L’apparizione del “fado” non sembra essere conseguenza di un determinato momento storico-politico nazionale (alcuni studiosi la fanno coincidere con la fine della guerra civile portoghese, 1832-1834), anche perché, dopo attenta analisi, si coglie l’assoluta mancanza di una sua connotazione ideologica specifica.
Come già ricordato, la «triste canzone» nasce nei vecchi rioni cittadini di Lisbona (Alfama, Madragôa, Mouraria, Bairro Alto, ecc.), vere e proprie zone confinate, se non proprio ghettizzate, dove la facevano da padrone la prostituzione e la malavita. Quindi, in luoghi abitati dalle classi più disagiate, tra i miserabili ed i rifiuti della società, tra gente abituata a vivere di espedienti. È il cosiddetto popolino – un termine cui spesso e ingiustamente si dà una connotazione negativa – il protagonista anonimo e l’elemento principe della nascita del “fado”, ovvero, quel soggetto/oggetto che, più di altri, costituisce e subisce a un tempo la Storia.
Il “fado”, di conseguenza, emerse come espressione di un ambiente ben definito e di un gruppo socialmente emarginato che abitava quartieri delimitati, tipici di una capitale (le zone portuali di Lisbona) e nel corso di una fase economica critica determinata dalla rivoluzione industriale che nell’Ottocento raggiunse l’apogeo. Prosperò e si diffuse nelle gremite e fumose rivendite di alcolici, le cosiddette “tabernas” o “tascas”, e nei lupanari. Il suo auditorio, inizialmente alquanto circoscritto, si sarebbe espanso, pur se non in maniera rapida, finendo per coinvolgere l’intero Paese, in esso radicandosi e diventandone elemento peculiare.
Tutti questi dati consentono di stabilire dei raffronti con manifestazioni consimili dentro e fuori Europa – espressioni diversificate di un fenomeno urbano, frutto ovunque di profondi cambiamenti a livello socio-politico ed economico. Da tali raffronti emergono sorprendenti analogie. Nello stesso periodo della comparsa del “fado” a Lisbona, ossia, attorno alla metà dell’Ottocento, si manifestano nelle periferie e nei quartieri poveri di grandi città portuali dei fenomeni musicali analoghi. È il caso, ad esempio, del tango a Buenos Aires e a Montevideo, del rebetiko ad Atene: tutte città portuali caratterizzate anch’esse, così come la Lisbona epocale, da un’industria nascente, dal conseguente urbanesimo e da un alto tasso di disoccupazione [Brito, 1983: 170-171].
La popolazione di questi luoghi emarginati, impossibilitata ad amalgamarsi con altri gruppi sociali, creò o sviluppò modelli culturali propri. In tutti i canti popolari – siano essi portoghesi o greci, argentini o uruguaiani, ecc. – ricorrono più o meno gli stessi temi: amore, morte, contrasti di classe, topografia rionale. Similitudini si riscontrano egualmente a livello d’evoluzione: non solo comparsa di tali espressioni canore e musicali in ambienti emarginati, come anche la loro scoperta e accettazione da parte dei ceti sociali più elevati – si pensi, ad esempio, al tango argentino che, a partire dall’inizio del Novecento, fa la sua comparsa nei salotti raffinati delle maggiori capitali europee, Parigi in particolare, con la sua Belle Epoque (5).
La radio e le incisioni discografiche favorirono l’apprendimento mnemonico di questi nuovi generi musicali tra il pubblico e, in un secondo tempo, la loro appropriazione a livello culturale. Tango, rebetiko e “fado” avrebbero completato il loro excursus diventando sia oggetti di sfruttamento turistico, in quelle stesse capitali che li avevano generati, sia le canzoni nazionali dei rispettivi Paesi.
Da tutto ciò ben si evince che il “fado” non è da intendersi, pur nella sua unicità, come un semplice fenomeno isolato, bensì il prodotto di un’epoca, frutto di elementi interagenti (contingenze storiche, economiche, culturali, sociali), di portata internazionale.
Il termine “fadista”
Negli antichi quartieri della Lisbona d’inizio Ottocento si designavano indifferentemente con il termine “fadista” tutte le persone, uomini e donne, dedite a ogni tipo di reato e bassezza: prostituzione, sfruttamento, furto, omicidio, ecc. Poiché il loro “fado”, il loro destino, era in qualche modo già segnato e tale da poter condizionare, più spesso negativamente, quello altrui. Cosicché, come il “fado”, anche il “fadista” primigenio fu il prodotto di una combinazione di elementi socio-economici e di cambiamenti urbanistici verificatisi nella Lisbona della prima metà del XIX secolo.
