Paolo Isotta per me è un fratello, impazzisco per la sua lingua italiana di qualità inarrivabile: di qualunque cosa scriva, palpita sempre vita e bellezza. Per chi se ne intende – io non sono tra questi, ma ci credo – è il critico musicale, in particolare di Opera lirica, più autorevole e competente del globo terracqueo.
Domenica su Libero ho avuto l’onore di ospitare a sua firma il ritratto, in occasione del trigesimo della morte, di un grande direttore d’orchestra partenopeo, il maestro Elio Boncompagni. È stato colui – testimonia Isotta – grazie al quale, in età di terremoto e di angosciata ricostruzione, il Teatro San Carlo non solo ha continuato ad esistere, e già questo è stato un suo miracolo, tuttavia si è conservato uno scrigno favoloso di autori quali Verdi e Wagner, interpretati da Boncompagni come nessun altro è stato capace.
Ebbene – ha vergato Isotta – l’attuale soprintendente del Teatro San Carlo, Rosanna Purchia, non ha scritto un rigo ufficiale di cordoglio e di ringraziamento, non ha neppure accennato all’intenzione di dedicare una recita in memoriam a Boncompagni. La prosa di Paolo è risentita, squassata dal dolore, come quella di discepolo e amico che abbia visto trafiggere il cuore del Maestro nei suoi ultimi anni di vita dal misconoscimento e ora da una infamante damnatio memoriae. Infamante non per Boncompagni, ma per Napoli e il suo Teatro San Carlo: uno sfregio ingiustamente inflitto loro dalla Purchia, che pure risulta essere Grand’Ufficiale e soprattutto ragioniera.
Mi rivolgo adesso direttamente a Lei, soprintendente Purchia, e spero che voglia dare qui risposta del perché, o meglio ancora rimediare a siffatto pessimo spettacolo di ignoranza e ingratitudine che i napoletani non meritano di recitare per colpa sua. C’è una ragione personale che mi spinge a chiederLe, con cortesia un po’ furibonda, una prova di resipiscenza. E questa ragione ha il nome di Gaetano Donizetti. Isotta nel suo ritratto ha associato il nome di Boncompagni al musicista orobico del quale fu il maggior interprete. Lo seppe e lo volle essere in piena continuità con l’accoglienza meravigliosa che Napoli decretò al mio immortale concittadino in vita e poi in morte, allorché batté la mia Bergamo nel celebrare il duecentesimo della nascita, nel 1997. In nome di Donizetti e di Isotta, in ordine alfabetico, e per amore della città del Vesuvio, accenda le splendide luci del San Carlo onde rammentare chi vi ha versato il suo genio. Altrimenti, un pernacchio come colonna sonora della sua sovrintendenza non glielo leverà nessuno.
*Da Libero Quotidiano del 13.12.2019