La “coincidenza” è l’essenza stessa della vita secondo Guzen to sozo (“La giostra della fortuna e della fantasia”) del giapponese Ryusuke Hamaguchi, in concorso alla 71° Berlinale. Ha vinto l’Orso d’Argento del Gran Premio della giuria.
Tre storie brevi impregnate di realismo magico, che fanno del film una perla Orientale nel dare al destino il contrappeso dell’immaginazione, per lasciarci meravigliare d’imprevisto. Tutto resta credibile nell’impianto di quest’opera con tre city-stories, che incantano nel “può succedere” specie in amore e nelle sue assurde circonvoluzioni.
Nel primo episodio (Magia), durante una trasferta in taxi due colleghe e amiche si raccontano particolari personali. Una (Hyunri) confessa all’altra (Kotone Furukava) di essersi presa una cotta per un designer d’interni (Ayumu Nakajima), molto bello, interessato ma troppo cauto, perché soffre del tradimento della sua ex ragazza, per la quale nutre qualcosa. Nell’ascoltarla, l’amica capisce che si tratta della sua storia: lui è il suo ex, lei stessa è la causa di quel dolore e senza dirle nulla – con tutti quei particolari e retroscena – irrompe nell’ufficio dell’uomo, manipolatrice e destabilizzante. Inquietante pure gli dispiega lo scherzo del destino e come fa a sapere tutte quelle cose, ma lo mette alla prova: se lì su due piedi cede alla speranza riprovandoci, lei potrebbe accettare come respingerlo (perdendola per sempre); ma l’adito lo inchioderebbe al fatto che dell’altra non è poi così innamorato (perdendo anche lei).
Si tratta della sindrome di Rossella O’Hara (rifiutarsi di accettare di perdere qualcuno che credevi tuo) o provano veramente ancora qualcosa l’una per l’altro? Forse quell’inizio di sentimento da parte di lui e l’unicità delle coincidenze di quel triangolo che li riavvicina servono a non perdere l’ultimo treno e ritrovarsi.
Il secondo racconto (La porta spalancata) infittisce i termini alla base del film, raccontando di altri tre destini in collisione. Un incauto e presuntuoso studentello universitario (Shouma Kai) per vendicare un torto fattogli da un docente (Kiyohiko Shibukawa) gli scaglia la collega amante – sposata e con figli – (Katsuki Mori) per adescarlo in uno scandalo sessuale.
Come lenza potrebbe essere usato il libro dal tratto erotico esplicito, per il quale il docente ha vinto pure un prestigioso premio letterario. C’è un unico problema: il professore ha la sana abitudine di tenere la porta del suo ufficio in Ateneo sempre spalancata, a maggior ragione quando è a colloquio. La ragazza si lascia coinvolgere, perché non vuole perdere il giovane e perché la incuriosisce il professore del quale ammirata ha divorato il libro. Durante il fatidico colloquio, nato da una richiesta d’autografo sulla copia, lei registra tutto di nascosto. Gli legge a voce alta e suadente l’apice erotico del libro, sperando di eccitarlo perché segua la seduzione. Chiude pure la porta, ma il professore ammirato da quel reading – che non interrompe di certo – la riapre seduta stante, facendole capire che non ci casca. È in questione la natura del romanzo, che non è autobiografico.
Un bravo scrittore massimizza in parole le proprie debolezze, perché risuonino con le esperienze del lettore e non con le sue proprie. Così cascano male entrambi contro il rodato professore, anche se il destino deflagrerà il suo scherzo. Amante della libertà, priorità dell’intellettuale maestro, questi si mostra spiazzante e troppo comprensivo, anche quando la ragazza gli confessa tutto e si confessa intimamente. E quel recorder resta acceso, quando lui sincero le chiede di ricevere per mail l’integrale del file, perché la lettura lo ha eccitato. Con quel suo carico di particolari privati e scomodi la mail finirà per una malaugurata coincidenza di nomi nelle mani del destinatario peggiore.
Il terzo e ultimo episodio (Di nuovo) ci parla d’amicizia e amore con un taglio tutto femminile. Giunta a Tokio per una riunione tra ex compagni di classe una donna (Fusako Urabe) coltiva in cuor suo la speranza di ritrovare la compagna che ha amato per tutta la vita, ma che non ha più rivisto. Sa però che si è sposata e ha dei figli. Non c’è a quell’incontro. Il giorno seguente a sorpresa la incontra (Aoba Kawai)all’uscita di una stazione metropolitana. Entrambe sorprese sembrano essersi ritrovate, anzi l’amica la invita subito a prendere un tè a casa sua, per rispolverare il passato. Che purtroppo non è lo stesso per entrambe. Una infatti ha sbagliato del tutto persona, credendo che fosse l’amata compagna; l’altra invece nell’entusiasmo del saluto non voleva deluderla dicendole che non si ricordava del suo nome, né di chi fosse. Nell’insieme le ricordava una figura familiare della stessa adolescenza, che voleva rivedere, ma niente di più a questo punto, visto che hanno frequentato pure scuole diverse.
Tutto può rincominciare, quando trovano anche il modo di non vanificare un incontro, che per coincidenza ha destato in entrambe nostalgie e un’istintiva fiducia reciproca. Recitano così l’una per l’altra il ruolo della persona sperata, per dare sfogo alle parole che nessuna delle due ha potuto dire alla destinataria di un messaggio, diventato rimpianto, perché mai recapitato al giusto cuore.
Queste tre storie sono state concepite dal regista come le prime di una serie di sette capitoli a tema: immaginazione e coincidenza. Quest’ultima è una vaga essenza di vita, che apre sempre le nostre storie in modi inattesi. Si diverta lo spettatore con tre meravigliosi esempi del più bel imprevisto del mondo.