Questo personaggio, elemento tipicamente urbano e lisbonese, insieme ad altri del suo stesso ambiente, creò una specifica comunità, quando non proprio una classe sociale, con un suo spirito di corpo, le sue regole e, non ultima, con una cultura propria, quella appunto del “fado” e che possiede un suo gergo.
Tale gergo (“calão” in portoghese) avrebbe alterato suoni, termini e costrutti grammaticali, dando così vita a forme espressive nuove, in qualche modo fantasiose e originali, comprese solo dagli iniziati e dagli habitué di locali particolari – taverne, case di prostituzione, ecc. Era, in sostanza, un idioma caratteristico e pittoresco che persone di una stessa comunità o ambiente usavano per distinguersi e non farsi capire da eventuali estranei.
Vediamo alcune di queste espressioni idiomatiche: la bottiglia nera scura di vino servita nelle taverne era la “viuva” («vedova»), i bicchieri erano i “filhos” («figli») “da viuva” – cosicché, “uma viuva e dois filhos” equivaleva a «una bottiglia con due bicchieri»; il caffelatte era il “mulato” («mulatto»); il sigaro, il “soldado de calça branca” («soldato con pantaloni bianchi»); il coltello, la “sardinha” («sardina»); il denaro che il ruffiano riceveva dall’amante-prostituta era la “queijada” («dolce di formaggio»); le banconote erano i “filhotes” («figlioli»); Dio era lo “Juiz” («Giudice») “do Bairro Alto” – famoso quartiere lisbonese, dove, ancora oggi, è concentrato il maggior numero di taverne e locali tipici della città [Pimentel, 1904: 90].
Questa terminologia propria, unita a un variopinto contesto di personaggi, ambienti, abitudini, suoni, avrebbe propiziato la formazione di una mitologia del “fado”, generata dalla fantasia popolare, derivante, a sua volta, dall’apologia di una serie di figure più o meno leggendarie: eroi ed eroine (in negativo solo per le altri classi sociali) furono trasfigurati ed esaltati, non di rado emulati, quali glorie nazionali, in virtù delle loro avventure e vicissitudini varie, reali o fantasiose, che molta presa avevano tra il pubblico, in particolare tra la gente comune. Si andarono così creando le premesse di una letteratura celebrativa delle gesta di quel o quella “fadista” e che, in qualche modo, avrebbe influenzato, in un secondo tempo, anche le arti figurative, teatrali e cinematografiche.
Naturalmente, il termine “fadista” in breve passò a indicare non solo il malvivente, la prostituta, il ruffiano ma anche il suonatore, il ballerino/la ballerina e il/la cantante di “fado”. Con il tempo tale termine si sarebbe ulteriormente evoluto, finendo per perdere la primigenia connotazione negativa e per indicare solo colui o colei che canta il “fado”.
Si sa come nell’Ottocento, e non solo in Portogallo, fossero gli uomini i principali protagonisti delle avventure notturne. Nei bassifondi di Lisbona, tuttavia, sarebbero state progressivamente le donne ad assumere un’importanza particolare, diventando il vero punto di forza della «triste canzone». Non a caso, nella capitale portoghese – diversamente da quel che accade a Coimbra, come vedremo – questo tipo di canzone si presta meglio a essere interpretato da una donna, a seguito delle caratteristiche proprie dei “fados” lisbonesi, connotati di commozione, struggimento e disperazione tali da addirsi di più alla sensibilità femminile.
Tipologia
In quanto canzone popolare, il “fado” si caratterizza per l’estrema semplicità dei contenuti e della versificazione. Cosicché, fu il basso ceto che per primo lo recepì e apprezzò come prodotto qualitativamente valido, contribuendo alla sua trasmissione in senso sia spaziale sia cronologico. Una trasmissione che agli inizi fu di tipo orale-spontaneo, priva di testimonianze scritte. Di certo a causa della presenza, nel Portogallo epocale, di un’alta percentuale di analfabetismo, maggiormente presente in quegli stessi bassifondi di Lisbona in cui il “fado” si era venuto formando.
