Luciano Pellegrini è un autore impegnato su più fronti, da quello culturale a quello politico in maniera eclettica. In questa lunga chiacchierata si toccano i vari aspetti di riflessione e di battaglia culturale che lo vedono coinvolto, dal progetto relativo al reddito di esistenza alla dimensione dell’assistente sessuale.
Come pensi sia tradotta l’immagine della disabilità nei mass media? Pensi sia possibile evitare la trappola dello stereotipo?
Da anni affermo che “la barriera più grande è culturale, tutte le altre ne sono l’ovvia conseguenza”. Qui per cultura non intendo diplomi, lauree o libri letti, bensì il modello che coinvolge un’intera comunità, uno Stato, un continente, il mondo intero. Visione che condiziona il modo di pensare, di agire e di comportarsi con gli altri. Quindi, se è vero che malattie o altre cause delimitano la vita, a far soffrire di più la persona con varie tipologie di disagio, è il comportamento degli altri. Le mie azioni partono dal presupposto che un’ottica più civile eliminerà spontaneamente le barriere architettoniche e civili, aumentando di conseguenza i servizi carenti. Infatti un deficit diventa handicap quando la società non sa mettere le persone in condizioni di pari opportunità. Il problema non tocca solo i diretti interessati, i loro famigliari o chi lavora nel settore ma si allarga indirettamente a tutta la collettività. Chi la vede diversamente ha dei limiti di sensibilità, di senso di responsabilità e di umanità. Quindi non sarebbe un problema di scale, marciapiedi o porte strette ma dell’assenza di un vero e proprio senso civico. Vige purtroppo ancora la tendenza a vedere gli altri per quello che hanno, come appaiono o per quello che possono fare e dare. Non per quello che sono. Ci sono persone che, nonostante la disabilità sono impegnate attivamente in alcuni settori ma non si conoscono perché non appaiono in tv o su giornali. I mass media danno risalto a ciò che fa audience, al calcio, personaggi politici o di spettacolo, intrattenimento, ecc. Le rare volte che si dà spazio a persone diverse dallo stereotipo, vengono comunque passate col filtro del paternalismo e dell’eccezione. Un episodio che tende a volatilizzarsi subito proprio perché urta molte “coscienze”. Senso mentale ancora molto radicato anche se qualcosa si muove. Per modificarlo è necessario presentare la persona disabile non solo come bisognosa ma soprattutto come risorsa utile alla comunità. Pertanto sono sempre da incentivare qualità e possibilità che ciascuno ha dentro di se, anche se spesso appaiono limitate. Far sentire la persona apprezzata è di fondamentale importanza, tanto più se essa manca di autostima. È proprio questo lo stereotipo di cui da anni mi batto con pubblicazioni, video e progetti. Io sono sempre andato oltre il mio tempo. Come trent’anni fa venivo quasi deriso perché invece di adeguarmi ai discorsi sulle barriere architettoniche già puntavo il dito contro le barriere culturali, da cui dipendono comportamenti e modo di pensare. È un concetto che oggi comincia ad essere di uso comune. Stessa perplessità suscitano i temi qui trattati, ma io vado avanti con convinzione, come ho sempre fatto. Anche a questo proposito, è nata nel 2000 la A.L.E.A. – Associazione “L’Essere Armonia” a.p.s.: Per una società senza barriere mentali e comportamentali, le quali, prima ancora ed in maniera più incisiva, di quelle fisiche ed architettoniche, ledono il benessere individuale e collettivo. Così organizziamo meglio, anche in collaborazione con altre associazioni ed enti pubblici e privati, manifestazioni come dibattiti su ambiente, disabilità, salute, mostre artistiche, rassegne poetiche e premi letterari.
Hai in progetto un fotoromanzo, “La Scommessa”. Cosa ti ha portato alla scelta di questo mezzo?
