Ritorna la casa editrice Settecolori: in arrivo un cult di Rebatet e il romanzo “La fionda” di Jünger. Fondata da Pino Grillo, è ora guidata dal figlio Manuel. In passato ha pubblicato opere di Nico Perrone, Maurizio Serra, Maurizio Cabona, Alain de Benoist e Alberto Pasolini Zanelli. Giorgio Ballario ne ha scritto su queste colonne nelle scorse settimane.
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Un preannunciato ritorno in grande stile, sia pure in pieno lockdown Covid-19, della gloriosa casa editrice fondata nel 1978 da Pino Grillo. In passato, oltre a pubblicare scritti di Stenio Solinas, Grillo ha fatto conoscere in Italia opere di Robert Brasillach, Jean Cau, Langendorf, Maurizio Cabona, Alain De Benoist, Drieu La Rochelle, ha stampato testi di Giuseppe Berto, Alberto Pasolini Zanelli, Nico Perrone e Maurizio Serra (Fratelli separati. Drieu, Aragon, Malraux, 2008. Vincitore Premio Acqui Storia, 2008). Più recentemente, dopo la morte del fondatore, la casa editrice calabrese – ora con sede a Milano – è stata condotta dal figlio Manuel e da noti intellettuali non-conformisti a partire da Stenio Solinas all’art director Gianluca Seta. Giorni fa l’editore ha ufficializzato i programmi, invero ambiziosi, di un’editrice sui generis, non-consumista. Contestualmente il sito Pangea pubblicava un’intervista di Davide Brullo, a Manuel Grillo, il cui succo risulta assai esplicito, forse temerario, ma per nulla fazioso: “Niente libri di routine: conta solo l’onore”. Proseguiva Grillo: “Un editore è il suo catalogo. Se scorri quello della Settecolori vedrai che ci sono grandi romanzi, I due Stendardi, di Rebatet, La fionda, di Jünger, La seconda morte di Ràmon Mercader, di Semprún; grandi libri di viaggio, La vita a modo mio, di Wilfred Thesiger, Londra, di Paul Morand; una certa saggistica controcorrente, una sorta di sinfonia intorno alla nobiltà della sconfitta: Il questionario, di von Salomon, Servizio inutile, di Montherlant… Il filo rosso che li unisce è, se vuoi, la loro eccezionalità: sono tutti libri scritti con l’idea di segnare il loro tempo e di sopravvivergli. Nessuno è d’occasione, o di routine. I loro autori credevano in quello che scrivevano. E la Settecolori li stampa nella stessa ottica”.
Aspettiamo con ansia il prossimo maggio, quando dovrebbe veder finalmente la luce, 70 anni dopo l’edizione di Gallimard, in stampa quando l’autore era ancora condannato a vita ai lavori forzati quale ‘collaborazionista’ nella Francia occupata, la traduzione italiana di Marco Settimini. Seguiranno, come anticipato, un romanzo inedito di Ernst Jünger “La fionda”, “Il questionario” di Ernst von Salomon ed opere di Jorge Semprùn, Victoria Ocampo, Paul Morand, Peter Fleming, Giuseppe Berto, Henry de Montherlant, Francisco Umbral, Peter Hopkirk.
Una edizione del 1952
Mi sono ricordato di avere con me da molti anni, in giro per il mondo, la editio princeps di Le deux étendards del 1952, in due volumi per quasi 1300 pagine. Negli anni ’70 io frequentavo soprattutto la letteratura francese del ‘700 e la storiografia dell’Illuminismo, che era la materia quasi esclusiva del mio impegno accademico, alla Fondazione Einaudi ed all’Università di Torino, con Franco Venturi e Luigi Firpo. Un amico mi regalò ‘Comme le temps passe’ di Robert Brasillach, edito nel 1937, da Plon. Un Livre de Poche di ragguardevoli 435 pagine. Anche se è forse la migliore opera narrativa di Brasillach, ‘Comme le temps passe’, è stato tradotto come ‘La Ruota del Tempo’, proprio dalle Edizioni Settecolori, ma solo nel 1985.