Ben presto, intorno al 1860/70, il “fado” non sarebbe stato più appannaggio dei soli umili e analfabeti, andando incontro a quella seconda fase – in precedenza richiamata – che Pinto de Carvalho definì «aristocratica e letteraria» [Carvalho, 1984: 93]. Fu il suo periodo aureo, altrimenti detto «classico», che vide sorgere testi poeticamente migliori, dai metri più vari e caratterizzati da una maggiore fantasia creativa e argomenti nuovi. Si registrò, per merito dell’aristocrazia portoghese, un’elevazione di rango e una sublimazione della «triste canzone». Numerosi aristocratici (tra i quali il conte di Vimioso, amante della celebre e mitica Severa) furono l’anello di congiunzione che rese possibile la nascita di questo secondo momento storico del “fado”, favorendone la propagazione oltre i confini urbani di Lisbona.
Ripulito delle sue espressioni più volgari e plebee, il “fado” si trasformò in un prodotto raffinato e romantico presente nelle riunioni e nelle feste mondane, e non solo della capitale. Subì, pertanto, una vera e propria mutazione, intesa come cambiamento – più o meno profondo – di tematiche, strumentazione e ambienti. In pratica, ci fu un’elaborazione degna, per così dire, delle sale da concerto e dei teatri nazionali, con tutte le premesse per un suo futuro percorso artistico. Alle strofe semplici e immediate degli illetterati si affiancarono e integrarono quelle dei poeti, con la musica trascritta da compositori affermati e da professori d’orchestra.
Tale diversificazione, tuttavia, non condusse alla scomparsa della forma progenitrice. Il tutto si risolse in una separazione non traumatica tra il “fado” «popolare» e quello «aristocratico e letterario», dato che le espressioni primigenie permasero e convissero con quelle più nuove, a seguito dello stretto rapporto di derivazione e della presenza di elementi comuni. Eppure qualcosa sparì: il gruppo umano originario, ossia, la classe fadista, che attorno alla fine dell’Ottocento si trovò a essere indifferenziata dal resto della popolazione di quartiere.
Lo stesso Romanticismo, con la sua predilezione per i contrasti e le antitesi, favorì l’insorgere di questa seconda fase del “fado”, che avrebbe persino finito, durante un certo periodo e in ambienti alto borghesi e aristocratici, per cambiare nome, prendendo quello più altisonante e impegnativo di «Notturno». Coloro i quali erano educati alla musica lo ascoltavano quasi come un nuovo genere classico, oramai inserito anche in opere liriche e sinfoniche [Moita, 1936: 113-114].
Nel corso della seconda metà dell’Ottocento, grazie a questo intervento per così dire nobilitante, la «triste canzone» – come ricordato – uscì dai confini di Lisbona. Si diffuse anche al nord del Paese, con esiti positivi e sorprendenti insieme, soprattutto a Coimbra, dove si registrò l’influsso rilevante di una componente autoctona. Difatti, con il trascorrere degli anni, si andarono delineando due correnti musicali fadiste ben distinte, fino a culminare in una vera e propria frattura tra il “fado alfacinha” (ossia proprio di Lisbona) e quello di Coimbra (definito anche “serenada coimbrã”). Coimbra, prestigiosa e antichissima sede universitaria dalle secolari tradizioni canore goliardiche, elaborò ben presto un “fado” totalmente suo e adeguato agli aspetti di vita propri della regione.
A questo punto, conviene delineare le caratteristiche del “fado” primigenio, quello lisbonese, per poi in un secondo momento confrontarle con quelle del “fado” coimbrano, così da evidenziarne le differenze e le eventuali convergenze.
Secondo alcuni musicologi, il “fado” primigenio non sarebbe altro che una variazione della passacaglia o del passagallo – antica danza aulica (dal castigliano “pasacalle”, unione del verbo “pasar” e del sostantivo “calle”, poiché in origine eseguita per strada), con variazioni su basso ostinato, scritta in misura ternaria semplice. Per Ernesto Vieira, tra i maggiori musicologi portoghesi del XIX secolo, il modello primitivo del “fado” è
«un periodo di otto battute in 2/4, diviso in due membri eguali e simmetrici, ognuno con due figure; preferenza per il modo minore, anche se spesso passa a quello maggiore con melodia identica o altro accompagnamento eseguito in arpeggio in semicrome, formato unicamente da accordi della tonica e della dominante, alternati di due in due tempi» [Cit. in Sucena, 1992: 14].
Oltre ai “fados” per così dire semplici (formati da quartine o altri tipi di strofe cantabili con la stessa melodia, in versi ottonari o alessandrini), vi sono anche “fados” con ritornello e “fados” irregolari, non canonici, di cui eccellenti esempi si rintracciano nel teatro di rivista. In sostanza è questa la varietà ritmica caratterizzante il “fado alfacinha”, il cui moto melodico è solitamente lento e fatto di molte potenziali soluzioni realizzabili sul pentagramma (6).
