Una intervista ad Alain de Benoist, intellettuale francese punto di riferimento di molti scrittori di Barbadillo.it: da Manif pour tous alla fragilità progettuale della Destra francese.***
E’ fuor di dubbio che Manif pour tous abbia suscitato nuove forme di protesta basate sui social network, esattamente come altre “primavere” o “rivolte” altrettanto informali quali quelle degli “indignati” o di Occupy Wall Street. Che lezione dobbiamo trarne?
Manif pour tous è stato un grande successo e un’incontestabile sconfitta. Innanzitutto il successo: non succede ogni giorno di arrivare a mobilitare un milione di persone dei due sessi e di tutte le età. Personalmente avrei preferito vederne dieci milioni a protestare contro la dittatura dei mercati finanziari o contro il cretinismo del consumismo (è sempre possibile sognare…) ma questa non è che un’opinione personale. In via generale si deve sempre sostenere il popolo quando scende in strada per una ragione o per l’altra (il matrimonio gay a Parigi, l’aumento del prezzo del bus a San Paolo, un progetto di distruzione di uno spazio verde a Istanbul), che sia in Francia, in Brasile, in Turchia, in Egitto o altrove. E’ il più serio indice dell’esasperazione popolare. Un altro aspetto positivo è l’apparizione, in margine alle manifestazioni, di un certo numero di modalità di protesta originali e inedite (gli “Hommen”, i “Veilleurs debout”, etc), che rinviano a qualcosa di più che un semplice fenomeno da social network.
La sconfitta non è meno evidente: Manif pour tous non ha semplicemente ottenuto ciò che voleva, ovvero impedire l’approvazione della legge che autorizza i matrimoni gay. Essendo questa sconfitta prevedibile, checché ne dicano le letture semplicistiche, una strategia alternativa andava trovata. Tutto ciò a cui abbiamo assistito, invece, è stato nel migliore dei casi a delle bagarre e nel peggiore a proclami del genere “non molleremo nulla”. Ma mollare cosa? Quando non hai ottenuto nulla non hai nulla da mollare. A quel punto si dà fastidio, si protesta, si fanno fischiare le orecchie del Capo dello Stato il 14 luglio, il che però non è un granché. Si sogna un “sussulto nazionale” (perdinci, un sussulto!) come si fa da più di un secolo. Per la “primavera francese”, meglio ripassare. La destra, da questo punto di vista, non cambierà mai. Più reattiva che riflessiva, essa non sa marciare che con le gambe dell’entusiasmo o dell’indignazione. Determinare una strategia rivoluzionaria è al di là delle sue forze.
Cosa la colpisce di più nella nebulosa anti-matrimonio gay? La sua omogeneità sociale o etnica? Il suo discorso politico onnivoro? O la sua reticenza a ribaltare il tavolo? Per farla breve: abbiamo davvero a che fare con dei rivoluzionari?
Con dei controrivoluzionari, semmai. Ovvero con persone che lasciano regolarmente passare il treno per non fare la “politica del peggio”. Il più grande errore degli organizzatori di Manif pour tous è stato di accettare docilmente di non invadere gli Champs-Élysées quando un milione di persone erano pronte a farlo. Debordando la semplice risposta agli antifa (che erano mille), Manif pour tous avrebbe potuto prendere una vera dimensione insurrezionale. Il che avrebbe almeno impedito alla polizia di truccare numeri e immagini. Ma non si fa la rivoluzione con la “Francia tranquilla” di coloro che portano in piazza i passeggini e delle persone beneducate. Non si fa una rivoluzione quando non si ha né un programma né una concezione del mondo da proporre. È per questo che, più che cercare di prendere il potere, si è andati a cercare il sostegno di Raffarin e Copé. In quel momento, la messa è finita. Manif pour tous ha svegliato delle coscienze, non ha strutturato degli spiriti.
Non c’è nulla che somigli a una rivoluzione senza qualche martire. In questo caso è stato Nicolas Bernard-Buss. La sua pena è stata certo sproporzionata ma l’emotività di chi lo ha difeso non lo è stata altrettanto? È come se il vuoto di potere avesse fatto il paio con la vaghezza delle richieste dei manifestanti…
Beninteso, è stato giusto protestare contro l’incarcerazione del giovane Nicolas e contro la pratica generalizzata dei due pesi e due misure. Il meccanismo è d’altronde ben rodato. Basta trattare i disturbatori come “fascisti” per permettere l’attuazione del programma che Laurent Joffrin proponeva in totale buona coscienza su Le Nouvel Observateur del 13 giugno, ovvero “riservare ai fascisti (…) la vigilanza quando tacciono, la condanna quando parlano, la prigione quando agiscono”. Vigilanza-condanna-prigione: un trittico da ricordare. In quest’ottica, quando Mélenchon dà del “capitano di pedalò” a Hollande c’è chi può vedervi delle allusioni omofobe. Detto questo, è possibile protestare energicamente senza cadere nel delirio o nella paranoia. Dire che Nicolas sarà “traumatizzato a vita” per aver fatto tre settimane di prigione non è lusinghiero per lui: spero sia quanto meno capace di andare oltre! Io ricevo regolarmente delle mail secondo le quali noi viviamo oggi quasi in un regime totalitario sovietico, il che è un po’ ridicolo (ogni mail che ha troppi punti esclamativi va immediatamente nel cestino, sul mio pc). Qualcuno dovrebbe ricordarsi che, in molti paesi, quando si è in carcere, si hanno buone possibilità di essere uccisi, torturati o violentati. Noi non siamo ancora a questo punto. Molti partecipanti a Manif pour tous, a cominciare dalla piccola borghesia cattolica (la “generazione delle Giornate mondiali della gioventù”) che ne costituiva la più grande componente, manifestavano per la prima volta. Gli è restato il ricordo di un’eccitazione che va di pari passo con una certa ingenuità. Essi dichiarano fieramente di essere stati “gasati”, come se avessero respirato gas Sarin o Zyklon B. Per quanto mi riguarda, mi avranno sparato addosso gas lacrimogeno almeno una trentina di volte, in vita mia, senza che io vi abbia mai visto altro che la logica conseguenza del fatto di essere a una manifestazione. Se non altro questi neofiti hanno scoperto che i buoni poliziotti “che sono lì per proteggerci” sanno anche utilizzare il manganello. Se questo sarà servito a far loro comprendere che quando si attacca l’ordine vigente (che spesso è solo un disordine organizzato) le forze dell’ordine sono forze nemiche, vorrà dire che ne sarà valsa la pena.
Intervista realizzata da Nicolas Gauthier per “Boulevard Voltaire” (traduzione di A.S.)