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Dal 22 al 25 aprile 2006 a Norcia viene discusso e approvato all’unanimità il testo redatto da Giancarlo Terzano “Uscire dallo sviluppo. Riflessioni per cambiare il mondo, vivendo meglio con meno.” Si tratta di un documento fondamentale dell’associazione, che riprende e sviluppa concetti già presenti nel precedente “Ecologia: una questione di civiltà” (1987), nel quale già si proponeva un radicale cambiamento dei nostri comportamenti quotidiani, un’autentica rivoluzione culturale. Dopo aver rilevato che «quella di Fare Verde era una difesa dell’ambiente, ma anche una ribellione etica contro l’uomo moderno “civilizzato”, sempre più estraneo alla Natura, al sacro, ai legami comunitari, e sempre più schiavo dei bisogni indotti dal consumismo, di comodità che diventano rapidamente necessità», si proseguiva stigmatizzando la «logica puramente produttivista, che considera il più anziché il meglio», che informa l’economia fondata sulla crescita, dimostrando la contraddittorietà e l’inefficacia della nozione di “sviluppo sostenibile”, criticando il mito del progresso, l’economicismo e l’idolatria del PIL e auspicando un’inversione di rotta: «Non si tratta di insistere sulla via della crescita, promettendo correttivi che puntualmente non si realizzano, ma di percorrere una rotta diversa,che a questo punto non potrà che essere quella della decrescita.» La nozione di decrescita felice, mutuata dall’economista e saggista Maurizio Pallante (che tra l’altro partecipò al convegno) ha una valenza sia economica che etica: «Partendo dalla constatazione del limite delle risorse naturali e della capacità di smaltire le scorie, essa adatta l’economia all’ambiente e non viceversa. Ma oltre a rispondere a preoccupazioni ambientali, la decrescita costituisce una valida alternativa in termini etici e di solidarietà, di equità sociale, nonché di migliore qualità della vita, individuale e collettiva. (…) la direzione è quella dell’autarchia, della capacità di portare avanti l’autosufficienza alimentare, energetica, ecc. di una comunità il più possibile.»
Non manca nel testo neppure una stoccata alle divisioni di destra e sinistra: «Il tema decrescita sfugge alle categorie dell’attuale politica. Come dimostra il più recente confronto elettorale [ma vale pure oggi], dove nessun partito ha inteso sostenere la necessità della decrescita e tutti, anzi, hanno cantato in coro a favore dello sviluppo economico». In un articolo de Il Giornale dedicato all’ambientalismo non schierato a “sinistra” tale posizione veniva ribadita: «Nel retroterra culturale di questo ecologismo comunitario, antiprogressista e antiutilitarista, si mescolano le critiche al denaro di Ezra Pound, una visione mitico-pagana della natura alla Tolkien, la lotta alla globalizzazione e alla tecnologia come strumenti di alienazione dell’uomo, la contestazione del modello capitalistico di sfruttamento delle risorse. (…) “Ma non vogliamo essere definiti di destra – spiega Massimo de Maio, presidente di “Fare Verde”- perché sia la destra che la sinistra italiane sono subordinate al consumismo e all’idea che la crescita della produzione e dei consumi sia la strada per il benessere. Questo è falso.» (Paolo Bracalini, in Bianchi, azzurri e neri: ecco gli “altri” verdi, in Il Giornale, 29 settembre 2008).
La decrescita, si concludeva in “Uscire dallo sviluppo”, «è in linea con lo stile di Fare Verde. Che propone il fare, l’ecologia dei piccoli gesti, delle scelte in prima persona, delle idee che diventano azioni. Perché prima che cambino le leggi o il sistema economico, dobbiamo cambiare noi stessi, il mostro immaginario, il modo di vita quotidiano.» Chi scrive, per riassumere questa posizione, aveva coniato uno slogan: “Per fare verde fuori di sé bisogna prima fare verde dentro di sé”.