La lettura di quelle pagine, assai ben scritte, riflessione sopra un tempo magico, e metafora del tempo stesso, del suo fluire e dell’importanza della memoria, nella quale Brasillach consegna al lettore ‘la descrizione, accurata quanto felice, delle idee, convinzioni ed ipocrisie di un mondo destinato a infrangersi contro la Grande Guerra, continuo incontro tra passato, presente e futuro, enunciazione di un’estetica della vita che è anche un’etica, vale a dire un modo di affrontare l’esistenza’, come è stato detto, mi affascinò. Scandagliai altri autori di quel periodo e di quel filone letterario. M’imbattei in Le deux étendards, opera di Rebatet, un maudit. Virulento antisemita, anticomunista, antiparlamentarista, antiborghese, antidemocratico, anticattolico. In una parola: fascista non cordiale e mai pentito. I due tomi dell’edizione originale, sino ad allora l’unica, mi vennero consegnati, ad un prezzo elevato, da un libraio con la faccia schifata…
Se Guerra e pace di Lev Tolstoj, scritto tra il 1863 ed il 1869, pubblicato per la prima volta sulla rivista Russkij Vestnik, spaventò molti lettori con le sue 1572 pagine, tanto che l’autore dovette sopprimere a malincuore nelle successive edizioni molte parti che gli erano costate un enorme lavoro di ricerca minuziosa, altrettanto mi successe con il romanzo di Lucien Rebatet. Un libro che si colloca tra i capolavori nascosti del nostro tempo, opera di inesauribile umanità, traboccante di musica (Rebatet fu per un lungo periodo un importante critico musicale), d’amore, di comprensione profonda del dolore. Nelle lettere francesi dovrebbe aver diritto ad un posto d’onore fra il Voyage di Céline e la Recherche di Proust. All’impianto narrativo ‘ideologico’ Rebatet presta una cornice di stampo ottocentesco, come avrebbero potuto fare Hugo, Flaubert, Balzac, Stendhal, un grande affresco della vita sociale ed intellettuale della Francia del primo ‘900. Un po’ contraddittorio con la sulfurea personalità (o la maschera) dell’autore, che aspirava di poter ascendere l’Olimpo delle lettere francesi, non come un pamphlétaire del giornalismo d’assalto, e che invece rimase, forse a torto, anche al di sotto, nella fama postera, di un Céline, per restare ad un altro maudit.
Come efficacemente ha scritto Stenio Solinas sul “Giornale”, nell’articolo Il demonio Rebatet, piccolo ideologo grande narratore, del 13.11.2015:
“Il risultato ultimo è che Les Deux Étendards è contemporaneamente un feuilleton e un testo filosofico, un romanzo d’amore e un trattato sulle passioni. Chi, una volta lettolo, pensasse di trovarsi di fronte a un Rebatet completamente diverso da quello fegatoso, isterico e sfrenato di Les Décombres, dimostrerebbe tuttavia una curiosa miopia. Non ci sono due Rebatet, uno «buono» e uno «cattivo», ce n’è uno solo, di cui il secondo è la versione più meditata, più felice, più ambiziosa e più appagata del primo. I temi dello scontro politico vengono spogliati dalle contingenze, dalle frenesie, dalle ambiguità di una scelta di campo obbligata e risistemati nell’ambito di una disfida fra concezioni del mondo dove non c’è il nemico, ma l’avversario, dove le ragioni e i torti sono equamente divisi. Non c’è la miseria dell’impegno partigiano, c’è la grandezza di chi non abbassa i propri ideali a propaganda. In carcere, Rebatet scoprì la letteratura e si riscattò dalla politica”.
Confesso che apprezzai oltremodo ed immediatamente quel potente romanzo d’idee, la storia del triangolo amoroso tra Michel, Régis ed Anne-Marie, dietro cui si cela lo scontro tra due concezioni della vita, due morali, due estetiche: da una parte il misticismo di una esistenza segnata dalla fede, dall’altro il piacere ed il dolore di chi vive e muore senza altro credo che il proprio valore. Attraverso le vicende, i tormenti, le aspirazioni dei tre giovani, Rebatet, non credente, rivisita con maestria ed uno stile eccelso la meditazione dei Due Stendardi, che Sant’Ignazio di Loyola pone alla fine della seconda settimana dei suoi Esercizi Spirituali. In questa meditazione Ignazio suggerisce di riflettere sullo scontro che contrappone, sul piano soprannaturale non meno che su quello della storia, la Verità e la Menzogna, Dio ed il Demonio, la Virtù ed il Vizio. Questa riflessione ha luogo immaginando due pianure, quella di Gerusalemme e quella di Babilonia, sulle quali si schierano due grandi e variegati eserciti, quello del Re buono (al centro della quale è Cristo nostro Signore, sommo capitano, capo supremo di tutti gli uomini retti e sensibili e quello di Lucifero, padre della menzogna e dei malvagi). Un potente romanzo di idee. Ebbene, tutto ciò detto, con tutta l’ammirazione che stavo provando, non andai oltre… la lettura di circa 200 pagine!
