Il blues impone una scelta. Osservare l’oscurità dell’esistenza e lasciarsi travolgere oppure raccontare ciò che si prova, il sudore freddo e il panico che sale, mentre infuria la tempesta e raccontare quello, snocciolando i ricordi come grani di rosario, collegandoli a ciò che ci ha resi quelli che siamo. Bob Dylan ha indubbiamente imparato questa nozione, (altrimenti non sarebbe il cantautore che è) e dall’alto della sua magnificenza artistica regala il suo ultimo inedito alla rete, canale inestricabile, snobbato ma pur sempre unico ponte con cui mettersi in contatto con il pubblico una volta che si esce dalla propria torre d’avorio. Si intitola Murder Most Foul, inedito di 17 minuti (tempo proibitivo per l’ascolto di un singolo!) uscito il 27 marzo.
Al pari dei preraffaelliti, Dylan vuole riportare l’immagine di un passato storiograficamente ancora aperto come quello dell’omicidio Kennedy, con cui l’esistenza della società americana ha fatto i conti con una tragedia che ha investito, in maniera epocale, ogni sfera, ogni interstizio presente nelle coscienze e nelle esistenze dei cittadini americani. Un’apocalisse antropologica e sociale, la frantumazione di un simbolo, una tragedia politica e civile. Scontate e teneramente ovvie sono le analogie con quanto il mondo ad ogni latitudine si trova ad affrontare nel presente momento storico.
Il pianoforte e il violino in successione circondano la voce stonata e sgraziata del cantautore trascina in un blues in cui si parte da Dallas per intelaiare nei suoi rivoli tutte le intelaiature etnografiche dell’American way of life.
Un brano che diventa canto, lento, cullante, che descrive l’apocalisse, perso nella confusione del Technicolor. Racconta forse davvero della fine di un’epoca?
Devo essere sincero ma Non Dylan a me non è mai piaciuto. Il classico intellettuale radical chic alla Dario Fo con villa con piscina, macchina fuori serie e conti in banca in Svizzera o in qualche altro paradiso fiscale
Ancora con sto’Bob!! Molto meglio Fred Buscaglione,Franco Califano,Aurelio Fierro.La grandissima MINA e perché no la grande RITA PAVONE..
Il pianoforte e il violino in successione circondano la voce stonata e sgraziata del cantautore trascina in un blues in cui si parte da Dallas per intelaiare nei suoi rivoli tutte le intelaiature etnografiche dell’American way of life.