Secondo Marco Tarchi, politologo e professore ordinario di Scienza Politica a Firenze, «il dissidio Conte-Renzi» non fa altro che mettere in luce «il peso, in questo caso molto accentuato, delle idiosincrasie caratteriali» ma nessuno, compreso il centrodestra, vuole intestarsi l’apertura di una
crisi nel pieno della pandemia.
Professor Tarchi, nonostante la crisi di governo in questi giorni le forze di centrodestra sembrano restie a dare la spallata definitiva alla maggioranza. A cosa è dovuto questo “immobilismo”?
“A più fattori. Da un lato c’è l’imbarazzo di vedersi indicati a dito come coloro che, in spregio del “bene del Paese” (formula retorica sbandierata da più parti e a tutti i livelli), aprono una crisi di governo in piena emergenza pandemica. Da un altro c’è l’incertezza sul “che fare” di fronte alla situazione sanitaria ed economica attuale qualora si dovessero assumere responsabilità di governo. Infine, c’è un’evidente divergenza tattico-strategica tra le componenti di una coalizione che, divisa tra aperturisti e intransigenti, rischierebbe di frantumarsi se assumesse una posizione più netta”.
Le ragioni della crisi sono sempre più riconducibili a una sfida personale Conte-Renzi. Pensa sia questo l’effetto più evidente, almeno in Italia, di una sempre maggiore personalizzazione della politica?
“La personalizzazione è un dato ormai stabile, e probabilmente immodificabile, della politica italiana, che ha trovato la sua consacrazione con il crollo della cosiddetta Prima Repubblica e il concomitante sfaldamento dei partiti. Corrisponde alla logica del sistema massmediale, che se ne nu- tre e la alimenta. Il dissidio Conte-Renzi ne è l’ennesima espressione, che sottolinea un altro fattore da sempre rilevante in politica e che già, a suo modo, Machiavelli aveva messo in luce: il peso delle idiosincrasie caratteriali. Che in taluni casi, come questo, è molto accentuato”.
In gioco finora sembrava esserci il Recovery Plan, ma la situazione sembra complicata anche ora che molte richieste di Iv sono state accolte. Quali sono secondo lei le ambizioni di Renzi?
“È difficile capirlo quando non si sa se dietro le mosse di Renzi ci sono degli ispiratori – e quali – o se sono solo farina del suo sacco. C’è chi parla di ambizione a vedersi affidato un incarico di alto livello in ambito internazionale. Può essere. Certamente non può muoverlo la speranza di attrarre consensi alla sua formazione politica”.
Fd’I è in ascesa, la Lega non ha i consensi del 2019 ma è stabile sopra al 20 per cento, mentre Forza Italia galleggia sotto al 10. Crede che eventuali elezioni segnerebbero la fine della componente liberale e moderata?
“Questo potrebbe accadere solo se Lega e Fd’I accettassero la sfida di correre da soli, puntando a raccogliere con una coalizione a due il 40 per cento o più dei voti. Scenario che mi appare improbabile. Se invece trascineranno nel loro ipotizzabile successo anche FI e i vari frammenti centristi, ne subiranno condizionamenti e ricatti ripetuti. Io sono scettico sul reale peso attuale del partito di Berlusconi, ma non c’è dubbio che l’ex Cavaliere, anche se avesse pochi parlamentari, li userebbe per regolare i conti con gli alleati-concorrenti, di cui non ha mai digerito il sorpasso”.
C’è anche chi prospetta, ora o più avanti nel corso della legislatura, un governo del Presidente guidato da Mario Draghi. Quali sono i rischi e i vantaggi dati da un tale esecutivo?
“C’è da chiedersi innanzitutto quali rischi e vantaggi ne trarrebbe Draghi. Avrebbe utilità, per lui, la guida di un gabinetto di transizione, per giunta costretto ad affrontare una situazione di estrema difficoltà, soprattutto ma non solo sotto il profilo economico? Si ha un bel parlare della vocazione al sacrificio dei “servitori dello Stato”, ma tra le parole e i fatti c’è sempre una forte distanza. In ogni caso, un governo di “salute pubblica”, non disponendo di un comprovato consenso elettorale, sarebbe a rischio nel caso, tutt’altro che improbabile, in cui dovesse assumere provvedimenti impopolari”.
Un’altra ipotesi, più remota, è quella di un governo di centrodestra sostenuto da alcuni responsabili. La ritiene un’opzione credibile?
“No. In un caso del genere, la fragilità dell’esecutivo sarebbe ancora maggiore e più evidente. Già l’alleanza di centrodestra è frazionata, sbilanciata e priva di un progetto condiviso; se poi dovesse dipendere dal consenso di sostenitori casuali, transfughi dal M5S o da altri partiti, che in cambio dell’appoggio esigerebbero promesse e prebende immediate, oltre che a futura memoria, il rischio di un naufragio in tempi brevi o, quantomeno, di un alto tasso di conflittualità interna, sarebbe sicuro”.
Da grandi sostenitori di Trump, Salvini e Meloni sono stati indirettamente “sconfitti” con la fine dell’era del tycoon alla Casa bianca . Qual è il futuro del sovranismo in Italia?
“Incerto, perché di per sé il sovranismo non offre prospettive di ampio respiro, si concentra su pochi e rischia, in certe sue espressioni, di ridursi ad un revival di un nazionalismo sciovinista ormai obsoleto. Il discorso sarebbe diverso se ad esso si accompagnasse, come è stato nel passato recente, un’impostazione populista, molto più in grado di trovare riscontro nelle aspettative di ampi settori della società. Questa combinazione ha fatto la fortuna del discorso politico di Beppe Grillo e poi soprattutto di quello di Salvini, fino al grande successo alle elezioni europee del maggio 2019. Poi, con scarsissimo intuito politico, prima il M5S e poco dopo la Lega, l’hanno abbandonata, ricavandone in cambio un netto calo nei consensi. Non mi pare che questo dato sia stato compreso da chi avrebbe avuto tutto l’interesse a valutarlo”.
In questi giorni si parla molto della decisione delle grandi aziende social di chiudere gli account di Trump e secondo alcuni c’è in gioco la libertà d’espressione. Che idea si è fatto in merito?
“È un problema molto grave, soprattutto perché Facebook, Twitter e le altre aziende del settore hanno creato un oligopolio informativo, facendo migrare sulla Rete molti milioni di utenti un tempo raggiungibili per altre vie: radio, tv, giornali. Impedendo l’accesso a questi canali, si opera una censura di proporzioni mai viste prima. È una logica da Grande Fratello orwelliano, che configura un nuovo totalitarismo”. (da Il Dubbio)
Né sovranismo velleitario, né populismi rovinosi ed imbelli, anticamera di guai peggiori. Liberal-conservatorismo, questa (sarebbe) la ricetta!