La peculiarità, diciamo così, esteriore del “fado” di Lisbona, tanto quello di oggi quanto quello di un secolo fa, consiste nell’essere sempre cantato in spazi chiusi (il ristorante tipico o la taverna, la professionale “casa de fado” o il palcoscenico di un teatro), poiché se così non fosse verrebbe meno quel filing, fatto d’intimità e riservatezza, che s’instaura tra il/la cantante e il pubblico.
La scena che si presenta allo spettatore è solitamente questa: luci soffuse e il/la “fadista” che si posiziona tra il suonatore di “guitarra” e l’accompagnatore alla “viola” (in tempi più recenti si è venuto ad aggiungere un terzo strumento, la chitarra basso), ma in una posizione leggermente arretrata rispetto a loro. L’interprete (quando è una “fadista”, quasi sempre vestita di scuro e/o con uno scialle nero a ricoprirle le spalle) si concentra, schiarisce la voce e con un gesto impercettibile fa cenno ai musicisti di iniziare. Vi è una breve introduzione musicale, cui segue la voce, particolarissima, del/della “fadista”. Più che altro si tratta di un’emissione di voce quasi roca che si libera gradualmente, sviluppando situazioni sofferte e temi dolorosi, con una partecipazione reale e molto sentita – riscontrabile nei tratti del volto e nella gestualità, pacata ma molto particolare – da parte dell’interprete. I presenti sono tenuti al silenzio più assoluto. Vero atto di deferenza che sottolinea un totale rispetto e la massima attenzione. Non di rado, quando il “fado” – come quasi sempre accade – è provvisto di ritornello, al momento della sua esecuzione il pubblico accompagna il/la “fadista” (s’instaura, così, un rapporto ideale di unione e partecipazione tra esecutori e fruitori). Alla fine, l’interprete, appoggiando delicatamente le mani sulle spalle dei due musicisti, segnala quale è l’ultima strofa del brano e, conseguentemente, l’ultima battuta strumentale. Il pubblico applaude, spesso a lungo, rivolgendo frasi di apprezzamento nei confronti degli artisti.
Tutto questo costituisce una sorta di rituale simbolico che si richiama a situazioni e personaggi facenti parte della storia e delle tradizioni nazionali. Il solo scenario è già di per se stesso evocativo, nell’intento di riportare alla memoria miti e situazioni del passato più caro e sentito dai portoghesi. Tendine di cotone, scialli appesi, stampe di Lisbona, azulejos, statue di santi benedicenti, sono questi gli elementi decorativi e caratteristici dell’addobbo di ogni “casa de fado” che voglia dare di sé un’immagine antica e genuina. Cosicché, il più delle volte, tali ambienti finiscono tutti per somigliarsi, anche nell’atmosfera, di certo molto particolare, che in essi si vive e si respira.
Nel 1870 circa il “fado” giunse a Coimbra, adeguandosi, tuttavia, ai moduli interpretativi e alle tradizioni locali. S’impregnò di quella cultura e quell’atmosfera tipiche di una città universitaria. Fu proprio grazie alla fantasia degli studenti universitari che lì si andò sviluppando il cosiddetto “fado-serenada”, un modello canoro fresco, spontaneo, in grado di competere con il progenitore “fado alfacinha”.
Augusto Hilário da Costa Alves (1864-1896), studente di medicina, morto giovanissimo all’età di trentadue anni, rappresenta per Coimbra quello che Maria Severa Honofriana rappresenta per Lisbona. Amico del poeta João de Deus, ed egli stesso autore di versi, in particolare di quartine (la forma poetica tipica del “fado” coimbrano), Hilário fu in vita un personaggio amatissimo dal pubblico, divenendo dopo la morte un vero e proprio mito del “fado” [Idem: 147-151].
Il “fadista” tipo coimbrano, a differenza di quello lisbonese, è un soggetto maschile con un chiaro timbro vocale da tenore. Si esibisce anche lui di notte, ma prevalentemente in spazi aperti, magari accompagnandosi da solo alla “guitarra” o alla “viola”. Rispetto a quello di Lisbona il “fado” di Coimbra è meno espressivo e sociale. È un canto più evocativo e, in un certo qual modo, aristocratico. In sostanza, è un canto di speranza nel futuro e, soprattutto, di dichiarazione d’amore.