“Da tempo cerco continue opportunità per mediare in modo efficace a questa “forma mentis” che ancora oggi complica non poco la coesistenza e l’interazione tra persone con disabilità e quelle cosiddette normodotate. I miei obiettivi puntano ad incentivare la carente integrazione sociale e prendere coscienza delle tante barriere architettoniche e mentali. Il fotoromanzo è solo uno dei modi. L’idea è nata anni fa prendendo come modello fumetti o i fotoromanzi di una volta. La storia – tratta da un mio racconto La scommessa pubblicato nel 1998 – vuole narrare con foto, dialoghi e didascalie, alcune problematiche che si trovano ad affrontare le persone disabili. Qui, normalità e disabilità si incontrano, si scontrano e poi si amalgamano in rapporti che trasformano psicologicamente e mentalmente i protagonisti. Una vicenda semplice ma intensa, dove un rapporto fisico, facile da immaginare per chi non ha problemi di bellezza e vive nel modello standard con gli svaghi più comuni, diventa ostacolo spesso insormontabile per chi si trova in condizioni fisiche più difficili. Nel 2007 la prima edizione, da me interpretata insieme ad alcuni amici, fu frutto di un lungo lavoro fotografico, organizzativo e grafico. Fu il punto di partenza per un interessante incontro-dibattito a cui parteciparono oltre ai protagonisti, psicologi, sociologi, neurologi, sessuologi, assistenti sociali e rappresentanti di associazioni di categoria. A gennaio è stato ristampato con lo scopo di riproporre i temi e continuare la sensibilizzazione perché ho notato che l’atteggiamento delle persone a cui viene proposto di soffermarsi su questi temi è sempre quello della fuga e del disagio. La scelta di questa formula deriva dal fatto che oggi si tende a leggere poco e le immagini hanno un effetto maggiore e più diretto. Il messaggio arriva con più facilità, con più efficacia. È una proposta che aspira ad una maggiore riflessione verso la diversità e la disabilità. Tuttavia, nel mio modo di agire non c’è solo serietà, volontà e coerenza ma c’è anche una parte importante che aiuta ogni essere senziente: l’ironia. È un modo di alleggerire tensioni e dolore, dove la pazienza è molto spesso messa a dura prova. E proprio per questo è stato girato il video clip “Mr. Handy & Kap” che mostra in maniera ironica e dilettevole, alcune difficoltà di persone con disabilità. Prendendo spunto dalle divertenti scene di Keaton, Charlot, Stanlio e Ollio e soprattutto Mr. Bean, si è voluto dare questo ulteriore messaggio”.
Un ulteriore dilemma circa la disabilità consiste nella figura dell’assistente sessuale, che da poco tempo prende il nome di operatore all’emotività, all’affettività, e alla sessualità. Il cambio di nome indica una maggiore completezza? In che maniera si evolverà questa figura?
“Le mia attività di scrivere e organizzare manifestazioni, ha da sempre lo scopo di sensibilizzare la mentalità comune di vedere chi ha una disabilità come essere umano con caratteristiche psicofisiche identiche ai normodotati. Anche noi disabili abbiamo le stesse aspirazioni e tendenze. Ovviamente ogni soggetto deve fare i conti con difficoltà che gli sono proprie. Io so bene cosa significa nonostante sono stato sposato per anni, ho avuto due figli – che hanno 32 anni e quasi a riscattare, sono ballerini laureati e professionisti – ed attualmente convivo con la mia nuova compagna. Il mio carattere inarrendevole e l’esperienza che ne deriva, mi fa essere ferreo sostenitore della figura della cosiddetta “Assistenza sessuale” utile quanto la normale assistenza sociale. Questa forma di sostegno implica il senso umano di un’educazione-rispetto, che raffigura il grado di civiltà di uno stato e di un popolo. Si tratta di uno dei diritti alla salute e al benessere psicofisico di ogni individuo. Per Assistenza Sessuale qui non si intende quel significato puramente letterale associato al concetto stereotipo della prostituzione. Si tratta invece di una entità nuova nata appositamente per aiutare persone con disabilità diverse in quelle sfumature sulla sfera affettiva, emotiva e quindi fisico-sessuale. So che esistono in Svizzera (e penso stia nascendo qualcosa in Italia settentrionale) organizzazioni o associazioni di queste figure professionali, maschili e femminili. Sono persone che in base alle proprie tendenze etero, omo o bisex, aiutano chi ha una disabilità a vivere salutari esperienze anche facendo leva sul proprio vissuto. Sono assistenti, che non si concentrano sul solo approccio fisico, ma ovviamente preparati, teoricamente e psicologicamente, ad incontri e contatti che coinvolgeranno tutto l’essere della persona con disabilità. Sono contatti utili a sciogliere nodi psicologici, mentali e di conseguenza fisici, derivanti, come al solito da una cultura ed uno stereotipo banale e limitato: per dirla breve incivile e inumano. È una parte dell’etica da me sempre combattuta, che prosegue l’idea ipocrita che intende le persone con difficoltà sotto l’etichetta dell’“asessualità”, o peggio, a considerarle inadatte a vivere la sessualità. Nessuno ha il diritto, in nome di qualsiasi etica e morale, di impedire a chicchessia di vivere e sperimentare quelle emozioni e sensazioni che sono fonti personalissime di autostima, benessere e consapevolezza del proprio fisico e del proprio essere. Il cambio del nome da “assistente sessuale” ad “operatore all’emotività, all’affettività e alla sessualità” non è indice di una maggiore completezza di un modo di vedere ancora persistente. Si tratta invece di un passaggio linguistico tendente a far accettare meglio il senso e dare una dignità maggiore. Restando nel nostro settore, da sostantivi oggi offensivi, si è passati a “diversamente abili”, poi “persone disabili” o “persone con disabilità” ma il contesto morale, psicologico e comportamentale resta lo stesso. Comunque, termini a parte, sono certo che questa figura avrà col tempo sempre maggiore rilievo nella quotidianità proprio per la sua concreta utilità”.
