lamentosa ed elegiaca, da cui discendono sia la “cantiga de amigo” (cantata da una donna, così come avviene il più delle volte con il “fado” di Lisbona) sia la “cantiga de amor” (cantata da un uomo, come nel caso del “fado” di Coimbra [Idem: 9-10].
(4) Strumento che non corrisponde alla nostra chitarra – in portoghese “viola” – ma è una specie di mandolino dalla cassa armonica larga e dal fondo piatto, con dodici corde.
Bibliografia di riferimento
– Barreto, Mascarenhas, 1959. «Fado. A canção portuguesa». Gráfica Boa Nova, Lisboa.
– Barreto, Mascarenhas, s. d. (1970). «Fado. Origens líricas e motivação poética», Aster, Lisboa.
– Brito, Joaquim Pais de, 1983. «O fado: um canto na cidade». In «Ethnologia», ano I, n. 1: 149-184.
– Carvalho, Pinto de (Tinop), 1984. «História do Fado». Publicações Dom Quixote, Lisboa.
– Costa, Mário, 1962. «Danças e dançarinos em Lisboa». Câmara Municipal de Lisboa, Lisboa.
– Moita, Luís, 1936. «O fado. Canção de vencidos». Empresa do Anuário Comercial, Lisboa.
– Osório, António, 1974. «A mitologia fadista», Livros Horizonte, Lisboa.
– Pimentel, Alberto, 1904. «A triste canção do Sul (subsídios para a história do fado)». Livraria Central, Lisboa.
– Serrão, Joel (introdução e organização), 1979. «Fernando Pessoa. Sobre Portugal, introdução ao problema nacional». Ática, Lisboa.
– Sucena, Eduardo, 1992. «Lisboa, o fado e os fadistas». Vega, Lisboa.
[La prima versione di questo lungo articolo o breve saggio è stata pubblicata oltre vent’anni fa negli «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia. Università degli Studi di Perugia». 3, Studi linguistico-letterari, vol. XXXVI, n. s. XXII, 1998/1999, pp. 93-121].