La vita con le sue esigenze spicciole (stavo preparando anche il Concorso Diplomatico) mi distolse però da una lettura alla quale colpevolmente non rimisi più mano. Nel frattempo sono impigrito. Leggo e scrivo in italiano e spagnolo, assai meno in francese ed altre lingue pur conosciute. Un’opera da molti definita come straordinaria, che trasforma addirittura i suoi pazienti lettori. Secondo George Steiner, Les deux étendards è uno dei grandi romanzi del Novecento. Per François Mitterrand: «Il y a deux sortes d’hommes: ceux qui ont lu Les Deux Etendards, et les autres». Appartengo all’80% alla seconda. Magari ora rimedio e riprendo la lettura…
“In una delle scene del suo film più claustrofobico, L’ultimo metrò (1980), François Truffaut inserisce, letto ad voce alta da un regista ebreo in clandestinità, nell’autunno del ’42, un passo che proviene dal pamphlet antisemita e filonazista che fu anche il massimo successo letterario dell’Occupazione. Destinataria della citazione è un’algida e sentimentalmente ambigua, ma stupenda Catherine Deneuve, qui attrice e moglie del regista Lucas Steiner, ignara del fatto che il libro s’intitoli Les décombres (Le macerie) e che rechi la firma di Lucien Rebatet, notista politico e critico cinematografico di Je suis partout, collaborazionista ed antisemita, il cui redattore capo è Robert Brasillach, già autore di una Histoire du cinéma (1935) con suo cognato Maurice Bardèche”.
(Massimo Raffaeli, Truffaut e il capolavoro d una vecchia canaglia: Lucien Rebatet).
Pare anche che Truffaut amasse suggellare ogni nuova amicizia donando proprio una copia di Les deux étendards...
Rebatet non è, peraltro, citato ne I maledetti, dalla parte sbagliata della storia, di Andrea Colombo (2017), i ritratti di sedici intellettuali contaminati dall’ombra demoniaca del ‘900. Personaggi diversi tra loro: Hamsun, Céline, Benn, Heidegger, Gentile, Lorenz, Riefenstahl, Cioran, Eliade, Sironi, Marinetti, Pound, Wyndham Lewis, Evola, Brasillach, Eliot. Colombo percepisce un tratto comune nella consapevolezza che l’800, il secolo dei buoni sentimenti, del liberalismo, delle democrazie, della speranza positivista e ottimistica in un progresso illimitato, era definitivamente tramontato. Dalle macerie della Prima guerra mondiale doveva sorgere un nuovo mondo completamente trasfigurato. Fascismo e Bolscevismo furono una simile, non uguale, reazione contro lo spirito borghese e plutocratico, nelle motivazioni, almeno.
Il Fascismo, come reazione alla ragione positivista ed all’ipocrisia borghese, si appella alla volontà, all’inconscio, ad un armamentario irrazionale nemico della misura. L’irrazionalismo fascista ed il culto della razza sfociano infine nell’antisemitismo che in gradi diversi si rintraccia in molti protagonisti. Non si tratta di un antisemitismo granitico: ci sono sfumature e differenze importanti, come già faceva notare Tarmo Kunnas nel suo La tentazione fascista (prima edizione italiana: Napoli, Akropolis, 1980). Non giustificano un’assoluzione, ma rivelano una realtà sfaccettata, non riconducibile a categorie generali omogenee, nette. Lutero, Voltaire, La Civiltà Cattolica dei gesuiti, Henry Ford e molti altri erano antisemiti, ma non sterminavano nessuno…
Conoscevo Pino Grillo, che avevamo soprannominato, con lo spirito boulevardier dei vent’anni, il Grillo Stampante. Ricordo che mi propose di tradurre per la sua casa editrice Les deux étendards. Lasciai diplomaticamente cadere la profferta: ai lavori forzati a vita ci sarei finito anch’io, oltre a Rebatet…
Però è bello anche veder parlare con competenza e intelletto d’amore di libri che non si è avuto il tempo di leggere da giovani e che da vecchi ci fa fatica affrontare.
p.s. però, furbo il libraio antiquario: manifestava disgusto per Rebatet, però il libro se lo faceva pagare, e caro…