Manifestazione di studenti davanti al “Galileo”, storico liceo classico nel cuore di Firenze. Protestano contro la didattica a distanza, la cosiddetta Dad, e reclamano il diritto di tornare in classe. Posso capire benissimo le loro posizioni contro la scuola “dadaista” (stare incollati per ore davanti a un computer è ancora più sgradevole che dover tenere tutta la mattina la mascherina), un po’ meno la loro posizione. Sono seduti uno accanto all’altro, qualcuno a volto scoperto. Involontariamente danno ragione a chi chiede un ulteriore rinvio alla riapertura delle scuole superiori. È inutile distanziare i banchi, differenziare gli orari facendo impazzire presidi, professori e famiglie, spendere milioni per potenziare i mezzi pubblici, se poi i ragazzi all’uscita da scuola trascurano il distanziamento, sopraffatti da quella presunzione d’immortalità che costituisce la forza e al tempo stesso la debolezza dei giovani.
Mi chiedo quali sentimenti avrei nutrito io, mezzo secolo fa (ricorrerà a giugno il cinquantennale del mio esame di maturità), dinanzi a una situazione come quella di oggi. Non riesco a immaginarlo, anche perché il solo esempio di didattica a distanza era ai miei tempi la telefonata del compagno di classe zelante che, quando ero malato, mi riferiva a che punto erano arrivati i professori col programma. Ricordo però la mia reazione cinque anni prima, nel novembre del ’66, quando Firenze fu alluvionata e la mia scuola, che pure non era stata raggiunta dalle acque dell’Arno, rimase chiusa per un mese, come gli altri istituti fiorentini. Non mi vergogno a dirlo: non ne fui dispiaciuto affatto. Lessi molti romanzi, aiutai ad attingere acqua, cercai di rendermi utile pur avendo solo tredici anni, frequentai amici. E accolsi con sollievo la sospensione delle lezioni. La scuola all’epoca era una cosa seria e anche se avevo dei professori autorevoli ma umani vi si entrava con un certo timore reverenziale. Ci si alzava in piedi all’ingresso dell’insegnante e si aveva paura dell’interrogazione a sorpresa. Le lunghe vacanze estive, le molte interruzioni della didattica, fra festività infrasettimanali oggi soppresse, festa delle Matricole, giochi d’istituto, compensavano un impegno intenso anche per chi come me andava bene. Certo, un mese di vacanze regalate non è come vari mesi di didattica a distanza; ma è l’atteggiamento nei confronti della scuola che è cambiato nei bambini e negli adolescenti.
Oggi ho l’impressione che per buona parte degli studenti fin dalle elementari la scuola sia un luogo dove prima si “socializza” (orribile neologismo coniato negli anni Settanta) e poi magari si studia. I risultati si vedono: ragazzini che escono dalle elementari senza saper scrivere in corsivo e dare del lei a un adulto, liceali che non sanno leggere metricamente un distico elegiaco e studiano i classici latini solo con la traduzione a fronte, diplomati dei tecnici che hanno bisogno di prendere una laurea breve per svolgere professioni, come il geometra o il ragioniere, che un tempo avrebbero potuto esercitare subito dopo il diploma, previo un periodo di praticantato.
Nel frattempo i politici fanno a gara nel rivendicare l’importanza della scuola, di cui si sono disinteressati per decenni, non solo declassando economicamente e giuridicamente il ruolo dei docenti, ma lasciandoli di fatto alla mercé di studenti maleducati e a volte aggressivi, di genitori invadenti se non maneschi, di registri elettronici che fanno solo perdere tempo. Non è difficile prevedere però che, finita, a Dio piacendo, l’emergenza, il panorama della scuola italiana rimarrà lo stesso: bassi stipendi, scarse possibilità di carriera per i docenti, pomeriggi assorbiti da riunioni ridondanti e incombenze inutili. E l’unico lascito duraturo di tante buone intenzioni rimarrà qualche costosa partita di malinconici banchi monoposto, oltre tutto scomodi per tutti e in particolare per i mancini.
Bell’articolo. Però, confesso, mi ha sempre dato un po’ fastidio chi criticò da destra la Riforma Moratti-Gelmini che non significò certo un successo e non scalfì in nulla il pluridecennale, deteriore potere dell’antimeritocrazia sindacale. Rimpiangere la Riforma Gentile, quando il fascismo stesso aveva approvato la Riforma Bottai, non attuata a causa della guerra, è un’ altra scempiaggine ancora viva a destra. Perchè le famose, o famigerate, tre i” di Berlusconi (Inglese, Internet, Impresa) avrebbero, se attuate, reso un po’ meno piatta una classe docente che, salvo lodevoli eccezioni, da decenni è intrisa di sinistrismo deteriore e dalle deiezioni del pensiero unico globalizzato in salsa casino-italiota. E sicuramente giovato ai discenti, visto che oggi, a parte le sollecitazioni dello smartphone, i giovani italiani continuano a conoscere pochissimo l’inglese ed in quanto all’impresa…Chi per anni ha cianciato di Impegno, di libera Ispirazione, di ricca Intelligenza, sviluppato senso critico ed altre stupidate, che avrebbero dovuto costituire la base, l’asse formativo di future generazioni, ignora quello che si è saputo ovunque, per secoli, sino alle farneticazioni sessantottesche e post: che la scuola trasmette, deve trasmettere contenuti, anche le arcinote ‘nozioni’, sulle quali si è abbattuta una scellerata damnatio memoriae sull’altare del diritto egualitario all’ignoranza… per tutti, contro la vecchia dittatura orto-sintattica ecc.! Perchè l’impegno, l’intelligenza, la curiosità ecc. non le può dare la scuola, nessuna scuola, le dà Madre Natura in diversa quantità, cioè le danno i genî ereditati, o se preferite, rousseavianamente l’ambiente. La scuola deve fornire non un insegnamento personalizzato, ma contenuti validi di conoscenza. Poi ognuno li processerà come può e sa. La scuola non forma, la famiglia forma, la scuola doverosamente insegna, informa e valuta, nell’interesse generale. Non ‘salva’ tutti, non è affar suo, tanto meno salva ‘gli ultimi’, per evangelica rimembranza, salva chi le tiene il passo! E non si tratta di classismo, esclusivismo, privilegio ecc. La scuola non è un meccanismo d’integrazione che diffonde buonismo spicciolo, deve essere un formidabile strumento di diffusione della conoscenza, ovvio per il mondo d’oggi, non si tratta di render obbligatorio l’insegnamento del Greco Antico… Tante belle cose!