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Home Rassegna stampa

FT Marinetti e i futuristi oggi ‘suonerebbero’ solo musica elettronica

by KODE9
22 Giugno 2012
in Rassegna stampa
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Nel corso della storia, spesso  in maniera impercettibile, l’audiosfera è stata soggetta a militarizzazione. La nozione di guerra sonica è al centro della musica sperimentale e ci riconduce all’apice dell’avanguardia sonora, il manifesto futurista di Luigi Russolo «L’arte dei rumori», che glorifica esplosioni, spari e dissonanze delle macchine industriali come un assalto contro l’acquiescenza classicistica e l’estetica borghese.

La futurista arte della guerra nell’arte del rumore definiva l’innovazione culturale nel campo della musica come una guerra sensoriale nella quale la posta in gioco era la stratificazione gerarchica del sistema nervoso. Cristallizzazione del belligerante campo libidinale dell’inizio del XX secolo, il futurismo indagava la psiche traumatizzata dai campi di battaglia alla ricerca di una nuova sintesi che si opponesse alla completezza organica del passato, favorendo un progresso tecnico, una riprogrammazione del corpo e delle sue sensazioni sonore.

Teorici come Jacques Attali e Paul Virilio hanno rievocato gli esperimenti concettuali futuristi, come la poetica della nevrosi da guerra di Russolo e Marinetti, per esplorare le affinità tra le macchine da guerra e quelle mediatiche. Fondendo i concetti di rumore, guerra e velocità con le tecnosensazioni dell’era industriale, i futuristi lanciarono il loro attacco contro l’ordine armonico. Nel suo manifesto del 1913, Russolo scriveva che il suono musicale era troppo limitato nella «varietà qualitativa dei timbri. Le più complicate orchestre si riducono a 4-5 classi di strumenti ad arco, a pizzico, a fiato in metallo e in legno, a percussione. La musica moderna si sforza vanamente di creare nuove varietà di timbri. Bisogna rompere questo cerchio ristretto di suoni puri e conquistare la varietà infinita dei suoni-rumori».

Per Russolo e Marinetti, il campo di battaglia è glorificato come uno spazio balistico aerodinamico in cui l’occhio smonta la piramide dei sensi, affidando la navigazione sensoriale alla sola percezione aptica. Come scrive Russolo, «nella guerra moderna, meccanica e metallica, il ruolo della vista è quasi nullo. Il significato e l’espressività del rumore sono invece infiniti. Dal rumore scopriamo i diversi calibri delle granate prima che esplodano. Il rumore ci permette di discernere una pattuglia che marcia nell’oscurità più fitta e di capire persino da quanti uomini è formata. Non c’è movimento o attività che non siano rivelati dal rumore».

Seguendo le orme del futurismo italiano, l’analisi delle intersezioni delle macchine sonore e delle macchine da guerra è stata dominata da questo elusivo concetto di rumore. Solitamente il rumore, o suono disorganizzato, è concepito come una bomba. Il rumore, sia per Russolo sia per Attali, è qualcosa di intrinsecamente radicale, che è al di là della musica e che la minaccia dall’esterno fornendole l’energia per rinnovarsi. Sulla scia dei futuristi, il rumore è per Attali un’arma culturale che attacca i codici e i network musicali nella guerra audiosociale dell’estetica contro l’economia.

Attali osserva che prima della sua evoluzione «il rumore era stato sempre sperimentato come distruzione, disordine, sporcizia, un’aggressione contro i messaggi strutturanti. In tutte le culture è stato associato con l’idea di arma, blasfemia, peste».

*da La Stampa del 18 giugno 2012

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