Ti batti da diverso tempo per l’introduzione del Reddito di Esistenza. Di cosa si tratta? Vedi degli sviluppi nel contesto socio-politico attuale?
“Parto dal presupposto che ogni essere umano ha lo stesso inizio e la stessa fine. Nel mezzo c’è la sua esistenza con caratteristiche proprie, vicissitudini e influenze collettive (Religioni, Società, Cultura ecc.) Si dovrebbe essere tutti uguali, rispettarsi, aiutarsi. Ma si sono sempre visti gelosie, litigi, rivalità, lotte e violenze spesso inaudite. Fino ad oggi nell’era che vorrebbe definirsi civilizzata. La tecnologia odierna potrebbe sopperire a tutti i bisogni dell’umanità oppure distruggerla. Con questa consapevolezza, alla fine della seconda guerra mondiale, nacque l‘ONU che approvò poi la “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani”: Articolo 1 – Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza. Eppure, c’è tutt’ora divergenza di benessere e ricchezza. Tralasciando i gravi risvolti sugli ecosistemi, la globalizzazione ha sviluppato l’industria in nuovi stati, aumentato consumi, bisogni e popolazione mondiale. La concorrenza che ne deriva, comporta una crisi nei vecchi sistemi e la necessità di manovre di rifinanziamento con ulteriori problemi. Alla base della crescita economica c’è l’aumento dei consumi, oggi però in balia ad una produttività sempre in bilico e un lavoro in diminuzione. Se i salari non crescono o cessano, consumi ed investimenti poggiano sul debito crescente che deprime il potere di acquisto. Nell’ultimo decennio la tecnologia sempre più avanzata, si riflette sulla produzione di beni e servizi. In base al recente studio del World Economic Forum, a breve sarà superfluo l’apporto umano in interi settori. Il processo è cominciato ma gli effetti sono ancora lievi. Man mano che i nuovi strumenti saranno più accessibili, tutti, o quasi, i lavori saranno automatizzati. Così il costo del lavoro si ridurrà sempre più, al punto che non sarà umanamente conveniente dare il proprio tempo e fatica. I robot invece: 1) costeranno sempre meno; 2) sono facili da sostituire; 3) lavorano 24 ore su 24; 4) non si ammalano, né chiedono ferie, permessi, ecc. Perciò continuare a parlare di lavoro è inutile, significa ignorare i segnali degli eventi. Il mercato prevede prodotti sempre più sofisticati: cellulari, pc, tv, auto ecc. (che hanno una durata precisa, poi si devono cambiare) promossi da pressante pubblicità anche con micro rate. Ma se di lavoro ce ne sarà sempre meno, come si possono comprare beni e servizi? A chi vendere se non ci sarà potere d’acquisto? A che scopo produrre? È tempo quindi di concentrarsi sulla persona, che ha diritto a ciò di cui necessita per il solo fatto di essere in vita. Perché allora non suddividere beni e servizi sempre più prodotti dagli automi? Chi possiede industrie può sempre avere quel che gli spetta e darebbe a tutti la possibilità di vivere, col solo obbligo di rispettare gli altri, vivendo la propria vita con amore, armonia e felicità. Ecco il reddito d’esistenza RDE. Il commercio avrebbe slancio maggiore, in quanto tutti potranno acquistare. E non è utopia, I mezzi ci sono già, basta avere governi davvero al servizio della comunità e delle persone. Oggi nomi altisonanti (da Beppe Grillo a Jack Dorsey, passando per Phiippe Van Parijs fino a Papa Francesco) vista l’emergenza attuale, invocano il Reddito Universale. Il RDE o RU è l’ovvia direzione del progresso: uno dei punti base del Paradismo, di cui faccio parte attiva dall’inizio, per una società davvero umana e giusta”.
Ciao Luciano, un giorno la scienza permetterà a tutti i disabili la possibilità di muoversi come tutti gli esseri umani.