Quando si parla di Coimbra e del suo “fado” sorge spontaneo il riferimento all’omonima canzone, composta oltre cinquant’anni fa (da José Galhardo e da Raul Ferrão, autori, rispettivamente, del testo e della musica) e portata al successo internazionale da Amália Rodrigues. I suoi versi evocano non solo l’ambiente e l’atmosfera tipiche di una città universitaria ed erudita ma anche la storia amorosa e funesta – occorsa proprio lì, a Coimbra e nei suoi dintorni, durante la seconda metà del XIV secolo, già ripresa da Camões ne «Os Lusíadas» e universalmente nota per la sua tragicità – di Inês Pires de Castro e di Pietro I di Borgogna:
«Coimbra do Choupal / ainda és capital / do amor, em Portugal, / ainda! / Coimbra, onde uma vez, / com lágrimas, se fez / a história dessa Inês / tão linda! / Coimbra das canções / tão meigas, / que nos pões / os nossos corações / a nu! // Coimbra dos doutores! / Para nós, os teus cantores, / a Fonte dos Amores / és tu! / Coimbra é uma lição / de sonho e tradição; / o lente é uma canção / e a lua, a Faculdade; / o livro é uma mulher; / só passa, quem souber… / e aprende-se a dizer: / Saudade!» [Cit. in Barreto, s. d. (1970): 105-106].
(«Coimbra dello “Choupal” [pioppeto] / ancora sei capitale / dell’amore, in Portogallo, / ancora! / Coimbra, dove una volta, / con lacrime, si fece / la storia di quella Inês / così bella! / Coimbra dalle canzoni / così dolci da mettere / i nostri cuori / a nudo! // Coimbra dei dottori! / Per noi, i tuoi cantori, / la Fonte degli Amori / sei tu! / Coimbra è una lezione / di sogno e tradizione; / il docente è una canzone / e la luna, la Facoltà; / il libro è una donna; / solo passa, chi sa… / e s’apprende a dire: / Saudade!»).
Quanto al ritmo, diversamente da quello “alfacinha”, il “fado” coimbrano è un andante moderato, accompagnato da frequenti estensioni vocali. Considerando le sue particolarità e profonde diversità rispetto al suo progenitore – con il quale, a ben vedere, ha in comune solo gli strumenti – non è del tutto errato quello che molti specialisti affermano, ossia che è improprio definirlo “fado”. In realtà, per l’indubbia sua connessione, quando non proprio identità, con il genere cosiddetto serenata (espressione musicale e canora – è risaputo – originariamente concepita dai trovatori medievali come omaggio alla donna amata), sarebbe più esatto definirlo «serenata coimbrana» [Faria, 1980: 8-15].
(Continua)
Note
(5) A proposito sempre di similitudini, nel caso specifico tra “fado”, tango e rebetiko, scrive Pais de Brito che «tutte queste forme hanno avuto (o hanno ancora) in comune la danza che nel caso del “fado” venne repressa poiché ritenuta oscena, nel caso del tango, dopo la sua legittimazione a Parigi, conseguì una raffinata elaborazione estetica, e nel caso del rebetiko, essendola stata da sempre, continua ancora a essere soprattutto una danza di uomini» [Brito, 1983: 171].
(6) Per una visione d’insieme sulla varietà sia strofica che ritmica del “fado” e, più in generale, sulla sua storia ed evoluzione in tal senso, cfr. Freitas, 1973: 233-234.
Bibliografia di riferimento
– Barreto, Mascarenhas, s. d. (1970). «Fado. Origens líricas e motivação poética», Aster, Lisboa.
– Brito, Joaquim Pais de, 1983. «O fado: um canto na cidade». In «Ethnologia», ano I, n. 1: 149-184.
– Carvalho, Pinto de (Tinop), 1984. «História do Fado». Publicações Dom Quixote, Lisboa.
– Freitas, Frederico de, 1973. «O fado, canção da cidade de Lisboa. Suas origens e evolução». In «Língua e Cultura», n. 3: 225-237.
– Moita, Luís, 1936. «O fado. Canção de vencidos». Empresa do Anuário Comercial, Lisboa.
– Pimentel, Alberto, 1904. «A triste canção do Sul (subsídios para a história do fado)». Livraria Central, Lisboa.
– Sucena, Eduardo, 1992. «Lisboa, o fado e os fadistas». Vega, Lisboa.
[La prima versione di questo lungo articolo o breve saggio è stata pubblicata oltre vent’anni fa negli «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia. Università degli Studi di Perugia». 3, Studi linguistico-letterari, vol. XXXVI, n. s. XXII, 1998/1999, pp. 93-121].